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Syriza, Podemos... E noi?

'Ecco Syriza e a Podemos, due stelle polari per un cambiamento dei rapporti di forza in Europa: vediamo l’abisso che le separa dalla sinistra ''radicale'' italiana'

Syriza, Podemos... E noi?
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29 Gennaio 2015 - 22.00


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di
Paolo Bartolini

Non
sempre mi trovo d’accordo con le uscite di Jacopo Fo, ma credo che
un suo recente articolo colga nel segno. La vittoria di Syriza e i
primi provvedimenti del Governo Tsipras delineano un modo di fare
politica che unisce ideali e concretezza. Nei prossimi giorni la
Grecia dovrà affrontare problemi enormi in sede europea. I nodi,
insomma, verranno al pettine, ma sarebbe sbagliato, per gli italiani
che contestano il neoliberismo e vogliono lasciarselo alle spalle,
non trarre ispirazione dall’esperienza della sinistra greca.

Jacopo
Fo, nelle sue considerazioni, evidenzia giustamente lo scollamento
che esiste nel nostro Paese tra movimenti/associazioni
dell’altreconomia e coloro che dovrebbero rappresentarli
politicamente.
Syriza,
con grande intelligenza e lungimiranza, ha camminato con il passo
dell’uomo
,
partecipando a mille iniziative sociali e di solidarietà che, ben
prima delle elezioni, hanno permesso di fare parzialmente fronte
all’emergenza umanitaria generata dalla malapolitica nazionale e,
soprattutto, dalla follia di un’austerità imposta non per “salvare
la Grecia” (come si dice con criminale ipocrisia), ma per far sì
che nessuno potesse immaginare di mettere in discussione il
meccanismo irrazionale del capitalismo finanziario.

Se
guardiamo a Syriza e a Podemos – due stelle polari per un
cambiamento graduale e profondo dei rapporti di forza nel continente
– ci rendiamo conto dell’abisso che separa queste realtà dalla
sinistra “radicale” italiana. Fo ha perfettamente ragione quando
dice che la rappresentanza politica deve emergere dal mondo della
cooperazione e dall’impegno diretto nelle comunità locali. La
questione, in altre parole, è ancora e sempre quella di creare una
forza di alternativa alle politiche bipartisan dei devoti al dio
Mercato, tuttavia la nascita di un fronte efficace non potrà mai
avvenire se alla guida di esso si porranno i soliti parolai di
professione (Nichi Vendola incarna bene la tipologia a cui facciamo
riferimento).

La
svolta, e questo è il punto centrale, può provenire solo da un
coinvolgimento attivo di coloro che, in questi anni, hanno lavorato
con passione e impegno civile per riportare la democrazia
nell’economia, anteponendo il volontariato, il mutuo soccorso, la
cooperazione e l’innovazione sociale alle logiche esclusive del
profitto fine a se stesso
. Crediamo dunque che qualunque soggetto
politico sorga a sinistra, in Italia, debba tenere fermi tre punti
indispensabili per non precipitare nella riedizione di vecchi
progetti fallimentari: 1) vivere l’identità di sinistra come un
traguardo e non come un punto di partenza dato per scontato
(questo
permetterebbe di dialogare in modo meno rigido con individui e gruppi
che provengono da altre storie politiche: in particolare con
l’elettorato del Movimento 5 Stelle); 2) candidare a eventuali
future elezioni solo persone che da anni operano direttamente sul
campo
, con esperienza diretta nelle lotte sociali e nella costruzione
di un modello alternativo di convivenza (L’Altra Europa con Tsipras
è timidamente andata in questa direzione, ma ci vogliono più
coraggio e meno compromessi); 3) riannodare i fili della
trasformazione locale con quelli della pace globale
. Aprire un
dibattito diffuso sulla fuoriuscita dell’Italia dalla NATO è oggi
un compito di civiltà prioritario, senza il quale la potenza del
movimentismo si riduce – come d’altronde abbiamo verificato dal
2001 in poi – allo sviluppo nobile di buone pratiche che non
riescono mai a tradursi in effetti sistemici sul piano nazionale e
dei rapporti internazionali.

Questi
tre fattori non sono ovviamente sufficienti, ma sono certamente
necessari se vogliamo coltivare i germogli di una rinascita
anticapitalista adatti al terreno italiano
. Una rinascita che,
guardando alle promesse greche e spagnole, maturi la sua unicità
partendo da una conoscenza diretta dei contesti territoriali. Perché
le ricette degli altri non si possono importare. Piuttosto vanno
studiate per generare, in un circolo virtuoso che coniuga imitazione
e originalità, nuove strade adeguate alla nostra storia.

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