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Una lettera da Oskar

Oskar Lafontaine ha scritto una lettera aperta alla sinistra italiana. Ma la sinistra italiana è da tempo catatonica e affetta da coazione a ripetere. [D. Barontini]

Una lettera da Oskar
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16 Ottobre 2015 - 20.39


ATF

di
Dante Barontini
.


Oskar Lafontaine ha scritto una lettera
aperta alla sinistra italiana. Ma la sinistra italiana è da tempo catatonica e
affetta da coazione a ripetere. Non riesce a immaginare nulla di più che
mettere insieme un altro contenitore “largo”, non ideologico e senza paletti
precisi, con l”unico obiettivo di superare le molte e occhiute soglie di
sbarramento ai diversi livelli elettorali (dall”ultima circoscrizione alla
Camera).

C”è un silenzio pressoché assoluto –
tralasciamo le questioni marginali, su cui c”è un”iperproduzione di “proposte”
– soprattutto sulla questione principale di ogni politica futura: quale
rapporto, e dunque quali obiettivi strategici, rispetto all”Unione Europea?

Se il controllo delle politiche di bilancio e della moneta è lì, non c”è
progetto politico o “programma elettorale” che possa prescinderne. Chiedere a
Syriza per averne drammatica conferma.

In altri paesi europei,
Germania compresa, non è così. Si sta prendendo atto che l”idea vaga della
“riformabilità” della Ue ha ricevuto un colpo devastante e ci si dispone a
ragionare nei termini della necessaria “rottura”
dell”Unione Europea come preliminare a ogni possibile politica di sostegno ai
ceti popolari di ogni regione o stato, oppure nei termini di un “piano B” da
mettere a punto
prima
di prendere in considerazione qualsiasi
prospettiva di sinistra al governo. Dobbiamo prendere atto con soddisfazione e
nessun settarismo che questo secondo fronte, popolato da figure note e in
alcuni casi carismatiche della sinistra riformista continentale, ha aperto una
strada alla possibilità di ragionare di Unione Europea senza automaticamente
essere investiti dalle scomuniche e dalle accuse di “sovranismo”. Accusa
peraltro curiosa o speciosa, perché la “sovranità popolare” è alla radice di
ogni idea di tr
asformazione sociale, senza riguardo ai
confini nazionali storicamente determinati.

Abbiamo dunque letto
con grande attenzione la “Lettera alla sinistra italiana” scritta da Oskar
Lafontaine e pubblicata oggi su il manifesto. Siamo consapevoli che la stessa lettera, con le stesse parole, non
sarebbe mai stata pubblicata da quel giornale se la firma fosse stata meno
autorevole. E tanto basta a spiegare concretamente quanto sia politicamente
rilevante la svolta propos
ta dai sostenitori del “piano B”
a ciò che sopravvive della “sinistra” per poter ricominciare a ragionare in
concreto, mettendo fine alle chiacchiere e ai desideri fantasiosi.


L”analisi
da cui parte Lafontaine è, su alcuni punti, inconfutabile.

 â€œla sconfitta del
governo greco guidato da Syriza davanti all’Eurogruppo ha portato la sinistra
europea a domandarsi quali possibilità abbia un governo guidato da un partito
di sinistra, o un governo in cui un partito di sinistra sia coinvolto come
partner di minoranza, di portare avanti una politica di miglioramento della condizione sociale di lavoratrici e lavoratori, pensionate e
pensionati, e delle piccole e medie imprese, nel quadro dell’Unione europea e
dei trattati europei.

La risposta è chiara e brutale:
non esistono possibilità […] fintanto che la Bce, al di fuori di ogni controllo democratico, è
in grado di paralizzare il sistema bancario di un paese soggetto ai trattati
europei
.”


