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'Quale obiettivo dopo l''Iraq?'

'Gli USA finanziano apertamente l''opposizione armata siriana e installano vasti eserciti intorno all''Iraq, ma la minaccia va verso un terzo obiettivo. [Thierry Meyssan]'

'Quale obiettivo dopo l''Iraq?'
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30 Giugno 2014 - 20.06


ATF

«Sotto
i nostri occhi», cronaca di politica internazionale n°87

di
Thierry Meyssan
.

La
richiesta della Casa Bianca di avere 500 milioni di dollari per
sostenere «l”opposizione siriana moderata» – sebbene lo stesso
presidente Obama l”abbia definita come «incapace di rovesciare il
presidente Assad» – è stata presentata come un impegno tardivo di
Washington in Siria. Ma per Thierry Meyssan, questo dispositivo non è
centrato sulla Siria: gli Stati Uniti installano vasti eserciti
intorno all”Iraq e minacciano un terzo obiettivo.

Mentre
la ministra della presidenza siriana, Bouthaina Shaaban, si trovava a
Mosca, è stata invitata dal ministero norvegese degli Esteri a
partecipare a un forum internazionale. Assieme a oltre 170 funzionari
siriani, la signora Shaaban figura sulla lista delle personalità
soggette a sanzioni occidentali, in particolare soggette a divieti di
viaggio.

Bouthaina
Shaaban è andata direttamente a Oslo, senza ritornare a Damasco. Lì,
ha incontrato il 18 e 19 giugno l”ex presidente americano Jimmy
Carter, l”attuale numero 2 dell”ONU, il diplomatico USA Jeffrey
Feltman, nonché il Capo di Stato Maggiore del presidente iraniano
sceicco Hassan Rohani.

Perché
dunque la Norvegia, uno Stato membro della NATO, ha preso questa
iniziativa? Quali sono i messaggi che gli Stati Uniti desideravano
trasmettere? Che cosa volevano negoziare con la Siria?

Nessuna
delle due parti ha emesso comunicati su questi colloqui e il sito web
del Forum di Oslo è disperatamente muto.

Il
bilancio operativo statunitense all”estero

Pochi
giorni dopo, il 25 giugno, il presidente Obama ha presentato al Congresso il suo budget 2015 per le operazioni diplomatiche e
militari all”estero (
Overseas
Contingency Operations –
OCO).
Su 65,8 miliardi, 5 miliardi saranno destinati alla creazione del
Fondo di partenariato anti-terrorismo (
Counterterrorism
Partnerships Fund

– CTPF) che il presidente aveva annunciato nel suo discorso di West
Point, lo scorso 28 maggio [1].

Secondo
un comunicato della Casa Bianca, 4 miliardi saranno gestiti dal
Pentagono, e il quinto dal Dipartimento di Stato.


3 miliardi saranno utilizzati sia per addestrare le forze
antiterrorismo locali, sia per lottare contro le ideologie radicali,
sia per combattere il finanziamento del terrorismo, sia per
promuovere maniere “democratiche” di governare.


1,5 miliardi saranno utilizzati per prevenire l”estensione del
conflitto siriano con i suoi vicini, tanto formando i servizi di
sicurezza che chiudono le frontiere quanto aiutando i rifugiati.


0,5 miliardi saranno utilizzati per «addestrare ed equipaggiare gli
elementi controllati dell”opposizione armata siriana per aiutare a
difendere il popolo siriano, stabilizzare le aree sotto il controllo
dell”opposizione, facilitare la fornitura di servizi essenziali,
contrastare le minacce terroristiche, e promuovere le condizioni per
una «soluzione negoziata».


Infine, 0,5 miliardi saranno conservati per affrontare nuove
situazioni di crisi.

