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Le operazioni militari che si stanno preparando in Siria e dintorni

'Thierry Meyssan descrive qui lo scenario che si sta profilando nell''intricatissima guerra siriana, mentre ogni parte prepara le sue armi per un confronto più ampio'

Le operazioni militari che si stanno preparando in Siria e dintorni
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14 Dicembre 2015 - 05.10


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«Sotto i nostri occhi» – Cronaca di politica
internazionale n°158

di Thierry Meyssan.

La stampa occidentale parla poco delle
operazioni militari in Siria se non per dire senza alcuna prova che la
Coalizione avrebbe bombardato con successo i jihadisti dell’Isis (Daesh),
mentre la Russia avrebbe ucciso dei civili innocenti. È davvero difficile farsi
un”idea della situazione attuale, tanto più che ogni parte prepara le sue armi
in vista di un confronto più ampio. Thierry Meyssan descrive qui lo scenario
che si sta profilando.

Nell’illustrazione:

Bus
privato siriano decorato con i ritratti di Assad, Putin e Nasrallah, i tre
uomini che incarnano la resistenza all”aggressione straniera.

Il silenzio che circonda le operazioni
militari in Iraq e in Siria non vuol dire che la guerra si sia interrotta, ma
che i diversi protagonisti si stanno preparando a un nuovo round.

Le forze della Coalizione

Sul versante imperiale rimane la più grande
confusione. Sulla base delle contraddittorie dichiarazioni dei leader americani
è impossibile comprendere gli obiettivi di Washington, se ce ne sono. Al
massimo risulta che gli Stati Uniti lasciano che la Francia prenda l”iniziativa
a capo di una parte della Coalizione, ma ancora se ne ignorano gli obiettivi
reali.

Certo, la Francia dichiara di voler
distruggere l’Isis (Daesh) per rappresaglia dopo gli attacchi del 13 novembre a
Parigi, ma l’aveva già affermato prima degli attentati. Le dichiarazioni
precedenti rientravano nella comunicazione, non nella realtà. Così la
petroliera Mecid Aslanov, proprietà della società BMZ Group di Bilal Erdoğan
(figlio del presidente turco), il 9 novembre 2015 ha lasciato il porto francese
di Fos-sur-Mer dopo aver impunemente consegnato del petrolio che si garantiva
essere stato estratto in Israele, ma che in realtà era stato trafugato
dall’Isis in Siria. Nulla autorizza a pensare che oggi le cose siano cambiate e
che si dovrebbero prendere sul serio le ultime dichiarazioni ufficiali.

Il 4 dicembre, il presidente francese
Hollande e il suo ministro della Difesa Le Drian sono saliti a bordo della
portaerei Charles de Gaulle al largo della Siria e hanno annunciato un
cambiamento di missione, senza spiegazioni. Come in precedenza aveva dichiarato
il capo di stato maggiore dell”esercito, generale de Villiers, la nave è stata
dirottata verso il Golfo Persico.

La componente aeronavale che fa capo alla
Charles de Gaulle è costituita dalla sua flotta aerea a bordo (18 Rafale
Marine, 8 moderni Dassault Super Étendard, 2 Hawkeye, 2 elicotteri Dauphin e 1
elicottero utility Alouette III), dalla fregata di difesa aerea Chevalier Paul,
dalla fregata antisommergibile La Motte-Picquet, dalla nave di comando e
rifornimento Marne, dalla fregata belga Leopoldo I, dalla fregata tedesca Augsburg
e, benché il ministero della Difesa lo neghi, da un sottomarino nucleare
d’attacco. Collegata a questa operazione, la fregata leggera Courbet dotata di
tecnologia stealth è rimasta nel
Mediterraneo orientale.

Le forze europee sono state integrate nella
Task Force 50 della USNavCent, ossia la flotta del Comando Centrale degli Stati
Uniti, nel complesso qualcosa come una sessantina di navi.

Le autorità francesi hanno dichiarato che
il contrammiraglio René-Jean Crignola ha preso il comando di questa forza
internazionale, senza precisare che è sottoposto all”autorità del comandante
della Quinta Flotta, il viceammiraglio Kevin Donegan, a sua volta sotto
l”autorità del generale Lloyd J. Austin III, comandante del CentCom. È infatti
una regola assoluta dell”Impero che il comando delle operazioni sia sempre
degli ufficiali statunitensi, per cui gli alleati sono solamente degli
ausiliari. In effetti, a parte la promozione relativa del contrammiraglio
francese, ci troviamo nella stessa situazione del febbraio scorso: una
coalizione internazionale che dovrebbe lottare contro Daesh, la quale per un
anno ha certamente moltiplicato i voli di ricognizione e ha distrutto le
installazioni petrolifere cinesi, ma senza alcun effetto sul suo obiettivo
ufficiale: Daesh. Anche in questo caso, nulla autorizza a pensare che le cose
cambieranno.

La Coalizione ha dichiarato di aver
effettuato nuovi bombardamenti e di aver distrutto diversi insediamenti di
Daesh, tuttavia queste autoattribuzioni non sono verificabili e a maggior ragione
in quanto l”organizzazione terroristica non ha mai espresso la minima protesta.

