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6 editori si spartiscono la visibilità della scienza

Oligarchia accademica: gran parte dell’editoria scientifica controllata da pochissime aziende editoriali. Una distorsione cresciuta negli anni.

6 editori si spartiscono la visibilità della scienza
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Redazione Modifica articolo

23 Luglio 2015 - 14.39


ATF

di Ethan A. Huff.

Ai nostri giorni, il
flusso della scienza è
fortemente controllato da appena sei grandi gruppi editoriali, i quali, con un progetto ben architettato, si
sono impossessati del mercato delle riviste
scientifiche a partire almeno dagli anni settanta. Un nuovo studio originato in Canada rivela che in larga misura è questo
massiccio
consolidamento del potere editoriale a decidere
che cosa si innalzi al rango di “progresso
scientifico”.

Alcuni ricercatori della
University of Montreal hanno attentamente

compulsato la
totalità della letteratura scientifica pubblicata tra il 1973 e il 2013
e hanno scoperto che il
mondo editoriale è cambiato in
modo impressionante
nel corso del periodo esaminato: molti piccoli editori sono stati assorbiti da
quelli più grandi, e alcuni gruppi di
ricercatori universitari
sono diventati sempre più vincolati agli interessi di queste
grosse case editrici
, che tendono a
favorire le grandi industrie, come ad esempio quelle dei prodotti farmaceutici
e dei vaccini.

Molta di quell’indipendenza
che un tempo veniva apprezzata e tutelata in seno alla comunità scientifica, in
altri termini, andava a sparire via via che i grossi editori prendevano il
controllo, tanto che a quel punto dettavano quale tipo di
contenuti
pubblicare. Il
risultato è che si è creato un oligopolio editoriale dentro il quale
gli scienziati sono tenuti al guinzaglio, obbligati a seguire una tendenza
onnicomprensiva verso il
“politicamente
corretto” e una “scienza” al servizio dell’industria.

Il Professore Vincent Larivière,
principale autore della ricerca prodotta

dalla School
of Library and Information
Science (scuola di
biblioteconomia e informatica, ndt)
della University of Montreal, ha affermato che «complessivamente, i grossi editori
controllano oltre metà del
mercato editoriale
scientifico sia nelle scienze naturali e mediche,
sia in campo umanistico», e ha aggiunto: «Questi grandi editori
commerciali hanno enormi volumi di vendite, con margini di profitto vicini al
40 per cento.
Mentre è vero che gli editori hanno storicamente ricoperto
un ruolo vitale nella diffusione della conoscenza scientifica nell’era della
carta stampata, è discutibile se siano ancora necessari nell’odierna era
digitale».

La seguente infografica di
Natural News illustra

l’inquietante portata dell’oligarchia
accademica:

6 grossi editori controllano i
campi della chimica, della psicologia e delle
scienze sociali

I campi in maggior
misura controllati da questa oligarchia accademica includono quelli che hanno a
che fare
con la chimica, la psicologia, le scienze sociali e i settori
professionali. Dall’altro lato, la ricerca biomedica, la
fisica nonché le arti e materie umanistiche sono influenzate
in una misura assai inferiore da queste grandi case editrici, secondo quanto
evidenzia la ricerca.

Tutto ciò suggerisce che,
nel corso del tempo, certe

discipline sono diventate più corrotte
di altre mano a mano che
venivano assorbite dalla grandeeditoria. Simili contenuti, ancorché
risultino spesso deformati, sono
lautamente profittevoli

per gli editori che non solo non devono pagare per
gli articoli che pubblicano, ma rivendono i contenuti digitalmente
con margini di profitto fino al 40 per cento.

Larivière ha precisato che «finché il pubblicare
una ricerca su una rivista scientifica con elevato
fattore di impatto costituirà un requisito affinché i ricercatori ottengano i
finanziamenti per la ricerca e i riconoscimenti dei loro pari, i maggiori gruppi
editoriali commerciali continueranno a mantenere ferma la loro presa sul sistema
dell’editoria accademica».

Ma l’essere pubblicati da una rivista dei “Grandi Sei” non aggiunge
più valore, rivela la ricerca.

Pubblicare su una
rivista scientifica a impatto elevato fa

davvero differenza in termini di esposizione
dell’articolo e di quantità di citazioni
scientifiche?
Non proprio, hanno scoperto i ricercatori. La portata è all’incirca la stessa,
hanno rilevato, tranne che è meno probabile che i piccoli editori promuovano
attivamente un quadro di interessi particolari, ed è pertanto meno plausibile
che censurino contenuti scientifici che non corrispondono con le versioni ufficiali.

«Ci
si aspetterebbe che l’acquisizione di una rivista da parte di un pezzo grosso
dell’editoria abbia come effetto di aumentarne la visibilità», ha affermato
Larivière. «Tuttavia, la nostra ricerca dimostra che non vi è un chiaro
incremento in termini di citazioni dopo il passaggio da un piccolo a un grande
editore».

«Le
nostre ricerche mettono in discussione il valore aggiunto reale dei grossi
editori. In sostanza, la questione è se i servizi offerti alla comunità
scientifica da questi editori giustifichino la quota crescente dei bilanci
universitari stanziata per loro»

Tra le fonti di questo articolo
sono ricompresi:

Traduzione per Megachip a cura di Rosa Pau.

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