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Alla ricerca di un capro espiatorio

'Disponendo della superiorità nella guerra convenzionale, Mosca ha fatto di tutto per collegare il Medio Oriente e l''Europa orientale [Thierry Meyssan]'

Alla ricerca di un capro espiatorio
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22 Ottobre 2016 - 23.18


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«Sotto i nostri
occhi» – Cronaca di politica internazionale n°207

di Thierry
Meyssan
.

Analisi del
cambiamento d”ordine mondiale

A
Berlino, la Germania, la Francia, la Russia e l’Ucraina hanno cercato di
sbloccare i conflitti ucraino e siriano. Tuttavia, da un punto di vista russo,
questi blocchi esistono solo perché l”obiettivo degli Stati Uniti non è la
difesa della democrazia, di cui si vantano, ma impedire lo sviluppo della
Russia e della Cina attraverso l”interruzione delle vie della seta. Disponendo
della superiorità convenzionale, Mosca ha dunque fatto di tutto per collegare
il Medio Oriente e l”Europa orientale. Cosa a cui è pervenuta scambiando
l”estensione della tregua in Siria contro lo stop del blocco degli accordi
Minsk. Da parte sua, Washington è sempre alla ricerca del modo di scaricare la
sua colpevolezza su uno dei suoi alleati. Dopo aver fallito in Turchia, la CIA
si rivolge all’Arabia Saudita.

DAMASCO (Siria) – Il conflitto che
oppone gli Stati Uniti alla Russia e alla Cina si sviluppa su due fronti: da un
lato, Washington sta cercando un possibile capro espiatorio cui dare la colpa
per la guerra contro la Siria, dall”altro Mosca, che ha già collegato i dossier
siriano e yemenita, tenta di legarli alla questione ucraina.

Washington alla ricerca di un capro espiatorio

Per disimpegnarsi a testa alta, gli
Stati Uniti devono far assumere la responsabilità dei loro crimini ai loro
alleati. Hanno tre opzioni: o lasciare il cerino in mano alla Turchia o all’Arabia
Saudita, o a entrambi. La Turchia è presente in Siria e in Ucraina, ma non in
Yemen, mentre l”Arabia è presente in Siria e Yemen, ma non in Ucraina.

La Turchia

Disponiamo ormai di informazioni
verificate su ciò che è realmente accaduto il 15 luglio in Turchia;
informazioni che ci costringono a rivedere il nostro giudizio iniziale.

In primo luogo, si è scoperto che l’affidare
la gestione delle orde jihadiste alla Turchia dopo l”attentato che aveva
colpito il principe saudita Bandar bin Sultan non era cosa che andasse liscia:
infatti, se Bandar era un intermediario obbediente, Erdoğan ha continuato la
sua propria strategia di creazione di un 17° impero turco-mongolo, che lo ha
portato a utilizzare i jihadisti al di fuori della sua missione.

Inoltre, gli Stati Uniti non potevano
non sanzionare il presidente Erdoğan che riavvicinava economicamente il suo
paese alla Russia quando era militarmente un membro della NATO.

Infine, con la crisi intorno al potere
mondiale, il presidente Erdoğan è diventato il capro espiatorio ideale per
uscire dalla crisi siriana.

Da un punto di vista statunitense, il
problema non è la Turchia, indispensabile alleato regionale, né il MIT (servizi
segreti) di Hakan Fidan che organizza il movimento jihadista nel mondo, ma
Recep Tayyip Erdoğan.

Pertanto, il National Endowment for
Democracy (NED) ha inizialmente tentato nell’agosto 2013 una rivoluzione
colorata (la “rivoluzione dei pinguini”) attraverso l”organizzazione
di manifestazioni al parco Gezi di Istanbul. L”operazione non è riuscita o
Washington ha cambiato avviso.

La decisione è stata presa per
rovesciare gli islamisti dell”AKP alle urne. La CIA ha organizzato sia la
trasformazione dell’HDP in un vero e proprio partito delle minoranze e ha preparato
un’alleanza tra esso e i socialisti del CHP. L’HDP ha adottato un programma
molto aperto di difesa delle minoranze etniche (curde) e delle minoranze
sociali (femministe, omosessuali), e include una componente ecologica. Il CHP è
stato riorganizzato sia per nascondere la sovra-rappresentazione degli aleviti al
suo interno [1] sia in vista della promozione della candidatura dell”ex
presidente della Corte suprema. Tuttavia, se l’AKP ha perso le elezioni di
luglio 2015, non è stato possibile realizzare l”alleanza HDP-CHP. Pertanto le
nuove elezioni legislative si sono svolte nel novembre 2015, ma sono state
grossolanamente truccate da Recep Tayyip Erdoğan.