Stando
al comunicato della Casa Bianca, che cosa mai significherà
«stabilizzare
le aree sotto il controllo dell”opposizione»? Non può trattarsi di
creare embrioni di Stato poiché queste aree sono troppo piccole e
disgiunte. Probabilmente si tratta di creare zone di sicurezza per
Israele. La prima lungo la frontiera israelo-siriana e la seconda
presso il confine turco-siriano, in modo che in caso di conflitto
Damasco possa essere presa a tenaglia. Queste aree dovrebbero essere
assegnate a «elementi controllati dell”opposizione armata siriana»,
confermando l”idea che il sostegno di Washington ai Contras non mira
più tanto a rovesciare lo Stato siriano, quanto unicamente a
proteggere l”insediamento ebraico di Palestina.

Questa
tattica deve essere confrontata con la dichiarazione del presidente
Obama del 20 giugno a
CBS
This Morning
:
«Penso che questa idea che ci fosse una forza siriana moderata in
grado di sconfiggere [il presidente siriano Bashar] Assad
semplicemente non sia vera, e voi lo sapete, abbiamo passato molto
tempo a cercare di lavorare con un”opposizione moderata in Siria
(…) L”idea che fosse in grado di rovesciare improvvisamente non
solo Assad, ma anche degli spietati jihadisti, altamente qualificati,
a condizione che le inviassimo alcune armi è una fantasia e credo
che sia molto importante per il popolo americano -. ma forse ancora
più importante, per Washington e per la stampa – capirlo.»[2].

Washington
rischia una condanna della Corte internazionale di giustizia

Se
il Congresso l”approva, l”assistenza fornita dagli Stati Uniti agli
jihadisti in Siria sarà trasferita da un programma segreto della CIA
a un vasto programma pubblico del Pentagono.

Questo
trasferimento viola alla base il diritto internazionale, che
proibisce severamente di sostenere finanziariamente e addestrare
militarmente gli oppositori in un paese terzo, tanto più se lo si fa
per dividerlo in due Stati. Il semplice fatto di annunciarlo come
obiettivo, anche se il Congresso dovesse respingerlo, costituisce una
minaccia contro la Siria che viola il diritto internazionale. Non cӏ
dubbio che la Siria otterrebbe una condanna degli Stati Uniti se
dovesse portare la denuncia davanti alla Corte internazionale di
giustizia, vale a dire presso il tribunale interno delle Nazioni
Unite. Nel 1984, il Nicaragua aveva depositato così una denuncia
contro gli Stati Uniti per via del loro sostegno ufficiale ai
Contras. Occorre contare da uno a due anni affinché la Corte emetta
la sentenza.

Non
dovremmo dunque sorprenderci del fatto che il timido segretario
generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, abbia pubblicato uno
strano editoriale in cui pur dicendone di ogni colore contro la
Siria, definisce nel giro di una sola frase come sia «irresponsabile
da parte delle potenze straniere continuare a sostenere militarmente
le parti che commettono atrocità e gravi violazioni dei diritti
umani nonché delle norme fondamentali del diritto internazionale. Ho
insistentemente esortato il Consiglio di sicurezza affinché imponga
un embargo sulle armi.»[3]

Certo,
Washington si è impegnata in questo campo solo dopo aver ottenuto da
Bouthaina Shaaban che il suo paese non avrebbe sporto denuncia contro
gli Stati Uniti. Ma in cambio di che cosa? Chiaramente, benché il
discorso statunitense sia diretto contro la Siria, il suo vero
obiettivo è oggi altrove – e non si tratta semplicemente dell”Iraq.

La
ricerca della destabilizzazione dell”Iraq

Lo
sfondamento dell”EIIL (“Daesh”) continua in Iraq. Pur
fingendo sorpresa e di voler sostenere l”integrità dell”Iraq,
Washington sovrintende subdolamente agli jihadisti, con l”aiuto della
Francia e dell”Arabia Saudita.

