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«Sotto i nostri occhi» – Cronaca di politica internazionale n°272
di Thierry Meyssan.
Da una decina di anni in qua, gli Stati Uniti sono prigionieri della loro contraddizione di fronte all’Islam. Da un lato, pensano a se stessi come alla terra della libertà religiosa, dall’altro utilizzano i Fratelli Musulmani per destabilizzare il Medio Oriente allargato, e da un altro lato ancora lottano contro lo straripamento del terrorismo islamico fuori da questa regione. Hanno vietato qualsiasi ricerca che consenta di distinguere l’Islam in quanto religione dalla sua manipolazione a fini politici. Dopo aver rotto con il terrorismo dei Fratelli Musulmani, Donald Trump ha deciso di riaprire questo dossier, rischiando di provocare delle violenze nel suo stesso paese. Perché negli Stati Uniti la libertà di praticare l’Islam non implica la libertà di entrare in politica.
ILLUSTRAZIONE IN APERTURA: Quando Donald Trump dichiara: “Penso che l’Islam ci odii”, si riferisce alla religione musulmana o all’ideologia politica omonima?
DAMASCO (Siria) – Nella sua nuova Strategia di sicurezza nazionale, il presidente Trump modifica la terminologia ufficiale e fa riferimento ai gruppi armati musulmani come “jihadisti terroristi “.
L’Islam: religione o ideologia?
Dopo gli attentati dell’11 settembre attribuiti ad Al Qa’ida, una violenta polemica aveva agitato Washington: i gruppi terroristici erano rappresentativi o no dell’Islam? Se lo erano, conveniva che tutti i musulmani fossero considerati nemici della patria. In caso contrario, si poteva fare una distinzione tra musulmani “moderati” ed “estremisti”.
Tuttavia, i britannici usavano questi stessi termini con un altro significato: i “moderati” sono dei musulmani “moderatamente antimperialisti”, come Hamas, che non solleva alcuna obiezione di ordine politico verso Israele, ma rifiuta unicamente che i musulmani siano governati da ebrei; mentre gli “estremisti” sono musulmani “estremamente antimperialisti”, come Hezbollah, che rimette in questione la vittoria dello Stato coloniale israeliano sugli arabi.
La controversia è culminata in una conferenza del giugno 2006 del New York Metro InfraGard. Un agente ed esperto dell’FBI, William Gawthrop, assicurò che è inutile distinguere i diversi gruppi terroristici musulmani, allorché tutti si fondano sulla stessa ideologia, l’Islam. Cinque documenti interni dell’FBI sono poi trapelati [1]. Destinati all’addestramento dei loro ufficiali, essi stabiliscono che più si è “islamici”, più si è potenzialmente “radicali”, e che il profeta Maometto era il leader di una setta violenta. Gawthrop si basava su uno studio indiscutibile del Corano, degli Hadith e dei principali testi teologici. Dimostrava che lungo tutta la Storia, i teologi delle quattro principali scuole sunnite hanno sostenuto la guerra contro gli infedeli, ma non i pensatori della scuola sciita. Gawthrop era anche un istruttore presso il controspionaggio del Dipartimento della Difesa. Lì aveva spinto a studiare Maometto in quanto capo militare.
Nel 1953, il presidente Eisenhower ricevette una delegazione dei Fratelli musulmani guidata da Said Ramadan. Gli Stati Uniti ora sostengono l’Islam politico all’estero.
Questa polemica non era nuova. Da una parte, a partire dal 1953 e dal ricevimento di Said Ramadan da parte del presidente Eisenhower, la CIA e il Dipartimento della Difesa hanno lavorato all’estero con i sostenitori dell’Islam politico, i Fratelli Musulmani. Dall’altra parte, durante la segregazione razziale, fu concesso che i discendenti degli schiavi potessero essere musulmani, ma non che ne facessero una rivendicazione politica. Nel 1965, il leader politico nero e musulmano Malcolm X fu assassinato, probabilmente con l’aiuto passivo dell’FBI. Mentre agonizzava al suolo, cercò di dare alla sua segretaria, poco prima di morire, un messaggio per Saïd Ramadan.
In ritorsione rispetto a questo punto di vista, un eminente personaggio musulmano americano, Salam Al-Marayati, ha minacciato di fare appello affinché cessasse ogni cooperazione con l’FBI [2].