Si può naturalmente discutere se sia
soltanto la Bce – e non tutta la Troika (Unione Europea e Fmi, oltre la Bce) –
a rappresentare il cane feroce dell”austerità neoliberista, e se dunque
basterebbe cancellarla o limitarla per cambiare lo scenario; ma è questione relativamente secondaria. Il punto fondamentale è il
riconoscimento dell”
irriformabilità dell”Unione e dei suoi trattati per un
singolo governo, per quanto di sinistra possa essere.


La ragione
di questa irriformabilità, secondo Lafontanine, è
tecnica prima
ancora che ideale o ideologica:

 â€œNon esistono
possibilità di mettere in atto politiche di sinistra se un governo cui la
sinistra partecipi non dispone degli strumenti tradizionali di controllo
macroeconomico, come la politica dei tassi di interesse, la
politica dei cambi e una politica di bilancio indipendenti
”.


È esattamente la situazione in cui
si è venuta a trovare Syriza, nei sei mesi che hanno preceduto la resa di
Tsipras il 13 luglio: l”intenzione di fare quel che era stato
scritto nel programma elettorale si è scontrata frontalmente con l”assenza di
strumenti operativi, da tempo trasferiti alla Ue e alla Bce insieme a quote
rilevanti di “sovranità”.

Impeccabile, nella
lettera di Lafontaine, anche il ragionamento sull”obbligo, per qualsiasi governo, dentro questa cornice istituzionale, di “applicare tagli salariali, tagli
sociali e smantellare i diritti dei lavoratori
”
nella
speranza di recuperare margini di competitività per
il sistema-paese di riferimento.

Nulla da eccepire, infine, sulla definitiva ironia con cui vengono affrontate tutte quelle
ideuzze che vorrebbero legare il “cambiamento radicale della Ue” a una
contemporanea salita al governo, in ogni paese, di una coalizione di sinistra
ovviamente radicale:

“Attendere
la formazione di una maggioranza di sinistra in tutti i 19 Stati membri (
della zona euro, ndr) è un po’ come
aspettare Godot, un autoinganno politico, soprattutto perché i partiti socialdemocratici e socialisti d’Europa hanno preso a modello la politica
neoliberista
”.

Ma ogni diagnosi, per
quanto esatta, richiede una prognosi all”altezza. E qui i fautori del “piano B”
si erano mostrati fin dall”inizio consapevoli di avere per ora soltanto un”idea allo stato di abbozzo. Quel che qui Lafontaine propone esplicitamente,
infatti, è

 â€œil ritorno a un sistema
monetario europeo (Sme) migliorato, che consenta nuovamente
di ricorrere alla rivalutazione e alla svalutazione. Tale sistema restituirebbe
ai singoli paesi un ampio controllo sulle rispettive banche centrali e
offrirebbe loro i margini di manovra necessari per conseguire una crescita
costante e l’aumento dell’occupazione attraverso maggiori investimenti pubblici
”.

Se si ragiona in
astratto, l”argomentazione può apparire anche sensata. Ma nella storia concreta
non si danno ritorni al passato. O perlomeno non si danno
senza conflitti durissimi, autentiche tragedie di massa; al pari delle rotture
rivoluzionarie, insomma. Oppure con un radicale ripensamento dei trattati
europei – l”euro è previsto da un trattato specifico – che dovrebbe vedere il
consenso
unanime
di tutti i paesi membri. Il ritorno allo Sme, nei fatti, equivale a una
proposta di riforma
della Ue che soffre degli stessi problemi strategici sperimentati da Syriza.


Lo stallo in cui si
trova la costruzione europea è evidente a tutti, basta
leggere
qui l”editoriale odierno di Ad
riana Cerretelli su IlSole24Ore. Il rischio dell”esplosione
sta diventando quasi pari a quello di una stretta centralizzatrice violenta,
che sconta anche la perdita per strada di alcuni membri (in Germania e altrove
è vivo un dibattito sul N-euro, o euro limitato ai soli paesi del Nord).

