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Siria e G20

Geopolitica delle non-decisioni dei G20. Un breve spunto di discussione. [Piero Pagliani]

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7 Settembre 2013 - 02.22


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di Piero Pagliani

Se è chiaro che sulla Siria i G20 si sono divisi (con una nettissima maggioranza contraria all’attacco statunitense), non è ben chiaro che cosa si sia deciso a livello economico. Ad ogni modo anche quel versante ha dimostrato di essere intrecciato al quadro geopolitico generale.

Spicca l’ammonimento dei BRICS agli Stati Uniti di non rilasciare dichiarazioni avventate, dopo che le loro valute si sono deprezzate a seguito del ventilato stop americano al quantitative easing.

In realtà il [i]quantitative easing[/i] è un’arma a doppio taglio, con effetti contrastanti sia sull’economia statunitense-occidentale sia su quella dei BRICS.

Da una parte svalorizza gli assets denominati in dollari, all’estero detenuti massicciamente dai BRICS, e quindi è un danno per loro, mentre dall’altro proprio la svalorizzazione del dollaro dà forza ai nuovi panieri empirici di monete negli scambi bilaterali interni ai BRICS e al loro progetto di nuova banca per lo sviluppo economico (“una sfida diretta all’egemonia della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale”, come ha scritto il [url”New York Times”]http://www.nytimes.com/2013/03/27/world/africa/brics-to-form-development-bank.html?partner=rss&emc=rss&_r=3&[/url]).

Io sono sufficientemente convinto che stiamo vivendo le prime fasi di una definanziarizzazione e deglobalizzazione – o nuova compartimentalizzazione – dell’economia (la crisi greca può essere vista come una “crisi da definanziarizzazione forzata” – cosa che dimostra che questi due processi seguiranno le linee della gerarchia ramificata della rete di potere occidentale: prima i Paesi periferici a rendere con la loro procurata miseria più morbido l’atterraggio di quelli del centro).

Il previsto stop al quantitative easing va in questa direzione. Ma prima gli USA devono assestare, su almeno un”importante porzione del mondo, la loro egemonia in crisi. Ecco perché sono disposti, o minacciano di essere disposti, a giocare alla roulette russa in Siria e perché puntano molto sulla Transatlantic Economic Partnership, la cosiddetta “Nato economica”, (soprattutto dopo che una manovra simile gli è finita male in America a causa di Chavez e dei Paesi bolivariani).

La Germania ha capito da tempo che le manovre sulla sponda Sud del Mediterraneo servono anche a circondare l’Europa con un vallo insuperabile per renderla perenne ostaggio degli USA ed è per questo che la sua posizione nei confronti delle avventure imperiali varia dal “ni” al “no”. Purtroppo la Germania si è avvitata in una logica che invece di trainare unitariamente l’Europa la sta frantumando (che comunque non abbia una gran strategia lo si è visto quando ha miopemente spinto per la frantumazione della Jugoslavia).

O meglio, quelle manovre avrebbero dovuto servire a isolare a Sud e Sudest l’Europa, perché le cose non stanno andando proprio nel verso voluto dagli USA. Prima questi sono dovuti passare dal piano A di Bush – cioè l’attacco diretto –, al piano B di Obama – cioè il “leading from behind” e l’utilizzo di forze eversive interne – e adesso le cose gli stanno sfuggendo di mano dalla Libia all’Egitto, dall’Iraq alla Siria e la Russia (fiancheggiata da una ufficialmente prudentissima Cina) dopo decenni rischia di ergersi di nuovo come paladina dei popoli e delle nazioni minacciate.

Le cancellerie europee se ne sono accorte e cercano di svignarsela all’inglese (letteralmente). Il Vaticano addirittura guida apertis verbis gli scontenti e i recalcitranti, oltre a chi sinceramente vede la guerra come la peggiore delle piaghe dell’umanità. Rimane solo Hollande che con il suo appoggio tra lo sciocco e il pavido cerca un rilancio neocoloniale di una Francia sempre più barcollante.

Per gli Usa è una crisi di egemonia e di credibilità maggiore di quella che ha subito all’epoca della sua aggressione all’Iraq. Anche perché oggi Russia e Cina sono incomparabilmente più forti e l’Occidente è più debole (anche se non militarmente). E la prudente Cina avvisa l’Occidente di stare attento alle negative conseguenze economiche di un attacco statunitense alla Siria. Conosce perfettamente il quadro geostrategico e le poste in gioco, ma non ne parla. Perché parlare di rapporti di forza militari e diplomatici in cui è ancora debole quando ha capito che per convincere l’incivile, bugiardo e infido Occidente deve minacciare di toccarlo nel portafogli, perché sa che da tempo il cristianissimo Occidente tra Dio e Mammona ha scelto Mammona?

Probabilmente avevano ragione i [i]neocons[/i] quando dopo la fine dell’URSS dicevano, secondo la nota “rivelazione” del generale Wesley Clark, che la finestra per conquistare Libia, Siria, Libano, Iran, Sudan e Somalia, era di cinque anni. Ne sono passati dodici e non sono neanche a metà.

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