Washington ha dunque deciso di
eliminare fisicamente Erdoğan. Tre attentati hanno avuto luogo tra il novembre
2015 e il luglio 2016. Contrariamente a quanto è stato detto, l”operazione del
15 Luglio 2016 non è stato un tentativo di colpo di Stato, ma solo di
eliminazione di Erdoğan. La CIA aveva usato i legami industriali e militari
turco-statunitensi per reclutare un piccolo team all”interno dell’aeronautica
militare per uccidere il presidente durante le sue vacanze. Tuttavia, questa
squadra è stata tradita da ufficiali islamisti (sono quasi un quarto nelle
forze armate) e il presidente è stato avvisato un”ora prima dell”arrivo del
commando. È stato allora trasferito sotto scorta di militari fedelissimi a
Istanbul. Consapevoli delle conseguenze prevedibili del loro fallimento, i
cospiratori hanno lanciato un colpo di Stato senza preparazione mentre Istanbul
brulicava ancora di gente. Hanno evidentemente fallito. La repressione che è seguita
non ha avuto il solo scopo di fermare gli autori del tentativo di assassinio, e
nemmeno i militari che hanno aderito al colpo di Stato improvvisato, ma l’insieme
dei filo-statunitensi: in primo luogo i laici kemalisti, poi gli islamisti di
Fethullah Gülen. In totale, più di 70 mila persone sono state incriminate e si
è persino dovuto rilasciare criminali comuni per poter imprigionare i filo-USA.

La megalomania del presidente Erdoğan e
il suo delirante palazzo bianco, i suoi brogli elettorali e la sua repressione
a trecentosessanta gradi fanno di lui il capro espiatorio ideale per gli errori
commessi in Siria. Tuttavia, la sua resistenza ad una rivoluzione colorata e
quattro attentati suggeriscono che non sarà possibile eliminarlo rapidamente.

L’Arabia Saudita

L”Arabia Saudita è altrettanto
essenziale per gli Stati Uniti quanto la Turchia. Per tre motivi: in primo
luogo le sue riserve di petrolio sono di un volume e di una qualità eccezionali
(anche se per Washington non si tratta più di consumarle, ma semplicemente di
controllarne la vendita), poi per la liquidità di cui disponeva (ma i suoi ricavi
son calati del 70%) e che le permetteva di finanziare operazioni segrete al di
fuori del controllo del Congresso, infine, per la sua presa sulle fonti del
jihadismo. Dal 1962 e dalla creazione della Lega Islamica Mondiale, Riad
finanzia per conto della CIA i Fratelli Musulmani e la Naqshbandiyya, due confraternite
da cui è passata la totalità dei quadri jihadisti nel mondo.

Tuttavia, la natura anacronistica di
questo Stato, che costituisce la proprietà privata di una famiglia reale del
tutto estranea ai principii generalmente accettati di libertà di espressione e
di religione, costringe a dei cambiamenti radicali.

La CIA ha dunque organizzato, nel
gennaio 2015, la successione del re Abdallah. La notte della morte del sovrano,
la maggior parte degli incapaci sono stati sollevati dalle loro funzioni e il
paese è stato completamente riorganizzato secondo un piano prestabilito. Ora il
potere è spartito da tre clan principali: il re Salman (e il suo figlio prediletto,
il principe Mohammed), il figlio del principe Nayef (l’altro principe Mohammed)
e, infine, il figlio del defunto re (il principe Mutaib, comandante della Guardia
nazionale).

In pratica, il re Salman (81) lascia
suo figlio, il brioso principe Mohammed (31), a governare al suo posto. Costui
ha aumentato l”impegno saudita contro la Siria, poi ha lanciato la guerra
contro lo Yemen. Inoltre, ha lanciato un vasto programma di riforme economiche
e sociali corrispondenti alla sua “Visione per il 2030”.

Purtroppo per lui, i risultati non sono
stati così puntuali: il regno è impantanato in Siria e in Yemen. Quest’ultima
guerra gli si ritorce contro con incursioni Huthi sul suo territorio e loro
vittorie a danno del suo esercito. Sul piano economico, per le riserve di
petrolio assicurate si presagisce il loro esaurirsi e la sconfitta in Yemen
impedisce lo sfruttamento del “Quarto Vuoto” (il deserto di Rub
’ al-Khali, ndt), vale a dire la
regione a cavallo tra i due paesi. Il calo del prezzo del petrolio ha certo
consentito di eliminare molti concorrenti, ma anche prosciugato il Tesoro
saudita che si trova costretto a prendere a prestito sui mercati
internazionali.