Proprio per questo
l”idea della rottura dell”Unione Europea va assumendo
sempre più i contorni di una proposta strategica
realistica, anche se certo non all”interno di un quadro di
paciosa stabilità.
Un dibattito vero su questo
si è ormai aperto, con i recenti forum euromediterranei di Napoli, Atene,
Barcellona e la campagna Eurostop, ad esempio.
Uno
dei difetti peggiori del dibattito politico italiota è infatti la totale
astrazione rispetto a ogni ipotesi di trasformazione. Come se davvero grandi
cambiamenti “radicali” fossero possibili “a bocce ferme”, mantenendo senza
scosse gli attuali livelli
di produzione e l”attuale
configurazione istituzionale.


La discussione sulle
prospettive è insomma soltanto all”inizio e richiede molta freddezza
analitica, oltre che partecipazione diretta al conflitto sociale e politico,
sotto ogni forma. L”unica ipotesi che non ha più nessuna legittimità è in fondo
la ripetizione triste dei tentativi di “imbrancamento” senza prospettiva
politica reale e un progetto di rottura dell”esistente, a fini di pura
sopravvivenza.

Se
n”è accorto anche Lafontaine…

*****


Lettera alla sinistra
italiana

di Oskar Lafontaine.

Care compagne, cari
compagni,

la sconfitta del
governo greco guidato da Syriza davanti all’Eurogruppo ha portato la sinistra
europea a domandarsi quali possibilità abbia un governo guidato da un partito
di sinistra, o un governo in cui un partito di sinistra sia coinvolto come
partner di minoranza, di portare avanti una politica di miglioramento della
condizione sociale di lavoratrici e lavoratori, pensionate e pensionati, e
delle piccole e medie imprese, nel quadro dell’Unione europea e dei trattati
europei.

La risposta è chiara e
brutale: non esistono possibilità per una politica tesa al miglioramento della
condizione sociale della popolazione, fintanto che la Bce, al di fuori di ogni
controllo democratico, è in grado di paralizzare il sistema bancario di un
paese soggetto ai trattati europei.

Non esistono
possibilità di mettere in atto politiche di sinistra se un governo cui la sinistra
partecipi non dispone degli strumenti tradizionali di controllo macroeconomico,
come la politica dei tassi di interesse, la politica dei cambi e una politica
di bilancio indipendenti.

Per migliorare la
competitività relativa del proprio paese sotto l’ombrello dell’euro, restano al
singolo paese sottoposto alle condizioni dei trattati europei solo la politica
salariale, la politica sociale e le politiche del mercato del lavoro. Se
l’economia più forte, quella tedesca, pratica il
dumping salariale dentro un’unione monetaria, gli altri paesi membri non hanno
altra scelta che applicare tagli salariali, tagli sociali e smantellare i
diritti dei lavoratori, così come vuole l’ideologia neoliberista. Se poi
l’economia dominante gode di tassi di interesse reali più bassi e dei vantaggi
di una moneta sottovalutata, i suoi vicini europei non hanno praticamente
alcuna possibilità. L’industria degli altri paesi perderà sempre più quote sul
mercato europeo e non europeo.

Mentre l’industria
tedesca produce oggi tanto quanto produceva prima della crisi finanziaria,
secondo i dati Eurostat, la Francia ha perso circa il 15% della sua produzione
industriale, l’Italia il 30%, la Spagna il 35% e la Grecia il 40%.

La destra europea si è
rafforzata anche perché mette in discussione l’Euro e i trattati europei, e
perché nei paesi membri cresce la consapevolezza che i trattati europei e il
sistema monetario europeo soffrano di alcuni difetti costitutivi.

Come dimostra
l’esempio tedesco, la destra europea non si preoccupa della compressione dei
salari, dello smantellamento dei diritti dei lavoratori e delle politiche di
austerità più severe. La destra vuole tornare allo Stato nazionale, offrendo
però soluzioni economiche che rappresentano una variante nazionalistica delle
politiche neoliberiste e che porterebbero agli stessi risultati: aumento della
disoccupazione, aumento del lavoro precario e declino della classe media.

