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Grillo ha bisogno di Pizza, altro che storie

Caso Pizzarotti: un errore della nomenklatura pentastellata che il M5S rischia di pagare a caro prezzo, tagliando fuori voci democratiche e creative. [Pino Cabras]

Grillo ha bisogno di Pizza, altro che storie
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3 Ottobre 2016 - 23.02


ATF

di Pino
Cabras
.

Mi posso permettere di parlare con molta
libertà del Movimento Cinque Stelle, nell’ora in cui questo perde Federico
Pizzarotti
, proprio lui, il suo primo sindaco di una città capoluogo, con tanto
di saluto finale sprezzante di Beppe Grillo



Mi posso
permettere tanta libertà perché ho combattuto contro i giudizi ingiusti che per
anni sono stati espressi contro i cinquestelle
, sia i giudizi di quelli che
avevano interessi – spesso loschi – da difendere, sia quelli dei troppo pigri
intellettualmente (quelli cioè che vedono il fascismo dove non c’è e non si
accorgono di chi ha difeso in Parlamento la Costituzione contro la riforma
Boschi-Verdini). 

Molti amici del MoVimento sanno che nel difenderli ho affrontato rimproveri e
persino qualche insulto per solo amore della verità. 


Nel caso della vicenda di Pizzarotti la vedo
molto semplice: a Parma nel 2012 si è prodotto per la prima volta lo schema che
poi si è ripetuto uguale identico in tante altre città: un sistema di potere
locale corrotto fino al marciume e imperniato sul PD
– alla fine di un disastro
che ha divorato le casse comunali – viene sconfitto al ballottaggio da una
forza che non spunta come un fungo, ma viene da anni di opposizione senza
sconti. 

Per il M5S votano insieme elettori di sinistra (disgustati e in fuga dal
sistema imploso) ed elettori di destra che non voterebbero mai per quella
sinistra. 

A Parma va dunque al governo un gruppo dirigente che si trova a
gestire una catastrofe finanziaria senza avere una pregressa esperienza amministrativa,
ma che sa rimboccarsi le maniche e identifica le priorità civiche all’interno
della cornice delle leggi, senza dover rispondere ai ricatti paralizzanti del
vecchio sistema di potere parassitario. 

Non riesce a fare tutto quel che
vorrebbe, perché non tutto è nelle competenze azionabili dal Comune, ma se la
cava decisamente bene. Certo, sul nuovo sindaco pesano i vecchi debiti, ma il solo
fatto di essersi liberato dei parassitismi politici che c’erano prima di lui offre a Pizzarotti margini di manovra mai visti. Quei debiti li riduce del 45%, e il suo comune
scala persino alcune delle classifiche che contano per giudicare la qualità
della vita di una città rispetto a centinaia di altre. Accade addirittura che
Parma, dapprima sull’orlo della bancarotta, riesca a diventare in pochi anni
la 18° città italiana per stabilità economica



Insomma, Pizzarotti funziona, e
funziona bene.



Quel che non funziona è il rapporto con la
macchina politica che detiene il marchio del M5S, ossia il nucleo aziendale di Beppe
Grillo
e della famiglia Casaleggio, così come non funziona il rapporto con la seconda cerchia
dell’emergente forza politica (il Direttorio). Ogni tanto il blog di Grillo nei
confronti del “Pizza” scrive due o tre righe, sempre più fredde. È evidente che lui non è un tipo governabile con direttive dall’alto, perché possiede la
pertinacia minuziosa e pragmatica di certi amministratori vecchio stampo, che hanno
studiato i regolamenti fino a spremerne l’anima, gente che non convinci se prima
non studi anche tu.


Nel frattempo molti altri comuni vengono
conquistati dal M5S. Stesso schema: municipi con una lunga storia di
amministrazioni piddine spaventosamente tarlate vengono espugnati da liste con
il marchio cinquestelle che riescono a vincere i ballottaggi e mettono sindaci non
ricattabili dai vecchi poteri. 

L’arcipelago delle realtà locali pentastellate viene
tenuto insieme sempre più a fatica da un movimento politico che – per non
volersi dotare di regole da partito tradizionale – si trova a gestire le
questioni politiche con regole evanescenti, meccanismi di garanzia troppo
dipendenti dall’arbitrio di pochi, norme di inclusione-espulsione
giuridicamente insostenibili. A peggiorare le cose ci si mette un Direttorio
che – a dispetto del nome – non sembra ambire a dirigere il rapporto con le
realtà locali, tranne eccezioni: i problemi minori, trascurati, diventano
grandi e scavano solchi anche sul piano umano
.

Fra questi problemi ci sono piccole grane
giudiziarie
che i sindaci del M5S subiscono quasi sempre perché il PD
spodestato cerca una riscossa in tribunale. Anche qui, lo schema si ripete: gli
esponenti del PD presentano degli esposti praticamente infondati, ma scritti abbastanza
bene da costringere i magistrati a indagare e a far recapitare un “avviso di
garanzia” all’amministratore pentastellato di turno. 

Se funziona bene la
comunicazione fra l’amministratore e i livelli apicali del M5S
, il MoVimento è
garantista e attende che l’amministratore sia scagionato (come quasi sempre accade). 

Se quella comunicazione invece non funziona bene, come nel caso di Pizzarotti,
il Movimento lo sospende e non revoca la sospensione nemmeno quando il sindaco
di Parma viene prosciolto. Fino all’assurda cavillosità dell’ultima cosa che
Grillo trova da dire a Pizzarotti: la richiesta dei «documenti che gli sono
stati richiesti il 6 giugno e che non ha mai fornito». Dopo i balbettii di Di
Maio
sulle vicende romane, trattati con ben altra indulgenza, l’unica cosa che Grillo
ha dire su un amministratore che esce pulito è questa pedanteria, riferita per
di più a un regolamento interno che sarà sostituito proprio perché in tutta
evidenza non funzionava. 

Allora traduciamo le cose in termini politici: nessuna
norma avrebbe mai potuto dimostrare che Pizzarotti si comportava in contrasto
con regole e azioni tipiche del M5S né il capo poteva espellerlo senza compiere
violazioni della legge passibili di strascichi giudiziari. Così lo si è tenuto
nel limbo, per spingerlo ad espellersi da solo, senza dargli una risposta che
fosse una, nel merito, in modo pubblico, trasparente, conforme alle aspettative
tanto decantate quando tutto doveva andare in streaming.

Era così insostenibile l’autonomia parmense?
A me pare che la nomenklatura pentastellata abbia commesso un errore politico
madornale che finirà per pagare a caro prezzo, tagliando fuori voci
democratiche e creative. L’ultima cosa che serve a chi vuole costruire un’opposizione forte oggi e un governo popolare e pluralista domani.

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