Riguardo a questa operazione possiamo
concludere che la Francia può svolgere la propria strategia, ma che gli Stati
Uniti possono in qualsiasi momento riprendere la situazione in mano.

Le forze terroristiche

Potremmo esaminare qui le organizzazioni
terroristiche, ma non sarebbe che fingere, come la NATO, di credere che questi
gruppi sono formazioni indipendenti sorte dal nulla, con i loro stipendi, le
loro armi e i loro pezzi di ricambio. Più seriamente, i jihadisti sono
mercenari al servizio della Turchia, dell’Arabia Saudita e del Qatar − sembra
infatti che gli Emirati Arabi Uniti si siano quasi completamente ritirati da
questa impresa − cui vanno aggiunte alcune multinazionali come Academi, KKR e
Exxon-Mobil.

La Turchia continua il suo schieramento
militare a Bachika (Iraq) a sostegno dei curdi del presidente Barzani, che però
è illegittimo in quanto, essendo terminato il suo mandato, rifiuta di lasciare
il potere e di indire nuove elezioni. Richiesto dal governo iracheno di
ritirare i suoi soldati e carri armati, il governo di Ankara ha risposto di
aver inviato quegli uomini per proteggere degli istruttori impiegati secondo un
precedente accordo internazionale e di non essere pronto a rimuoverli. Ne ha
anche aggiunto di nuovi, portando le proprie forze sul campo ad almeno 1000
soldati e 25 carri armati.

L’Iraq si è rivolto al Consiglio di
Sicurezza dell’Onu e alla Lega Araba, senza provocare il minimo turbamento da
nessuna parte.

La Turchia e l”ex governatore di Mosul,
Atheel al-Nujaifi, vorrebbero essere presenti quando verrà strappata la città a
Daesh e impedire che venga occupata dalle forze di mobilitazione popolare
(al-Hashd al-Shaabi), a forte maggioranza sciita.

Evidentemente tutti lo desiderano: il
presidente illegittimo Barzani è convinto che nessuno metterà in dubbio la sua
annessione dei campi petroliferi di Kirkuk e delle montagne del Sinjar; il leader del curdi siriani Saleh Muslim immagina che presto sarà
presidente di uno pseudo-Kurdistan riconosciuto a livello internazionale
;
infine il presidente Erdoğan pensa che gli arabi di Mosul sperino di essere
liberati e governati dai turchi come all”epoca ottomana.

D’altra parte, la Turchia ha schierato in
Ucraina la brigata internazionale musulmana che ha ufficialmente creato lo
scorso agosto. Questi jihadisti, prelevati dallo scenario operativo siriano, al
loro arrivo a Kherson sono stati divisi in due gruppi. La maggior parte è
andata a combattere nel Donbass all’interno delle brigate Cheikh Manour e
D?okhar Dudaev, mentre i migliori elementi si sono infiltrati in Russia per
sabotare l”economia della Crimea: sono così riusciti a interrompere totalmente
l”elettricità della Repubblica per 48 ore.

L”Arabia Saudita ha riunito i suoi
mercenari a Riad per costituire una delegazione in vista dei prossimi negoziati
organizzati dal direttore degli Affari politici delle Nazioni Unite, il
neoconservatore americano Jeffrey Feltman.

I sauditi non hanno invitato rappresentanti
di Al-Qa”ida né di Daesh ma solo dei gruppi wahabiti che lavorano con loro,
come Jaysh al-Islam o Ahrar al-Sham. In teoria, quindi, alla conferenza non
c’erano “gruppi terroristici” presenti nell’elenco del Consiglio di
sicurezza delle Nazioni Unite, ma in pratica tutti i partecipanti combattono in
seno, in nome o al fianco di Al-Qa”ida o Daesh senza rivendicarne la
denominazione, poiché la maggior parte di questi gruppi sono guidati da
personalità legate ad Al-Qā
ʿida o Daesh. Così il gruppo armato antigovernativo
siriano Ahrar al-Sham è stato creato poco prima dell”inizio degli eventi in
Siria dai Fratelli Musulmani e da alti esponenti di Al-Qa”ida provenienti
dall’entourage di Osama bin Laden.

Continuando ad agire come facevano prima dell”intervento
russo, i partecipanti hanno concordato una “soluzione politica” che
parte dall”abdicazione del democraticamente eletto presidente Assad e continua
con una spartizione di potere tra loro e le istituzioni repubblicane. Così,
anche se hanno perso ogni speranza di ottenerla militarmente, continuano a
prendere in considerazione una resa della Repubblica araba siriana.

Poiché i rappresentanti dei curdi in Siria
non sono stati invitati a questa conferenza, possiamo concludere che l”Arabia
Saudita considera il progetto di pseudo-Kurdistan come separato dal futuro del
resto della Siria. Si noti che l”YPG (la milizia della regione a maggioranza
curda nel nord della Siria, ndt) ha
creato un Consiglio democratico siriano per rafforzare l”illusione di
un’alleanza dei curdi di Selah Muslim con gli arabi sunniti e i cristiani,
mentre in realtà sul campo sono avversari.

