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'Il "caso Spinelli" e l''impossibile Syriza italiana. [Thomas Müntzer]'

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10 Giugno 2014 - 12.43


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di Thomas Müntzer

Sono passate solo due settimane dal voto e dal raggiungimento del quorum da parte della lista “L’altra Europa con Tsipras”. Un risultato modesto nei numeri assoluti (inferiore alla somma dei voti di Ingroia e Sel alle ultime politche) ma che poteva legittimamente esser letto come un successo, riuscendo a portare 3 europarlamentari a Strasburgo contro le previsioni della maggior parte dei sondaggi, incrementando così la truppa della Sinistra europea.

Eppure in due settimane tra chi ha formato quella lista si son visti solo duelli, scontri, tradimenti reali o presunti.

Il primo presunto traditore è stato Gennaro Migliore, che non ha fatto passare troppe ore per dire – spalleggiato dalla Camusso – che a sinistra c’è bisogno di un unico partito. E che questo è il Pd. Difficile sia riuscito a convincere Renzi a fargli la tessera, ma sicuramente è riuscito a far gridare al tradimento chi aveva pensato di sostenere Tsipras, leader di un partito, Syriza, che proprio sul “mai con il Pasok” ha costruito tanto delle sue fortune elettorali. Ma che Gennaro Migliore volesse entrare nel Pd lo si sapeva già prima della campagna elettorale, e del resto è lo stesso Vendola ad aver più volte negli ultimi anni alluso a questa prospettiva. Non gliene si può fare una colpa oggi.

Certo, uno dei tre eletti presunti della lista era Marco Furfaro, proprio di Sel. Come prevedibile la Spinelli è stata la più votata in due dei tre collegi in cui la lista ha preso un eletto, mentre nel nord ovest il più votato è stato Moni Ovadia. Sia Ovadia che Spinelli si erano impegnati a rinunciare in caso di elezione, quindi a tutti sembrava normale che ad essere eletti fossero i secondi in graduatoria: Curzio Maltese di Repubblica, Eleonora Forenza del Prc e, appunto, Marco Furfaro. Ma Furfaro andrà nel gruppo della Sinistra europea, quello di Tsipras? Altro sospetto di tradimento, di cui tra l’altro è sospettato anche Maltese. Ma che Sel non garantisse di stare tra i banchi della Sinistra europea lo si sapeva dall’inizio. Neanche questa può essere una colpa di oggi.

In caso comunque ci saranno i garanti a garantire, si diceva. Già i garanti. Mutuando il lato più oscuro del movimento cinque stelle, la lista Tsipras, nata dall’alto per provare a produrre qualche eletto di sinistra al parlamento europeo, ha pensato infatti di istituire delle figure “super partes” simili a quelle di Grillo e Casaleggio nel M5S. Abolendo anche i pur discutibili meccanismi partecipativi di selezione dei candidati, la scelta l’hanno fatta i garanti. Garantendo anche che non si sarebbero candidati. Salvo Barbara Spinelli, che comunque se eletta avrebbe prontamente rinunciato.

Ed eccoci al colpo di scena che tanto sta animando le discussioni di queste ore. Barbara Spinelli, senza nessuna discussione collettiva all’interno della lista e dei suoi comitati, ha deciso di tornare indietro dal suo impegno, prendendosi lo scranno ai danni di Furfaro. La cosa ha fatto ovviamente infuriare Sel – soprattutto la sua parte “sinistra” che più si è impegnata per la lista – e molti dei militanti dei Comitati, sentitisi traditi da una promessa mancata e scavalcati totalmente nella decisione (la Spinelli, al pari di Maltese, non ha avuto nemmeno il buon gusto di presentarsi all’assemblea nazionale dei comitati della lista tenutasi sabato scorso). I militanti di Rifondazione hanno invece tirato un sospiro di sollievo ed esultano per la conferma dell’elezione di Eleonora Forenza. E anche di questo non si può fargliene una colpa.

Tutta colpa di Barbara Spinelli allora? È lei che distrugge ancora una volta la possibile rinascita della sinistra radicale?

Non è proprio così. Certo “fare quel che si dice” dovrebbe essere la base di qualsiasi ricostruzione politica credibile. Ma il problema di fondo sembra un altro. La lista Tsipras è stata calata dall’alto, e nonostante le generose esperienze di alcuni comitati locali, non ha creato nessuna dinamica unitaria, nessun intreccio tra culture politiche, nessuna progettualità futura chiara – nemmeno su quale gruppo europeo avere come riferimento in parlamento – nessun rapporto reale con conflittualità e movimenti sociali. E gli stessi candidati più legati ai movimenti presenti nella lista sono stati, nelle preferenze, schiacciati da altre dinamiche. Rifondazione e Sel si odiavano prima della lista, hanno continuato ad odiarsi durante – le iniziative fatte in comune sono state praticamente inesistenti – e continuano ad odiarsi dopo. Alba si è sentita l’unica soggettività a non aver eletto nessuno, e ha spinto la Spinelli ad accettare l’elezione. E Barbara Spinelli in fondo ha tutte le ragioni per non fidarsi degli eletti dei partiti, così come i partiti hanno tutte le ragioni di non fidarsi di lei così come di Curzio Maltese, e di non fidarsi tra loro. In realtà non c’è nessun percorso partecipativo, e nessun luogo decisionale democratico e condiviso che potesse far andare troppo diversamente le cose.

La verità è che forse “una Syriza italiana” non è possibile, perché quella possibilità è stata già bruciata da Rifondazione comunista anni fa, quando ha speso quel processo unitario che aveva messo insieme culture politiche diverse e il positivo intreccio con i conflitti sociali apertisi a Genova dentro l’alleanza di Governo con Prodi, proprio ciò che Syriza non ha fatto con il Pasok. Non si può semplicemente pensare oggi di riaggregare la sinistra radicale come si incolla un vaso andato in mille pezzi.

Oggi non serve una Syriza italiana, ma un processo che riparta dal basso, dalle fondamenta, in modo partecipato e democratico, indipendente da tutti gli schieramenti politici e dalle organizzazioni esistenti, in grado di mettere in rete le lotte concrete, le esperienze esemplari, le energie più vive. Sono i movimenti a doversi fare direttamente politica, ridefinendo linguaggi, pratiche e identità.

Per alludere a qualcosa di concreto, possiamo dire che serve un processo più simile a ciò che succede in Spagna con Podemos, per quanto nessun modello sia esportabile, e quello spagnolo sia ovviamente molto legato alla specifica esperienza degli indignados. Ma è quello il tipo di percorso che si dovrebbe avere il coraggio di fare, senza garanti o paracadute. Con una capacità di rimettersi in gioco che al momento è poco visibile in tutti gli ambiti di quella che fu la sinistra radicale italiana, in quelli politici come in quelli di “movimento”.

(10 giugno 2014)

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