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Lingua italiana. Il coraggio di guardarsi allo specchio

L’abitudine di usare la grammatica per valutare le persone, e decretare chi non sia all’altezza del nostro presunto alto livello. La cedevolezza delle regole [Emilio M. Piano]

Lingua italiana. Il coraggio di guardarsi allo specchio
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23 Febbraio 2015 - 19.00


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di Emilio Marco Piano.

È vero, certi
errori di ortografia e grammatica sono buffi e suscitano ilarità, sia perché fa
ridere il risultato strambo in sé, indipendentemente dalla gravità degli
errori, sia perché colpisce l’ingenuità di chi li commette.

In effetti è molto
diffusa l’abitudine di usare la grammatica per valutare le persone, per leggere
la vita del malcapitato con cui abbiamo a che fare, per decretare che non è
all’altezza del nostro presunto alto livello.

Cominciamo col dire
che è quantomeno curioso che tutti, proprio tutti, anche quelli che pensano che
l’italiano sia solo una canzone di Toto Cutugno, sono convinti di appartenere
alla categoria dei profondi conoscitori della nostra lingua e perciò ridono
degli errori altrui e s’indignano di fronte alla presunta decadenza di questo
italiano allo sfascio e bla bla bla. Oggi tutti s’indignano e bla bla bla,
tutti pensano di essere gli ultimi depositari della preziosa lingua di Dante
che sta andando perduta, tutti si autoinseriscono d’ufficio nella categoria dei
buoni parlanti, dei buoni scriventi, dei benpensanti, proprio come i razzisti
sfigati credono di appartenere alla schiera di fantasiosi esseri superiori,
senza rendersi conto che sono inferiori per la sola presunzione di considerarsi
superiori.

Più che
grammaticale, il problema è antropologico: arrivare a sbandierare a vanvera la
presunta qualità e precisione nello scrivere per considerarsi umanamente
migliori di altre persone, senza capire che non solo è eticamente sbagliato
pensarlo ma che è una posizione che, in genere, proprio chi la assume non può
permettersi.

Di fatto – salvo
poche eccezioni – ognuno parla un proprio idioma inventato, un italiano
personale con regole che si dà da solo, a partire dalla buccia di banana della
punteggiatura, e senza nessun riscontro in quella bibbie − che tanto invoca −
chiamate grammatica e vocabolario.

Tutto questo
marasma della soggettività serve forse a distinguere con una linea netta i
buoni dai cattivi, i migliori dai peggiori, gli ignoranti dai dotti? In realtà
esistono persone intelligenti, acute, dotate di ottima cultura che commettono
errori di ortografia ed esistono persone stupide, vuote, ottuse, perfino
ignoranti che apparentemente non ne commettono; dico “apparentemente”
perché spesso le loro lacune grammaticali sono più nascoste ma non meno gravi.

In verità quelli
che commettono errori di ortografia e che genericamente non dominano
perfettamente l’italiano non danno fastidio perché si esprimono umilmente con i
mezzi a propria disposizione, senza voler sembrare ciò che non sono; invece dà
veramente fastidio e fa anche pena chi ride dei primi convinto di conoscere
tutti i segreti della nostra lingua e commette a sua volta strafalcioni di cui
non ha idea, perché non apre una grammatica da quando era alle scuole medie e
da allora non ha più avuto bisogno di rinfrescare la memoria, aggiornarsi,
consultare un dizionario, usare Google per ricercare, verificare, controllare,
raffrontare, fugare dubbi, imparare, infine capire che spesso si porta appresso
minchiate imparate male a 12 anni e peggiorate negli anni, con la presunzione
che solo il vero ignorante prepotente sa avere.

Questi presuntuosi
− che vogliono giocare al gioco delle regole e non conoscono le regole − vivono
tra noi e si riconoscono dalle loro convinzioni granitiche, dalla loro
incapacità di avere incertezze generatrici di sapere e quindi di certezze
autentiche. Ecco, di fronte a questo quadro desolante, non è forse più
giustificabile e apprezzabile e innocuo chi usa un italiano zoppicante e
lacunoso, perché forse non ha avuto la possibilità di studiare, dei boriosi
dannosi ignoranti pieni di false certezze che ridono dei primi e sono peggio di
loro?



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