Immediatamente, il procuratore generale aggiunto James Cole ha reso inaccessibili tutti questi documenti, non solo presso l’FBI, ma in tutte le giurisdizioni.
Solo che i documenti dell’FBI erano stati concepiti per dei corsi in cui gli istruttori specificavano a lungo che non trattavano l’Islam in quanto religione, ma in quanto ideologia politica [3].
Gli Stati Uniti: paese della libertà religiosa o dell’islamofobia?
Fu in quel periodo che il Dipartimento di Stato creò diverse strutture per influenzare l’opinione pubblica statunitense e straniera, in modo che gli Stati Uniti non fossero accusati di intraprendere una guerra contro la religione musulmana. Questo dispositivo comprendeva in particolare una cellula di una ventina di persone, che parlava diverse lingue, chiamata a intervenire sotto false identità nei forum per orientare i dibattiti.
Qualunque fosse il modo di affrontare la questione, gli Stati Uniti tornavano sempre allo stesso problema: già nel settimo secolo, la parola “Islam” è usata in arabo per designare tanto una religione quanto un’ideologia politica, tuttavia perfettamente distinta.
Infine, nel gennaio 2008, il Dipartimento per la sicurezza interna ha emanato, per iniziativa del segretario Michael Chertoff, la Terminologia per definire i terroristi (Terminology to Define the Terrorists: Recommendations from American Muslims). Poi, nel marzo 2008, l’ufficio del direttore dell’intelligence nazionale (allora guidato da Mike McConnell) ha redatto una nota semantica rivolta all’intera amministrazione. Queste istruzioni miravano a ripulire l’amministrazione Bush – che nel 2001 aveva parlato di «crociata contro Al Qa’ida» – da ogni sospetto di islamofobia e a ripristinare l’onore del «paese della libertà religiosa».
Il fatto di portare alla Casa Bianca Barack Hussein Obama doveva risultare sufficiente a risolvere il problema. Ma non accadde così, non da ultimo perché, mentre un terzo dei suoi elettori pensava che fosse musulmano, egli precisava di essere un cristiano di famiglia musulmana; il che sembrava convalidare il modello di identità degli immigrati provenienti dal Nord Europa: si può essere un americano essendo culturalmente e anche religiosamente musulmano, ma un presidente deve essere un cristiano. Da qui la violenza della campagna finanziata dall’immobiliarista Donald Trump in merito al luogo di nascita di Obama (le Hawaii o il Kenya britannico?). Certo, la risposta condizionava la costituzionalità della sua elezione, ma, cosa più importante, implicava il fatto che fosse nato cristiano o musulmano.
Prima di lanciare la “primavera araba”, Barack Obama e Hillary Clinton hanno infarcito la loro amministrazione di sostenitori dell’Islam politico.
Nel 2011, il sottosegretario di Stato per la Propaganda (Public Diplomacy) ha creato il Centro per le comunicazioni strategiche contro il terrorismo (Center for Strategic Counterterrorism Communications). Nel 2016, questa struttura è diventata nota come Centro di impegno globale (Global Engagement Center) e ha ampliato le sue competenze alla lotta contro la Russia. Il suo budget è stato poi moltiplicato per 13. Il fatto di affidare la lotta contro il terrorismo e la rivalità con la Russia alla stessa organizzazione non ha aiutato ovviamente a chiarire le cose. Fu in questo periodo che Washington adottò l’espressione dell’ONU “estremismo violento” per designare l’ideologia dei terroristi [4].
Torniamo indietro: il 22 dicembre 2012, la rivista egiziana Rose El-Youssef ha rivelato la presenza di diversi leader dei Fratelli Musulmani in seno all’amministrazione Obama, tra cui Salam Al-Marayati. In particolare, costui ha rappresentato il Segretario di Stato Hillary Clinton e ha presieduto la delegazione ufficiale degli Stati Uniti in occasione della Conferenza dei diritti umani dell’OSCE. Sua moglie, Laila, era vicina a Hillary Clinton quando era la first lady e faceva parte della Commissione per la libertà religiosa internazionale. L’intervento di Al-Marayati contro Gawthrop, sei anni prima, era in realtà solo una manovra dei Clinton, che avevano usato la Fratellanza Musulmana per far cambiare idea all’FBI e al Dipartimento della Difesa.