Essendo
la favola del gruppo terroristico che conquista in due giorni un
terzo di un grande paese un po” dura da far digerire, i media della
NATO e del
CCG
assicurano ormai che la popolazione sunnita si sia unita all”EIIL.
Nel trascurare il fatto che 1,2 milioni di profughi sunniti e
cristiani siano in fuga dagli jihadisti, questa spiegazione maschera
meglio la preparazione dell”invasione da parte di Washington.

Come
previsto, gli Stati Uniti hanno confermato che non interverranno con
le truppe di terra e minacciano gli Stati che venissero in aiuto del
governo iracheno di Nouri al-Maliki. Così, quando quest”ultimo ha
ringraziato la Siria di essere entrata in territorio iracheno per
bombardare le colonne dell”EIIL, John Kerry ha aggrottato le
sopracciglia: «Abbiamo messo in chiaro a tutti gli attori della
regione che non abbiamo bisogno che si verifichi qualcosa in grado di
esacerbare le tensioni settarie che sono già molto elevate» [4].

Nella
sua grande mansuetudine, il presidente Obama ha concesso l”invio di
300 soldati, essenzialmente per proteggere gli edifici USA, lasciando
il governo di Nouri al-Maliki solo ad affrontare il suo destino.
Affranto, il primo ministro è in cerca di nuovi alleati. Piuttosto
che aspettare invano gli F-16, ha appena acquistato bombardieri dalla
Bielorussia e dalla Russia.

L”Iran
ha inviato armi e consiglieri, ma non combattenti, per venire in
aiuto dei soli sciiti. Chiaramente, cӏ un accordo, almeno tacito,
tra Washington e Teheran per smantellare l”Iraq. Avremmo voluto tanto
sapere che cosa l”ambasciatore Jeffrey Feltman e il capo di gabinetto
del presidente Hassan Rohani sono riusciti a dire alla ministra della
presidenza siriana Bouthaina Shaaban.

Il
massimo che si può dedurre è che l”Iran e la Siria abbiano
condizionato la loro passività o i loro aiuti al piano USA al
mantenimento di un corridoio di traffico tra i loro due paesi,
attualmente tagliato dall”EIIL.

In
ogni caso, il piano di rimodellamento del «Medio Oriente allargato»
(
Greater
Middle East
)
ha un”inizio di concretizzazione in Iraq nonostante i tentativi
falliti del 2003 e del 2007. In generale, si deve ammettere che lo
smantellamento di uno Stato non si può fare in un giorno, ma
richiede almeno un decennio di caos preliminare.

I
turchi, che sono i primi a soffrire, hanno ricevuto Nechirvan Barzani
ad Ankara. Il Primo Ministro del governo r
egionale
del Kurdistan iracheno li ha rassicurati sul fatto che non avrebbe
mai restituito Kirkuk al governo federale di Baghdad e che si muove
verso l”indipendenza, garantendo nel contempo che non avrebbe tentato
di sollevare i curdi della Turchia. Ankara dispone quindi di tempo
davanti a sé, ancorché la logica degli eventi riemergerà
inevitabilmente nei prossimi anni, causando l”esplosione della
Turchia. Messo alle strette, il governo di Recep Tayyip Erdoğan ha
chiuso la sua frontiera con la Siria, cessando di colpo il suo
sostegno ai mercenari stranieri che alimenta in armi da tre anni e ai
quali ha fornito una base in retrovia. Non solo teme che rapidamente
i suoi curdi si sollevino, ma anche che il suo esercito approfitti
della situazione per rovesciarlo.

Il
riallineamento di ex ufficiali e soldati della Guardia presidenziale
di Saddam Hussein con l”EIIL cambia tutto. Questi uomini intendono
innanzitutto vendicarsi del loro accantonamento da parte del governo
al-Maliki, di cui ritengono responsabili sia gli Stati Uniti, sia
l”Iran che l”Arabia Saudita. Dopo aver ricoperto delle
responsabilità, non hanno alcuna difficoltà a lavorare oggi per
Washington, come pure fece a suo tempo il loro leader Saddam Hussein.
Sanno che le ambizioni iraniane si fermereanno alle sole popolazioni
sciite e pertanto indirizzano la loro vendetta contro l”Arabia
Saudita.