La sinistra europea
non ha trovato alcuna risposta a questa sfida, come dimostra soprattutto
l’esempio greco.

Attendere la
formazione di una maggioranza di sinistra in tutti i 19 Stati membri è un po’
come aspettare Godot, un autoinganno politico, soprattutto perché i partiti
socialdemocratici e socialisti d’Europa hanno preso a modello la politica
neoliberista.

Un partito di sinistra
deve porre come condizione alla sua partecipazione al governo la fine delle
politiche di austerità.

Tuttavia ciò è
possibile solo se in Europa prende forma una costituzione monetaria che conservi
la coesione europea, ma che riapra ai singoli paesi la possibilità di ricorrer
il ritorno a un sistema monetario europeo (Sme) migliorato, che consenta
nuovamente di ricorrere alla rivalutazione e alla svalutazione. Tale sistema
restituirebbe ai singoli paesi un ampio controllo sulle rispettive banche
centrali e offrirebbe loro i margini di manovra necessari per conseguire una
crescita costante e l’aumento dell’occupazione attraverso maggiori investimenti
pubblici e a politiche capaci di aumentare la crescita e i posti di lavoro;
anche se la più grande economia opera in condizioni di dumping salariale.

Presupposto
imprescindibile a questo scopo è il ritorno a un sistema monetario europeo
(Sme) migliorato, che consenta nuovamente di ricorrere alla rivalutazione e
alla svalutazione. Tale sistema restituirebbe ai singoli paesi un ampio
controllo sulle rispettive banche centrali e offrirebbe loro i margini di
manovra necessari per conseguire una crescita costante e l’aumento
dell’occupazione attraverso maggiori investimenti pubblici, così come per
contrastare, tramite la svalutazione, l’ingiusto
dumping salariale operato dalla Germania o da un altro Stato membro.

Questo sistema ha
funzionato per molti anni e ha impedito l’emergere di gravi squilibri economici,
come ne esistono attualmente nell’Unione europea.

Rivolgendomi ai
sindacati italiani, tengo a sottolineare che lo Sme non è mai stato perfetto,
dominato come era dalla
Bundesbank. Ma
nel sistema Euro la perdita del potere d’acquisto delle lavoratrici e dei
lavoratori attraverso salari più bassi (svalutazione interna) è maggiore.

A me, osservatore
tedesco, risulta molto difficile capire perché l’Italia ufficiale assista più o
meno passivamente alla perdita del 30% delle quote di mercato delle sue
industrie.

Silvio Berlusconi e
Beppe Grillo hanno messo sì in discussione il sistema Euro, ma ciò non ha
impedito all’Eurogruppo di imporre il modello delle politiche neoliberiste alla
politica italiana.

Oggi la sinistra
italiana è necessaria come non mai.

La perdita di quote di
mercato, l’aumento della disoccupazione e del lavoro precario, con la
conseguente compressione dei salari, possono rientrare nei miopi interessi
delle imprese italiane, ma la sinistra italiana non può più stare a guardare
questo processo di de-industrializzazione.

Lo sviluppo in Grecia
e in Spagna, in Germania e in Francia, dimostra come la frammentazione della
sinistra possa essere superata non solo con un processo di unificazione tra i
partiti di sinistra esistenti ma soprattutto con l’incontro di tante energie
innovative fuori dal circuito politico tradizionale.

Solo una sinistra
sufficientemente forte nei rispettivi Stati nazionali p
otrà
cambiare la politica europea. La sinistra europea ha bisogno ora di una
sinistra forte in Italia.

Vi saluto
calorosamente dalla Germania e vi auguro ogni successo per il processo di
costruzione di una nuova sinistra italiana.


* Oskar Lafontaine è stato ministro
delle Finanze della Germania ed è l’ex presidente del Partito socialdemocratico
tedesco (Spd e del Partito della Sinistra (die Linke)

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