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Aggiustamenti in Medio Oriente

Mentre gli Stati del Medio Oriente allargato si dividono tra sostenitori e oppositori del clericalismo, USA, Russia e Cina negoziano un nuovo accordo. L'impatto su tre conflitti [Thierry Meyssan]

Aggiustamenti in Medio Oriente
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20 Giugno 2017 - 10.04


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«Sotto i nostri occhi» – Cronaca di politica internazionale n°245
di Thierry Meyssan.
 
Mentre gli Stati del Medio Oriente allargato si dividono tra sostenitori e oppositori del clericalismo, Washington, Mosca e Pechino negoziano un nuovo accordo. Thierry Meyssan valuta l’impatto di questo terremoto sui conflitti palestinese, iracheno-siriano e yemenita.
 
DAMASCO (Siria) – La crisi diplomatica intorno al Qatar ha congelato i vari conflitti regionali e ha mascherato dei tentativi di regolazione di alcuni altri. Nessuno sa quando sarà il momento di sollevare il drappo, ma dovrebbe far apparire una regione profondamente trasformata.
 
1- Il conflitto palestinese
Dopo l’espulsione della maggior parte dei palestinesi dalle loro case (la Nakhba, 15 maggio 1948) e il rifiuto da parte dei popoli arabi di questa pulizia etnica, solo la pace separata israelo-egiziana degli accordi di Camp David (1978) e la promessa di una soluzione a due Stati degli accordi di Oslo (1993) hanno parzialmente cambiato la situazione.
Tuttavia quando sono stati rivelati i negoziati segreti tra l’Iran e gli Stati Uniti, l’Arabia Saudita e Israele hanno deciso a loro volta di discutere. Dopo 17 mesi di incontri segreti, fu concluso un accordo tra il Custode delle due moschee e lo Stato ebraico. [1].
Questo accordo si è concretizzato attraverso la partecipazione delle forze armate israeliane di Tsahal alla guerra dello Yemen [2] e il trasferimento di bombe atomiche tattiche [3].
Ricordiamo che questo accordo prevedeva anche di far evolvere l’Arabia Saudita in modo che la società rimanesse salafita e le sue istituzioni diventassero laiche. Prevedeva inoltre l’indipendenza del Kurdistan iracheno (che terrà un referendum in settembre) e lo sfruttamento sia dei giacimenti di gas del Rub’ al-Khali (a cavallo tra l’Arabia saudita e lo Yemen, da cui l’attuale guerra) sia di quelli di Ogaden (da qui il ritiro in questa settimana delle truppe del Qatar dalla frontiera del Gibuti).
Infine, l’Egitto ha deciso di cedere le isole di Tiran e Sanafir all’Arabia Saudita, così come si era impegnata a fare un anno fa. In tal modo, Riad ha riconosciuto di fatto gli accordi di Camp David, che gestiscono particolarmente lo status di questi territori. Israele ha confermato di aver ottenuto le garanzie saudite.
Si osservi che la decisione egiziana non è stata presa sotto la pressione saudita (Riad aveva invano bloccato le sue consegne di petrolio, più un prestito di 12 miliardi di dollari) in Arabia, ma a causa della crisi del Golfo. La dinastia dei Saud ha formalizzato la propria rottura con i Fratelli Musulmani, che covava a seguito della trasmissione da parte del Presidente al-Sisi di documenti che comprovavano un progetto di golpe ordito da alcuni membri della Fratellanza contro di loro. In un primo momento, l’Arabia pensava di poter discernere tra buoni e cattivi Fratelli Musulmani. Aveva già accusato il Qatar di sostenere i golpisti, ma le cose si erano evolute pacificamente, stavolta. Ora Riad intende combattere tutta la Fratellanza, il che la porta a rivedere la sua posizione sulla Siria.
La cessione di queste isole, egiziane a partire dalla Convenzione di Londra del 1840, non ha altro significato che permettere all’Arabia Saudita di riconoscere implicitamente, 39 anni più tardi, l’accordo di pace tra Egitto e Israele di Camp David.
Da parte sua, Teheran ha accolto la direzione politica di Hamas (che è composta principalmente da Fratelli Musulmani) sia in nome della solidarietà con la causa palestinese sia perché condivide la stessa concezione dell’Islam politico.
Il prossimo passo sarà la creazione di relazioni commerciali pubbliche fra Riad e Tel Aviv così come rivela The Times il 17 giugno (aziende israeliane verrebbero autorizzate in Arabia e la compagnia aerea El-Al potrebbe utilizzare lo spazio aereo saudita) [4] e poi il riconoscimento dell’iniziativa di pace del principe Abdallah (Lega araba, 2002) e l’instaurazione di relazioni diplomatiche (il principe Walid ben Talal diventerebbe ambasciatore) [5].
Questo progetto potrebbe portare alla pace in Palestina (riconoscimento di uno Stato palestinese e il risarcimento dei rifugiati), in Libano (ritiro delle fattorie di Shebaa) e in Siria (fine del sostegno ai jihadisti e ritiro dal Golan).
La questione del Golan sarà particolarmente difficile siccome l’amministrazione Netanyahu ha affermato -non senza provocazione – la sua annessione, mentre gli Stati Uniti e la Russia hanno reagito violentemente all’espulsione della Forza delle Nazioni Unite incaricata di osservare il disimpegno (UNDOF) e alla sua sostituzione con al Qa’ida [6].
Non è tuttavia escluso che durante la guerra in Siria, Washington e Mosca si siano impegnate contro Tel Aviv a non cambiare lo status quo del Golan.
Questo progetto di regolazione generale rispecchia il metodo da uomini d’affari di Donald Trump e Jared Kushner: creare una situazione economica che impone un cambiamento politico. Si scontrerà necessariamente con l’opposizione dei Fratelli Musulmani (Hamas) e il triangolo dell’Islam politico: l’Iran, il Qatar e la Turchia.
 