Il
presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi ricevuto dal re Abdallah
dell”Arabia Saudita a bordo del suo aereo.

L”obiettivo
saudita

In
questa prospettiva, Washington ritiene che sia giunto il momento di
rimodellare il regno saudita, secondo il piano di Laurent Murawiec.
Nel 2002, lo stratega francese aveva concluso la sua presentazione al
Pentagono con queste tre espressioni: «L”Iraq è il perno tattico;
l”Arabia Saudita è il perno strategico; l”Egitto sarà la
ricompensa» [5]. In altre parole, i sauditi potranno essere
rovesciati solo dopo l”Iraq, e chi causerà la loro caduta
controllerà l”Egitto.

Consapevole
del fatto di essere il prossimo obiettivo, la dinastia ha lasciato da
parte i suoi litigi familiari per difendere i propri interessi
comuni. Re Abdallah, che ha trascorso un lungo periodo di riposo in
Marocco, è tornato a Riyadh. Per inciso, il suo aereo ha segnato una
tappa al Cairo. Non potendo muoversi, il re ha ricevuto il generale
al-Sisi nel suo aereo [6]. Gli ha confermato che gli Stati Uniti non
sarebbero in grado di sfrattare la sua famiglia così presto. E per
farsi ben capire, gli ha garantito che il regno controllava e tuttora
controllerebbe l”EIIL. Ecco perché aveva deciso di richiamare al suo
servizio il principe Bandar bin Sultan, che lo accompagnava a bordo
dell”aereo.

A
partire dal 2001 e la morte reale di Osama bin Laden, il principe
Bandar è stato il capo del movimento jihadista internazionale.
Poiché questo gran maestro della guerra segreta non è riuscito a
rovesciare Bashar al-Assad e siccome ha litigato con gli Stati Uniti
durante la crisi delle armi chimiche, è stato rimosso su richiesta
di John Kerry. Il suo ritorno è la carta vincente dei Saud:
Washington non può sperare di lanciare gli jihadisti alla conquista
del regno finché lui ne sarà a capo.

Furioso,
il Segretario di Stato John Kerry si è recato all”improvviso al
Cairo per mettere in guardia il presidente Abdel Fattah al-Sisi,
affinché non metta tutte le uova nello stesso paniere. Il regime
militare egiziano è infatti diventato totalmente dipendente dalle
donazioni saudite. John Kerry ha stanziato 572 milioni di dollari (un
terzo dei soliti aiuti all”Egitto, bloccati dal colpo di Stato) e ha
annunciato l”imminente consegna di 10 elicotteri Apache promessi da
tanto tempo per stabilizzare il Golan (e quindi per garantire la
sicurezza di Israele).

Proseguendo
i suoi viaggi volti a preparare la destabilizzazione dell”Arabia
Saudita, John Kerry il 25 giugno era al vertice NATO, a Bruxelles.Lì
ha sottolineato che la situazione in Iraq doveva spingere a
«considerare da un”angolazione strategica la raccolta dei dati
d”intelligence, i preparativi, la risposta, i tempi di reazione, la
natura della risposta», in altre parole, la «disponibilità
operativa» che sarà all”ordine del giorno del vertice del Galles,
il 4 e 5 settembre prossimi.

Il
giorno successivo, il 26, il Segretario di Stato ha incontrato a
Parigi i suoi omologhi di Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e
Giordania. Secondo l”Associated Press, Washington spera che l”Arabia
Saudita e la Giordania utilizzeranno le tribù beduine
transfrontaliere per il trasporto di armi e denaro volti a sostenere
i sunniti iracheni (leggi: sostenere l”EIIL) [7].

