di Alessandro Gilioli.
Diciamo spesso, come se fosse scontato, che le singole persone non contano, o almeno non più di tanto. Che i processi storici – ma anche quelli politici, più di breve termine – sono determinati dalle grandi trasformazioni sociali, economiche, tecnologiche. Chi ha un po’ letto Marx, poi, ha ancora meno dubbi in proposito.
Sì, è probabile che i grandi processi abbiano cause che trascendono dai singoli. La scoperta del telaio meccanico è stata più importante di Napoleone. Quella di Internet sicuramente ha avuto più peso degli ultimi dieci presidenti degli Stati Uniti messi insieme.
Eppure, negli accadimenti meno epocali della politica, non sono convinto che questo principio valga sempre e comunque. Anzi, penso che la “politique politicienne” sia molto influenzata dai singoli, da alcuni singoli, dalle loro caratteristiche e dalle loro azioni. Ad esempio, credo che se il Pci è stato per decenni il primo partito comunista dell’Occidente e se oggi esiste il Pd che ne è l’erede organizzativo, molto sia dipeso da Togliatti. Se il Partito socialista italiano ha preceduto di venticinque anni gli altri nell’implosione, molto è dipeso da Craxi. Se Forza Italia è nata e ha a lungo governato, molto è dipeso da Berlusconi.
Tutto questo porta al significato, al ruolo e all’incidenza di Matteo Renzi, oggi. Se non altro perché della politique politicienne è l’attore principale, in primis mediaticamente ma non solo.
E la questione non è tanto, secondo me, quanto Renzi ha “portato a destra” il Pd: tema quanto meno controverso, per chi ricorda le decisioni concrete di governo (ma anche all’opposizione) sotto le precedenti segreterie, dal pacchetto Treu al fiscal compact, dall’inseguimento di Casini a quello di Fini.
La questione è piú sottile, forse. Ed è quanto impatta Renzi – proprio lui, come persona – in tutto quello che è cambiato non solo nel quadro politico, ma anche nella realtà del paese, nelle sue speranze disattese, nel senso diffuso di delusione e di trascinamento, nello scuotimento quasi unanime ed esamine di teste di fronte alla polemica del giorno, nella stanchezza verso la politica vista come un teatro assurdo e lontano in cui è in gioco il potere di uno e non i destini di tutti.
Questo mi chiedo, oggi, forse anche oltre la stessa volontà e lo stesso ego pure ipertrofico dell’ex premier che ha diviso l’Italia in una curva di suoi fan contro una curva di suoi odiatori, e in mezzo gli altri trenta milioni che non ne possono del derby sulla sua persona in corso ogni giorno nei Palazzi della politica, sui media, sui social.
Questo mi chiedo circondato dalle anticipazioni del suo libro, dalle dichiarazioni e controdichiarazioni, dalle battute e dalle controbattute, dai retroscena su chi sale e chi scende alla sua corte, dalle previsioni su quando farà cadere il governo, dallo scazzo quotidiano con Letta o con D’Alema o con Grillo, tutti scazzi di cui non ci importa piú nemmeno capire torti e ragioni talmente ne siamo esausti.
Questo mi chiedo, è ovvio, anche vedendo una sinistra arrotolata attorno alla persona di Renzi, al suo detestarlo fino a considerarlo il principale nemico o alla sua speranza che cambi, che lasci, che studi, ma insomma sempre arrotolata lì.
Questo mi chiedo e non ho molte risposte tranne che sì, le persone contano, almeno sul breve della politica. E noi in Italia non siamo stati molto fortunati nell’esprimere queste persone – o forse solo non siamo più capaci di esprimere o premiare nulla di meglio di lui e di quelli con cui litiga sui giornali.
Fonte: http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/2017/07/13/renzi-e-le-gambe-della-politica/.