ATF
di Aldo Giannuli.
Ci sono partiti che non fanno errori, quanto essere essi stessi un errore, magari perché, pensati per essere una cosa, sono diventata un’altra molto diversa ed indesiderata, o perché hanno mancato l’obiettivo che ci si proponeva per dei difetti di progettazione.
Ad esempio, l’unificazione Psi-Psdi, nel 1966, pensata per costruire una grande socialdemocrazia di massa sul modello di quelle nordiche, in grado di strappare al Pci la leadership della sinistra, dette vita ad un aborto di partito che si scisse solo tre anni dopo. E il difetto era di progettazione perché unificava un vero partito socialista con quello socialdemocratico, che, al di là delle autoproclamazioni, era un partito di destra. E, dopo l’inevitabile sconfitta alle politiche del 1968, che segnò la fine del centro sinistra, fu gioco forza dividersi fra chi cercava una formula di governo più di sinistra e chi ne voleva una più di destra. Ad essere sbagliato non era questo o quel singolo atto, ma il progetto in sé di una sommatoria elettorale che doveva dimostrare che 2 + 2 doveva fare 5 ed invece fece 3. Una pura sommatoria di apparati non basta a sollevare ondate di consensi e spesso ne toglie.
Ad esempio, l’unificazione Psi-Psdi, nel 1966, pensata per costruire una grande socialdemocrazia di massa sul modello di quelle nordiche, in grado di strappare al Pci la leadership della sinistra, dette vita ad un aborto di partito che si scisse solo tre anni dopo. E il difetto era di progettazione perché unificava un vero partito socialista con quello socialdemocratico, che, al di là delle autoproclamazioni, era un partito di destra. E, dopo l’inevitabile sconfitta alle politiche del 1968, che segnò la fine del centro sinistra, fu gioco forza dividersi fra chi cercava una formula di governo più di sinistra e chi ne voleva una più di destra. Ad essere sbagliato non era questo o quel singolo atto, ma il progetto in sé di una sommatoria elettorale che doveva dimostrare che 2 + 2 doveva fare 5 ed invece fece 3. Una pura sommatoria di apparati non basta a sollevare ondate di consensi e spesso ne toglie.
Altro errore storico (ma si trattò di una alleanza elettorale e non propriamente di una fusione organizzativa) fu il Fronte Popolare nel 1948, che fece la fortuna degli scissionisti socialdemocratici e fece a pezzi il Psi.
Altri partiti furono “sbagliati†perché privi di una base adeguata a dare qualche prospettiva sin dalla nascita: ad esempio Nuova Repubblica di Pacciardi (1965), Azione Popolare di Greggi (1972), il Mpl di Labor (1972), Democrazia Nazionale (1976), che ebbero pochissimi voti.
Un altro progetto sbagliato fu, nel 1979, Nuova Sinistra Unita (e qui faccio una autocritica, perché fui uno dei suoi sostenitori), qui l’errore non fu tanto del progetto (in sé confuso, fra anima movimentista romana e torinese, sinistra sindacale Cgil che era la parte moderata e Dp milanese che remava contro) quanto il non capire che era troppo tardi e non si improvvisa un accordo del genere con un simbolo sconosciuto in tre mesi. E, più o meno la stessa cosa, potremmo dire della Sinistra Arcobaleno nel 2008.
Per venire ai giorni nostri, furono partiti sbagliati sia il PdL di Berlusconi, che cercava un rilancio, dopo la sconfitta del 2006, con una operazione di cosmesi politica che ebbe effimero successo ma di fatto azzerava il pluralismo della destra, quanto il partitino di Gianfranco Fini formato per scissione del PdL: non c’era spazio politico e pagava l’errore irreparabile di non aver votato la sfiducia al governo Berlusconi nel settembre 2010, quando sarebbe stato determinante. In quel caso l’errore precedette la formazione del partito e la scissione fu un salto nel vuoto.
Dunque, un partito può benissimo essere una operazione sbagliata sin dall’inizio per difetti di “progettazione†o per un errore di tempismo. E veniamo al caso del Pd.
Qui già alle spalle ci sono altre operazioni discutibili come la formazione del Pds, ma di questo parleremo in altra occasione. Alla base del progetto del Pd ci fu una idea di Prodi: trasformare l’alleanza elettorale dell’Ulivo in un partito che unificasse gli eredi del vecchio Pci, con quel che restava della vecchia sinistra democristiana, per dar vita ad una grande sintesi democratica che occhieggiava, sin dalla sigla, al Partito Democratico americano.
Una operazione sbagliata dall’inizio, perché cancellava anche gli ultimi bagliori delle culture politiche dei due partiti di riferimento, senza sostituirle con una nuova. Il Pd non ha avuto alcuna cultura politica ma solo il genericissimo slogan del “riformismo†che era la foglia di fico che copriva malamente la nudità culturale dell’operazione e questo affrettava un processo di modificazione della base sociale del partito, peraltro già iniziato con l’ “operazione Occhettoâ€. La tradizionale base del Pci associava l’elettorato di appartenenza ideologica e di ceto politico, a quello di insediamento (cooperative, associazionismo caudatario, enti locali) ed a quello di interesse sociale (lavoro dipendente, ma con crescente spostamento dalle categorie dell’industria a quelle del pubblico impiego). Il Pds prima ed il Pd, dopo, nel loro corso, avevano decisamente assottigliato la quota dell’elettorato di adesione ideologica, perso quasi tutto l’elettorato operaio (anche quando restava iscritto alla Cgil), ridotto quello giovane e mantenuto quello dei pensionati, quello del pubblico impiego, quello degli apparati burocratici e quello tradizionale delle regioni rosse legato a cooperative ed enti locali.
Nella seconda fase di vita del Pd (grosso modo dalla segreteria Veltroni in poi) si è prodotta una ulteriore modifica della base sociale del Pd: si è fortemente ridimensionata la componente funzionariale classica di partito, a vantaggio di quella orbitante intorno alle istituzioni (diremo meglio a breve), si è aggiunta una quota di lavoratori autonomi delusi dalla politica fiscale della destra, ma, più ancora si aggiunse una nuova componente che possiamo definire “borghesia arrebatora†(dallo spagnolo Arrebatar cioè strappare, scippare), un ceto di arrampicatori sociali che, attraverso consulenze strapagate, partecipazione a consigli di amministrazione di enti pubblici, attività di pr che mascherano giochi lobbistici, attività finanziarie al limite del riciclaggio (e qualche volta oltre) hanno gettato le radici nel Pd. E sono state queste trasformazioni sociali a spalancare la porta a Renzi che si è giovato anche dell’apporto di una quota di vecchi provenienti dal Pci a causa delle troppe sconfitte (o mancate vittorie) dei gruppi dirigenti che lo avevano preceduto. Con Renzi la trasformazione del Pd in qualcosa di molto diverso dal progetto di Prodi si è pienamente compiuta ed oggi il Pd è un partito saldamente di destra che gode di una rendita elettorale da quanti, sbagliando, pensano che sia l’erede del vecchio Pci.
In sintesi: oggi il Pd è composto dai compagni che sbagliano e dagli arrampicatori sociali che ci vedono giusto. Se non è questo un partito sbagliato….?!