 
2- Il conflitto iracheno-siriano
La totalità degli attori della regione concordano nel considerare che oggi l’Iraq e la Siria formano un unico campo di battaglia. Tuttavia gli occidentali che si aggrappano alle menzogne dell’amministrazione di Bush Jr. (benché ammettano che le armi di distruzione di massa attribuite a Saddam Hussein fossero un inganno) e alla narrazione romantica delle “primavere arabe” (ancorché riconoscano che questo movimento non ha mai tentato di portare la libertà, ma di imporre l’Islam politico), persistono nel considerarli come conflitti distinti.
Rimandiamo i nostri lettori al mio libro Sous nos yeux per quanto riguarda il modo in cui è iniziata la guerra [7].
Eppure, fin dall’inizio della crisi intorno al Qatar, la guerra si limita in Iraq e Siria a:
(1) la lotta contro Daesh (Mosul e Rakka) e
(2) a quella contro la Turchia (Bashiqa e Al-Bab) [8].
 
Ciò che è evidente a tutti nella regione è che, a partire dall’acceso al potere a Pechino del presidente Xi Jinping, portatore del progetto delle due Vie della Seta, Washington ha spinto per la creazione di un “Sunnistan” a cavallo tra l’Iraq e la Siria. Per far questo, ha finanziato, armato e inquadrato Daesh per tagliare la linea di comunicazione Beirut-Damasco-Baghdad-Teheran-Pechino.
Da quattro mesi, l’amministrazione Trump studia e negozia il modo in cui potrebbe modificare questa politica e concludere una partnership con Pechino, invece del confronto in corso [9].
Mentre sul campo si collegano eventi contraddittori, gli eserciti iracheno e siriano hanno improvvisamente avuto delle avanzate sin dall’inizio della crisi sul Qatar. Hanno liberato da Daesh i loro territori di confine e sono ora in procinto di stabilire la loro giunzione (vale a dire, di ripristinare la Via della Seta). I due eserciti sono separati ormai da appena duecento metri di terreno illegalmente controllato dall’esercito degli Stati Uniti [10].
Quanto ai combattimenti nel sud della Siria, si sono miracolosamente fermati. Un cessate il fuoco è stato dichiarato unilateralmente da Damasco a Deraa. In realtà, Mosca e Washington hanno assicurato Tel Aviv che la Siria avrebbe lasciato schierare sul suo confine solo truppe russe ma non quelle iraniane, né quelle degli Hezbollah libanesi.
In breve, se il Pentagono segue gli ordini dalla Casa Bianca, il conflitto deve in gran parte cessare. Rimarrebbe solo l’occupazione turca di Iraq e Siria, sul modello dell’occupazione turca di Cipro cui l’Unione europea si è accomodata. Gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita, che erano nemici dell’Iraq e della Siria, diventerebbero di nuovo loro alleati.
 
