Dieci considerazioni sulle elezioni spagnole | Megachip
Top

Dieci considerazioni sulle elezioni spagnole

Per quanto in crisi, i partiti tradizionali hanno dimostrato di avere delle strutture solide e il bipartitismo, dato per morto e sepolto più volte, non è andato in frantumi.

Dieci considerazioni sulle elezioni spagnole
Preroll

Redazione Modifica articolo

30 Giugno 2016 - 05.14


ATF


di Steven Forti

1. Il bipartitismo non è morto.


Le elezioni spagnole del 26 giugno rafforzano i partiti
dell’establishment. Il Partido Popular (PP) è il vero vincitore di
questa tornata elettorale: guadagna quasi 700 mila voti rispetto ai
comizi di dicembre e con il 33% porta al Congresso di Madrid ben 137
deputati. Il Partido Socialista Obrero Español (PSOE) regge il colpo e,
con il 22,7% dei voti e 85 deputati, mantiene la seconda posizione,
anche se perde 120 mila voti e 5 deputati rispetto a dicembre, ottenendo
il peggior risultato di sempre. Per quanto in crisi, dunque, i partiti
tradizionali hanno dimostrato di avere delle strutture solide che non si
sono sfaldate ed il bipartitismo, dato per morto e sepolto più volte,
non è andato in frantumi. Al contrario, si è rafforzato, passando dal
50,7% al 55,7%, un dato in controtendenza rispetto agli ultimi anni. 


2. Il cambiamento che non c’è.

Il vento del cambiamento, annunciato da tutti i sondaggi e dagli exit
poll, è stato più moderato di quel che ci si aspettava. Una brezza e
nulla più. Unidos Podemos, la coalizone formata da Podemos e Izquierda
Unida (IU), appoggiata dalle confluenze regionali in Catalogna, in
Galizia, nelle Baleari e a Valencia, si è fermata al terzo posto (21,1% e
71 seggi), perdendo oltre un milione di voti rispetto ai comizi dello
scorso 20 dicembre. Non c’è stato il tanto annunciato sorpasso, dato per
certo da tutti i sondaggi e dagli exit poll: i socialisti mantengono un
vantaggio di 375 mila voti e di ben 14 deputati su Unidos Podemos. La
formazione guidata da Pablo Iglesias deve ora leccarsi le ferite e deve
soprattutto capire le ragioni della crescita dell’astensione nel suo
elettorato. Non si tratta di una sconfitta né di un fallimento, come
molti giornali hanno scritto, ma di un risultato al di sotto delle
aspettative, che, comunque, conferma l’esistenza di un partito
consolidato a sinistra che ottiene oltre 5 milioni di voti.


3. Si riduce lo spazio per un’opzione di centro-destra liberal.

Per Ciudadanos il colpo è stato altrettanto duro. La formazione guidata
da Albert Rivera, presentata come l’alternativa credibile e “pulita” di
centro-destra, supera di poco i 3 milioni di voti (ne perde 390 mila) e,
penalizzata dal sistema elettorale spagnolo, con il 13% ottiene solo 32
deputati (8 in meno rispetto a dicembre). Il futuro è ora incerto per
gli arancioni. Possono giocare un ruolo chiave nella formazione di un
nuovo esecutivo, ma rischiano di fare la fine di altre esperienze
centriste nella Spagna degli ultimi quarant’anni (UPyD di Rosa Díez, CDS
di Adolfo Suárez, PRD di Miquel Roca) ossia, essere divorati dal PP e
dal PSOE.


4. In calo anche i partiti nazionalisti e regionalisti.

Ai partiti nazionalisti e regionalisti catalani e baschi non è andata
meglio. Tranne gli indipendentisti di Esquerra Republicana de Catalunya
(ERC), che racimolano qualche migliaio di voti in più e mantengono i 9
deputati, tutti gli altri perdono voti, soprattutto gli indipendentisti
di Convergència Democràtica de Catalunya (CDC, 8 deputati), ma anche gli
autonomisti del Partido Nacionalista Vasco (PNV), che perde un deputato
(da 6 a 5), e gli indipendentisti baschi di sinistra di EH Bildu (2
deputati). La frammentazione del Parlamento e la difficoltà di formare
una maggioranza può rendere indispensabili alcune di queste formazioni,
ma il loro non è più il ruolo chiave di stampella di uno dei due grandi
partiti come in passato (CDC con il PSOE di Felipe González o con il PP
del primo governo di José María Aznar).