In ogni caso, non vi è dubbio che Riad
sostiene gli sforzi della Turchia per creare questo pseudo-Kurdistan e
deportarvi i “suoi” curdi. Infatti è ormai dimostrato che l”Arabia
Saudita ha fornito assistenza logistica alla Turchia per lanciare il missile
aria-aria che ha distrutto il Sukhoi Su-24 russo
.

Infine, il Qatar finge sempre di non essere
più coinvolto nella guerra dall”abdicazione dell’emiro Hamad, due anni fa.
Eppure si accumulano le prove delle sue operazioni segrete, tutte dirette non
contro Damasco ma contro Mosca: perciò alla fine di settembre il Ministero
della Difesa del Qatar ha acquistato in Ucraina sofisticate armi antiaeree
Pechora-2D per permettere ai jihadisti di minacciare le forze russe e, più
recentemente, ha organizzato un”operazione sotto falsa bandiera contro la Russia. Sempre
in Ucraina, alla fine di ottobre ha acquistato duemila bombe a frammentazione
OFAB 250-270, di fabbricazione Russia, e il 6 dicembre le ha disseminate su un
campo dell”esercito arabo siriano per accusare di abuso di forza l’esercito
russo. Anche in questo caso, nonostante l”evidenza delle prove, alle Nazioni
Unite nessuno reagisce.

Le forze patriottiche

Le forze russe bombardano i jihadisti dal
30 settembre e hanno in programma di farlo almeno fino al 6 gennaio. La loro
azione mira principalmente a distruggere i bunker che i gruppi armati hanno
costruito e il complesso della loro logistica. Durante questa fase si assiste a
pochi cambiamenti sul campo, tranne un riflusso di jihadisti verso l’Iraq e la
Turchia.

L”esercito arabo siriano e i suoi alleati
stanno preparando una vasta operazione per l’inizio del 2016. Consisterà nel
provocare una rivolta delle popolazioni dominate dai jihadisti e
contemporaneamente nel riconquistare quasi tutte le città del paese, con la
possibile eccezione di Palmira, in modo che i mercenari stranieri si ritirino
nel deserto. A differenza dell”Iraq, dove 120.000 sunniti e baathisti hanno
ricostituito l’Isis solo per vendicarsi di essere stati esclusi dal potere
dagli Stati Uniti a favore degli sciiti, sono rari i siriani che hanno
acclamato il “Califfato”.

Il 21 e 22 novembre, l”esercito russo ha
svolto esercitazioni nel Mediterraneo con il suo alleato siriano. Gli aeroporti
di Beirut (Libano) e di Larnaca (Cipro) hanno dovuto essere parzialmente
chiusi. Il 23 e 24 novembre, il lancio di missili russi sulle posizioni di
Daesh in Siria ha causato la chiusura degli aeroporti iracheni di Erbil e
Sulaymaniyah. Sembra che in realtà l”esercito russo abbia testato l’estensione
del raggio d’azione della sua arma di inibizione delle comunicazioni e dei
comandi della NATO. In ogni caso, l”8 dicembre il sottomarino Rostov-na-Donu ha
lanciato dei missili dal Mediterraneo sulle strutture di Daesh a Raqqa.

La Russia, che già dispone in Siria della
base aerea di Hmeymim (vicino a Laodicea), utilizza anche la base aerea
dell”esercito arabo siriano a Damasco e costruirà una nuova base a Shayrat
(vicino a Homs). Inoltre, alti ufficiali russi hanno effettuato delle
localizzazioni per creare una quarta base nel nord-est della Siria, cioè vicino
sia alla Turchia che all”Iraq.

Infine, un sottomarino iraniano è arrivato
al largo di Tartus.

Hezbollah − che ha dimostrato la sua
capacità nelle operazioni di commando durante la liberazione del pilota del
Sukhoi prigioniero delle milizie organizzate dall”esercito turco − sta
preparando la rivolta delle popolazioni sciite, mentre l”esercito arabo siriano,
per più del 70% sunnita, si concentra appunto sulle popolazioni sunnite.

Il governo siriano ha raggiunto un accordo
con i jihadisti di Homs, i quali hanno finalmente accettato di allinearsi o di
lasciare la città, che è stata evacuata sotto il controllo dell”ONU, tanto che
oggi Damasco, Homs, Hama, Laodicea e Deir el-Zor sono del tutto sicure. Restano
da liberare Aleppo, Idlib e Raqqa.

Contrariamente alle perentorie affermazioni
della stampa occidentale, la Russia non ha assolutamente intenzione di lasciare
il nord del paese alla Francia, a Israele e al Regno Unito per crearvi uno
pseudo-Kurdistan. Il piano dei patrioti prevede la liberazione di tutte le zone
abitate del paese, tra cui Raqqa, l’attuale “capitale del Califfato”.

La quiete precede dunque la tempesta.

Thierry Meyssan, 13 dicembre 2015.

Traduzione a cura di Emilio Marco Piano.

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