Il diritto di riflettere
La controversia è rimbalzata nel luglio 2017 con la presentazione di un emendamento alla legge sulla programmazione militare (NDAA) che autorizza il Dipartimento della Difesa a studiare «l’uso di dottrine religiose musulmane violente o non ortodosse per sostenere la comunicazione di estremisti o terroristi e giustificarla» Il testo è stato respinto per 217 voti a 208, sempre nel nome della protezione dell’Islam come religione.
Il presidente Trump ha finalmente deciso di applicare la parola “jihadista” ai terroristi musulmani, sebbene in origine il jihad non fosse la lotta armata contro gli infedeli, bensì un’introspezione e un esame di coscienza personale.
Finora, le decisioni di Donald Trump sono state oggetto dei peggiori fraintendimenti. Il suo decreto che sospendeva l’immigrazione da paesi in cui le delegazioni consolari non avevano i mezzi per verificare l’onestà dei candidati è stato interpretato come “islamofobo” perché questi paesi hanno una popolazione a maggioranza musulmana.
La sua decisione è una vera rivoluzione intellettuale per gli Stati Uniti. Finora, il Dipartimento della Difesa ha applicato la strategia dell’ammiraglio Arthur Cebrowski, distruggendo – paese dopo paese – ogni forma di organizzazione politica del Medio Oriente allargato, mentre il Dipartimento di Stato vigilava affinché questa politica non fosse anti-musulmana in sé.
Tuttavia, da un punto di vista mediorientale, non è questo ad esser stato percepito. Poiché per quindici anni gli Stati Uniti hanno messo in opera la strategia di Cebrowski [5] soltanto nella parte prevalentemente musulmana del mondo, era impossibile per gli afgani, i persiani, i turchi e gli arabi, capire alcunché degli slogan USA. È d’altronde contro questa contraddizione che Barack Obama si è scontrato durante il suo discorso al Cairo, nel giugno 2009.
Se si capiscono perfettamente gli obiettivi della propaganda statunitense, si può solo osservare che ne sono stati la prima vittima. In effetti, la contraddizione tra la loro retorica edulcorante e il loro sostegno ai Fratelli Musulmani all’estero (e non la loro strategia di distruzione del Medio Oriente allargato) li ha portati a vietare ogni ricerca sulle origini dell’Islam politico, sia a casa loro che tra i loro alleati.
Tuttavia Maometto era un generale e un governante. Questa particolare situazione storica ha permesso, fin dai primi giorni dell’Islam, a una corrente di pensiero di tentare di manipolare questa religione per impadronirsi del potere. La maggior parte dei musulmani è stata allevata con degli Hadith, composti molto tempo dopo la morte del Profeta, che gli attribuiscono successi militari e un pensiero politico particolare. L’attuale Fratellanza Musulmana si appoggia su una lunga storia di significativi precedenti.
Nel 1965, il leader dell’Islam politico USA fu assassinato con il probabile aiuto dell’FBI.
Per il resto, gli Stati Uniti non saranno in grado di distinguere i due significati della parola “Islam” finché non avranno risolto la questione della propria identità. Donald Trump e i suoi elettori accettano senza difficoltà che i Neri e gli Ispanici siano cittadini degli Stati Uniti, ma difficilmente che essi esercitino funzioni politiche di primo piano.
Paradossalmente, mentre sarebbe appropriato che gli intellettuali musulmani intraprendessero questa ricerca e quindi permettessero alla loro religione di essere separata dalla sua manipolazione politica, probabilmente saranno gli Stati Uniti a condurre questa esplorazione da soli. Anche se negli USA c’è un gran numero di ricercatori musulmani, è poco probabile che questo paese non proietti i propri problemi culturali su questo argomento di studio a rischio di interpretarlo male.
NOTE
[4] «Plan d’action pour la prévention de l’extrémisme violent», par Ban Ki-moon, Réseau Voltaire, 24 décembre 2015.
[5] The Pentagon’s New Map, Thomas P. M. Barnett, Putnam Publishing Group, 2004. «Gli Stati Uniti e il loro progetto militare mondiale», di Thierry Meyssan, Haïti Liberté (Haiti), Rete Voltaire, 24 agosto 2017.
Traduzione a cura di Matzu Yagi.