5. La storia non si ripete.

La Spagna del 2016 non è la Grecia dell’ultimo triennio, come molti
pensavano al di qua e al di là dei Pirenei. Podemos non è Syriza, il
PSOE non è il PASOK e il PP non è Nea Democratia. E la situazione
spagnola, nonostante una crisi di cui non si vede la fine
(disoccupazione al 20,9%, aumento delle disuguaglianze sociali,
assottigliamento della classe media, aumento dei giovani che emigrano in
cerca di lavoro, continui tagli al Welfare state, ecc.), non è quella
del paese ellenico. Dunque, le strategie elettorali, soprattutto della
sinistra, non possono calcare le orme della Syriza pre-2015.


6. Gli effetti della Brexit.

La vittoria del “Leave” nel referendum sulla Brexit ha pesato. E molto.
Gli spagnoli, storicamente europeisti, hanno preferito non “rischiare”
votando il cambiamento e si sono rifugiati nei partiti tradizionali, che
per quanto colpiti da innumerevoli scandali di corruzione, sono
percepiti come opzioni più “sicure” in una fase di profonda incertezza
come quella attuale. “Se le acque si intorbidiscono, meglio lasciare i
cambiamenti e le scommesse sul futuro per un’altra occasione”, ha
segnalato Juan José Toharia di Metroscopia. È stato, quello di domenica
scorsa, anche un voto dettato dalla paura per le conseguenze incerte
della Brexit che il PP ha saputo sfruttare al meglio con un discorso
basato sulla “stabilità” e che ha fatto presa soprattutto sulla
popolazione over 55 che ha votato in massa i due grandi partiti. Un voto
utile, dunque, dovuto anche a una generale stanchezza per l’impasse
degli ultimi sei mesi e per la ripetizione delle elezioni.


7. Le biciclette non funzionano.

In politica 2 + 2 non fa mai 4, ma sempre meno. L’alleanza con Izquierda
Unida (IU) si è saldata per Podemos con una perdita di oltre un milione
di voti e con lo stesso numero di deputati (71) che le due formazioni
avevano ottenuto separatamente a dicembre. Dal 20,6% ottenuto da Podemos
sei mesi fa e dal 3,7% di IU si è passati al 21,1% di Unidos Podemos.
L’aumento dell’astensione – la partecipazione è passata dal 73 al 69,8% –
è dovuta in gran parte all’elettorato di sinistra, che, stanco e
scontento sia per la ripetizione elettorale sia, forse, per la formula
della coalizione, ha deciso di rimanere a casa. È proprio quel milione
di voti che manca a Unidos Podemos rispetto a dicembre.

Le ragioni sono ancora da capire e la stessa dirigenza della formazione
di Iglesias non ha una risposta in merito. Una prima analisi del voto
dimostra che è proprio dove IU aveva ottenuto buoni risultati a dicembre
che Unidos Podemos ha perso di più (Madrid, Asturias, Andalusia).
Scontentezza da parte dell’elettore classico di IU verso il populismo
laclauiano di Podemos? È possibile. Ma dall’altro lato c’è stata forse
anche una parte dell’elettorato di Podemos che non si è sentito
rappresentato dall’alleanza con IU e da una evidente e proclamata
caratterizzazione ideologica di sinistra.


