Il PD è un formidabile ibrido che riassume decenni di dialogo, di tentativi di dialogo, fra comunisti e democristiani. Probabilmente, il punto più impervio di quel dialogo – il compromesso storico – si è trasfuso, dal piano politico-sociale degli anni 70 al piano politico-partitico di oggi, nel tentativo, risibile, di fare un partito con due partiti. Quando, di norma, da due partiti la cosa più probabile è che ne vengano fuori 4, e da questi 8, e così via.
Il sogno veltroniano di coniugare Marx e Kennedy (un sogno un trip…), il socialismo e l’America, copre, nella sostanza, la scelta sciagurata di aderire alla logica mercatistica, e dunque di buttare a mare ogni premessa riconducibile a un’idea socialista di mondo.
Certo, qualcuno obietterà che non bisogna essere troppo implacabili con quelli del PCI che gettarono la spugna: erano anni tristi, cupi, in bilico fra movimentismi forti e risacche controriformiste, fra accelerazioni operaiste e minacce golpiste. Gli spazi di manovra, per il maggior partito comunista dell’occidente capitalistico, divennero sempre più stretti, fra paure di improvvise risposte manu militari e il crescente spazio a sinistra, abitato da un coacervo micidiale di sigle, pensieri, organizzazioni, tutte però accomunate da un fattore basilare: che rappresentavano l’indisponibilità della classe operaia e intellettuale a un dialogo con la borghesia fellona che aveva consegnato, 50 anni prima, il paese al fascismo.
E tuttavia, come non considerare che ancora nel 1983 il PCI aveva il 29,9% dei voti e 1.700.000 iscritti! Una enorme zattera che navigava, solitaria, nel paese irrimediabilmente bloccato sulla necessità di una DC ago della bilancia.
Oggi tutto quello che è stato, il serpentone PCI-DS-PD, si rivela più che mai nella sua natura vera: DC-Margherita-PD e gli ex comunisti che bussano per il conto finale.
Non sembra più una faccenda puramente ideale (non diciamo “ideologicaâ€, questa gente si potrebbe offendere…), sembra invece una roba assimilabile alle beghe condominiali e alle questioni di nuda proprietà territoriale: figuriamoci, una sinistra che da tempo ha abbracciato il credo neo-liberista quanto può veramente patire la convivenza, dentro un partito-non partito, con i vecchi e i nuovi DC?
I dibattiti televisivi sono lì a dircelo: la scoraggiante mancanza di contenuti appena coperta da un mantrico richiamo ai “valori della sinistraâ€, in realtà da tempo indistinguibile nelle cose fondamentali dalla destra e dal centro.
La scissione promette ovviamente meravigliose creature nascenti da uno strappo liberatorio: nuove socialdemocrazie in salsa manageriale che si proporranno come riformiste, e dunque assolutamente di centro, quando a mancare in Italia continua ad essere una vera forza politica di sinistra che nasca dal momento movimentistico (come Podemos in Spagna, ad esempio) e si offra all’elettorato per quella che è, per scelte nette, da una parte contro l’altra, fuori dall’asfissia della mediazione a tutti i costi.
(17 febbraio 2017) [url”Torna alla Home page”]http://megachip.globalist.it/[/url]