L”Arabia non è mai stata così potente e
così fragile. La repressione politica ha raggiunto il picco con la
decapitazione del capo dell”opposizione, lo sceicco Al-Nimr. La rivolta
rimbomba non solo tra la minoranza sciita, ma anche nelle province sunnite
occidentali. A livello internazionale, la Coalizione araba è certamente
impressionante, ma fa acqua da tutte le parti a seguito del ritiro egiziano. Il
riavvicinamento pubblico con Israele contro l”Iran solleva un’opposizione nel
mondo arabo e musulmano. Più che una nuova alleanza, dimostra il panico che si
è impadronito della famiglia reale, ormai odiata da tutti.

Dal punto di vista di Washington, è
giunto il momento di scegliere gli elementi che conviene salvare in Arabia
Saudita per sbarazzarsi degli altri. La logica vorrebbe dunque che si tornasse alla
precedente distribuzione del potere tra il clan dei Sudeiri (ma non il principe
Mohammed bin Salman, dimostratamente incapace) e gli Shammar (la tribù del
defunto re Abdullah).

Il meglio, sia per Washington che per i
soggetti sauditi, sarebbe che il re Salman morisse. Suo figlio Mohammed sarebbe
rimosso dal potere che toccherebbe all’altro principe Mohammed (figlio di
Nayef). Mentre il principe Mutaib manterrebbe la sua posizione. Questa successione
sarebbe più gestibile per Washington se si verificasse prima dell”investitura
del prossimo presidente, nel gennaio 2017. Il neomonarca potrebbe a quel punto scaricare
tutte le colpe sul defunto e annunciare la pace in Siria e nello Yemen. È su
questo progetto che lavora attualmente la CIA.

In Arabia come in Turchia e in altri paesi
alleati la CIA cerca di mantenere le cose come sono. Per questo, si accontenta
di organizzare sottobanco dei tentativi di cambiamento dei dirigenti, senza mai
toccare le strutture. Il carattere cosmetico di queste modificazioni facilita
l”invisibilità del suo lavoro.

Mosca sta cercando di negoziare insieme il Medio Oriente
e l”Ucraina

La Russia è riuscita a collegare i
campi di battaglia siriani e yemeniti. Se le sue forze sono schierate
pubblicamente nel Levante da un anno, sono ufficiosamente presenti in Yemen da
tre mesi e partecipano ormai attivamente ai combattimenti. Nel negoziare contemporaneamente
il cessate il fuoco ad Aleppo e nello Yemen, costringe gli Stati Uniti ad
accettare di collegare questi due teatri operativi. In entrambi i paesi, le sue
forze armate mostrano la loro superiorità in materia di guerra convenzionale di
fronte agli alleati degli Stati Uniti, evitando qualsiasi scontro diretto con
il Pentagono. Schivandolo in questo modo, Mosca si impedisce di impegnarsi in
Iraq, nonostante i suoi antecedenti storici in questo paese terzo.

Tuttavia, l”origine della contesa tra
le due grandi potenze è fondamentalmente la rottura delle due vie della seta in
Siria e poi in Ucraina. Logicamente, quindi, Mosca sta cercando di collegare le
due questioni nei negoziati con Washington. Risulta ancora più logico che la
CIA stessa abbia già creato un collegamento tra i due campi di battaglia
attraverso la Turchia.

Nel recarsi a Berlino, il 19 ottobre,
il presidente russo Vladimir Putin e il suo ministro degli Esteri Sergey Lavrov,
intendevano convincere la Germania e la Francia, in assenza degli Stati Uniti, di
collegare questi dossier. Hanno dunque scambiato l”estensione della tregua in
Siria contro lo stop ucraino degli accordi di Minsk. Questo baratto non può che
irritare Washington, che farà tutto quanto in suo potere per sabotarlo.

Naturalmente, alla fine, Berlino e
Parigi si allineeranno al loro signore NATO. Ma dal punto di vista di Mosca un
conflitto congelato è meglio di una sconfitta (in Ucraina, come in Transnistria,
per esempio), e tutto quel che intacca l’unità della NATO anticipa la fine del
suprematismo statunitense.

NOTA

[1] La religione alevita è la versione
turca dell’alauismo siriano.

Thierry Meyssan, 22
ottobre 2016

Traduzione a cura
di Matzu Yagi.

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