Continuando
il suo viaggio, John Kerry è andato, il 27, in Arabia Saudita. Ha
incontrato il presidente della Coalizione nazionale siriana Ahmad
Jarba. Ha allora sottolineato che Jarba è un membro della tribù
beduina degli Shammar (come il re Abdallah), che si disloca anche in
Iraq e che l”«
opposizione
siriana moderata
»
poteva aiutare militarmente a stabilizzare l”Iraq [8].

Ci
si chiede come delle persone che sono state “incapaci” di
rovesciare la Siria, nonostante tutti gli aiuti loro apportati,
potrebbero svolgere un ruolo militare in Iraq e perché mai Jarba,
che intrattiene dei legami personali con l”EIIL, andrebbe a
combatterlo.

La
parata saudita

Appena
prima di ricevere il segretario di Stato, il re Abdallah decideva di
«adottare tutte le misure necessarie per proteggere le conquiste
della nazione e del suo territorio, e la sicurezza e la stabilità
del popolo saudita (…) nel caso in cui delle organizzazioni
terroristiche o altre fossero suscettibili di compromettere la
sicurezza del paese
».
[9]

Lungo
la stessa linea, il re Abdallah ha deciso di affidare la gestione
della questione irachena al principe Bandar bin Sultan, che aveva
rimosso appena il 15 aprile su richiesta di John Kerry, sia a causa
della sua incapacità di rovesciare il presidente Bashar Assad sia
per la sua improvvisa animosità contro l”amministrazione Obama.

Riyadh
è pronta ad aiutare Washington a smantellare l”Iraq, ma non lascerà
che sconfini in Arabia.

Comprendendo
il messaggio, il «Governo provvisorio» siriano – istituito dalla
Coalizione Nazionale – ha deposto il generale Abdel Ilah al-Bashir
e il suo intero stato maggiore. Non avendo più né truppe né
ufficiali, la coalizione potrebbe dire con certezza che, al momento
del ricevimento, i 500 milioni di dollari promessi andrebbero quasi
direttamente all”EIIL.


NOTE:

[1]
«
Discours
à l’académie militaire de West Point
»,
di Barack Obama,
Réseau
Voltaire
,
28 maggio 2014.

[3]
«Crisis
in Syria: Civil War, Global Threat
»,
di
Ban
Ki-Moon,
Huffington
Post
,
25 giugno 2014. Versione francese:

«
Syrie:
mettre fin à l’horrible guerre
»,
Le
Temps
,
27 giugno 2014.

[4]
“Kerry issues warning after Syria bombs Iraq”, par Hamza Hendawi
et Lara Jakes, Associated Press, 25 juin 2014.

[5]
Il lettore scaricherà
qui
il testo dell”esposizione Powerpoint che mi aveva a quel tempo
trasmesso un informatore statunitense. Purtroppo, ho perso le
immagini.
Taking
Saudis out of Arabia
,
Laurent Murawiec, Defense Policy Board, 10 luglio 2002.

[6]
“
Saudi
king makes landmark visit to Egypt
”,
Al-Arabiya,
20 giugno 2014.

[7]
“US, Sunni States Meet on Mideast Insurgent Crisis”, di Lara
Jakes, Associated Press, 26 giugno 2014.

[8]
«
Kerry,
Syrian Coalition Leader During Their Meeting in Jeddah
»,
Department of State, 27 giugno 2014.

[9]
«Decreto della Corte reale: il servitore delle Due Sante Moschee
ordina di prendere dtutte le misure necessarie per preservare la
sicurezza del regno», Agenzia di stampa saudita, 26 giugno 2014.


Questa “cronaca settimanale di politica estera” appare simultaneamente in versione araba sul quotidiano“Al-Watan” (Siria), in versione tedesca sulla “Neue Reinische Zeitung”, in lingua russa sulla “Komsomolskaja Pravda”, in inglese su “Information Clearing House”, in francese sul “Réseau Voltaire”.

Thierry Meyssan, 29 giugno 2014.

Traduzione a cura di Matzu Yagi.

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