8. Le confluenze di Podemos non sfondano.

Anche le confluenze legate a Podemos che si sono presentate in diverse
regioni non hanno fatto l’exploit che ci si aspettava. In Catalogna, En
Comú Podem – formato da Barcelona en Comú, Podemos, ICV-EUiA ed Equo –
si conferma primo partito, con 12 deputati, ma perde 80 mila voti, una
parte anche nella stessa città di Barcellona, governata dalla sindaca
Ada Colau. A Valencia, la coalizione “A la Valenciana”, formata da
Compromís, Podemos e IU, si mantiene come secondo partito (9 deputati),
ma perde circa 130 mila voti e aumenta la distanza con il PP (13
deputati). Anche nelle Baleari gli equilibri non cambiano: Units Podem
Més, che riunisce Podemos, IU e i nazionalisti di sinistra di Més, non
ha migliorato i risultati di dicembre (2 deputati, perde 28 mila voti),
mentre in Galizia, En Marea – formata da Podemos, IU, i nazionalisti di
sinistra di Anova e le liste municipaliste che governano a La Coruña e
Santiago de Compostela – viene superata dai socialisti, diventando terzo
partito, e perde 64 mila voti e un deputato (da 6 a 5).


9. Momento di riflessione e di autocritica per Podemos.

I risultati non soddisfano nessuno all’interno di Unidos Podemos. Lo
hanno dichiarato tutti, a partire dallo stesso Iglesias, la notte delle
elezioni. È il tempo della riflessione e dell’autocritica, ma potrebbe
essere anche quello del redde rationem. A caldo nessuno ha messo in
discussione l’alleanza con Izquierda Unida: l’obiettivo era quello di
convertire una coalizione elettorale in un vero e proprio progetto
politico. Ma dopo la perdita di oltre un milione di voti si cambierà
idea? IU tornerà nel suo recinto? Podemos si sgancierà e continuerà la
strada da solo? È presto per dirlo. Íñigo Errejón, il numero due di
Podemos influenzato da Ernesto Laclau e Chantal Mouffe e sconfitto ad
aprile, tornerà alla carica con la strategia di un partito trasversale?
Iglesias abbandonderà? C’è chi sottovoce ne chiede la testa. E le
confluenze in Catalogna, Galizia e Valencia si sganceranno da Podemos?


10. Governo in minoranza del PP o grande coalizione.

I risultati rendono praticamente inviabile un governo delle sinistre
(PSOE e Unidos Podemos), che hanno perso voti e seggi rispetto a
dicembre (da 161 a 156) rispetto al blocco di centro destra (da 163 a
169). In realtà, quest’ultima opzione sarebbe teoricamente possibile:
PSOE e Unidos Podemos avrebbero però bisogno dei voti degli
indipendentisti catalani e dei nazionalisti baschi (22 deputati in
totale) per superare quota 176, che è la maggioranza assoluta nelle
Cortes di Madrid. Ma il referendum catalano è inaccettabile per i
socialisti che tra l’altro non ne vogliono sapere di avere Iglesias al
governo.

Gli scenari più probabili sono dunque o un governo in minoranza del PP
grazie ad un astensione dei socialisti o di un governo alla tedesca, con
popolari e socialisti al governo. Rimane da capire se i popolari
vorranno anche Ciudadanos in un governo di minoranza o in un eventuale
governo di larghe intese o se preferiscono lasciarlo all’opposizione per
eliminare l’unico possibile avversario che hanno nel centro-destra. La
grande questione è poi capire se i socialisti (e Ciudadanos) chiederanno
la testa di Rajoy: lo hanno ripetuto continuamente, ma il leader del PP
ora può trattare da una posizione di forza. Si prevede una legislatura
breve che, grande coalizione o meno, si centrerebbe su alcune questioni,
come, ad esempio, la riforma della Costituzione, la riforma della legge
elettorale e un tentativo limitato di soluzione della crisi
territoriale.


Il 9 luglio si riunisce il Comitato
Federale del PSOE e il 19 si forma il nuovo Parlamento. Saranno
settimane di fuoco, segnate dalle decisioni europee sulla Brexit, dal
rischio di una crisi dell’Euro e dalla decisione della Commissione
Europea riguardo a una multa di 2 miliardi di euro alla Spagna per il
deficit di bilancio del 2015. I mercati, Bruxelles e i poteri forti
faranno pressioni per la formazione di un governo prima della pausa di
agosto, ma si potrebbe arrivare a settembre. In ogni caso, è da scartare
la ripetizione elettorale. Qualcuno cederà. Bisogna solo capire chi e
in che cosa.

[GotoHome_Torna alla Home Page]

Native

Articoli correlati