 
3- Il conflitto yemenita
Gli yemeniti potrebbero dover sopportare il peso degli attuali sviluppi. Mentre è chiaro che l’Arabia Saudita è entrata in guerra per installare un governo favorevole a uno sfruttamento congiunto dei giacimenti petroliferi nel Rub’ al-Khali e per la gloria personale del principe Mohamed Ben Salman, sembra che l’assistenza apportata dall’Iran agli Houthi e all’ex presidente Saleh distolga lo sguardo dei paesi arabi e della “comunità internazionale” dai crimini da loro lì commessi.
Occorre infatti scegliere da che parte stare e quasi tutti hanno optato per l’Arabia Saudita contro il Qatar ei suoi alleati turchi e iraniani. Quel che risulta positivo in Palestina, Iraq e Siria, è negativo in Yemen.
 
 
Conclusione
Dal 5 giugno e dalla rottura delle relazioni diplomatiche fra Riad e Doha, le cancellerie si stanno preparando tutte a una possibile guerra, anche se solo la Germania l’ha evocata pubblicamente. Questa situazione è tanto più sorprendente in quanto è il Qatar e non l’Arabia Saudita a essere un osservatore nella NATO [11].
C’è una catena di dimissioni in quel di Doha, dall’ambasciatrice degli Stati Uniti Dana Shell Smith, all’allenatore della nazionale di calcio Jorge Fossati. Non solo gli Stati allineati a Riad hanno tagliato le loro relazioni commerciali con l’emirato, ma molte aziende senza particolari legami con il Golfo hanno fatto lo stesso in considerazione del rischio di una guerra. Questo è il caso per esempio della COSCO, la più grande compagnia di navigazione della Cina.
In ogni caso, nonostante le sue rivendicazioni storiche giustificate, sembra impossibile che l’Arabia Saudita annetta il Qatar laddove si era opposta all’annessione del Kuwait da parte dell’Iraq per gli stessi motivi. Una regola si è imposta in tutto il mondo fin dalla decolonizzazione britannica: nessuno ha il diritto di toccare i confini disegnati da Londra nel suo unico obiettivo di mantenere i problemi insolubili per i nuovi Stati indipendenti. In questo modo Londra rende di fatto perpetua la loro dipendenza verso di essa.
Inoltre l’arrivo di 43.000 soldati pakistani e turchi venuti a difendere il Qatar dovrebbe rafforzare la sua posizione.
 
Thierry Meyssan
 
 
NOTE
[1] «Esclusivo: i progetti segreti di Israele e Arabia Saudita», di Thierry Meyssan, Rete Voltaire, Megachip, 22 giugno 2015.
[2] «La Forza “araba” di Difesa comune», di Thierry Meyssan, Rete Voltaire, Megachip, 20 aprile2015.
[3] «Il Vicino Oriente nuclearizzato!», di Thierry Meyssan, Rete Voltaire, Megachip, 7 marzo 2016.
[4] Saudi trade talks with Israel are historic first”, Michael Binyon & Gregg Carlstrom, The Times, June 17th, 2017.
[5] «Esclusivo: L’Arabia Saudita costruisce un’ambasciata in Israele», Rete Voltaire, Il Cronista, 29 maggio 2016.
[6] «Il Consiglio di sicurezza si appresta a ingiungere a Israele di rompere con al-Qaida», di Thierry Meyssan, Rete Voltaire, Il Cronista, 3 luglio 2016.
[7] Sous nos Yeux. Du 11-Septembre à Donald Trump, éditions Demi-Lune, 2017.
[8] «Invasion militaire turque de l’Irak», par Ibrahim Al-Jaafari, Réseau Voltaire, 19 octobre 2016.
[9] «Trump: il business contro la guerra», di Thierry Meyssan, Rete Voltaire, Megachip, 14 febbraio 2017.
[10] «Gli USA impediranno la riapertura della via della seta?», Rete Voltaire, Il Cronista, 18 giugno 2017.
[11] «Israele ed emiri nella Nato», di Manlio Dinucci, Il Manifesto, Rete Voltaire, 13 maggio 2016.
 
Traduzione a cura di Matzu Yagi.

 

 
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