Intervista di Silvia Truzzi a Moni Ovadia.
Diceva don Primo Mazzolari che “la libertà è l’aria della religioneâ€. Non era ebreo, come non lo era George Orwell che in appendice alla Fattoria degli animali
 scrive: “Se la libertà significa qualcosa, significa il diritto di dire
 alla gente ciò che non vuol sentirsi direâ€.
L’eco di queste frasi si 
sente entrando nella casa di Moni Ovadia a Milano. Per 
dar seguito al nome pacifista, il cane Gandhi si accomoda sul divano 
insieme a un paio di gatti; il caffè bolle, l’attore con il capo coperto
 racconta la storia del festival promosso dalla comunità ebraica che si è
 svolto alla fine di settembre a Milano, Jewish and the city. “Qualcuno, durante una riunione tra gli organizzatori ha posto il veto alla mia presenza. E gli altri hanno cedutoâ€.
Perché? 
Per
 le mie posizioni critiche nei confronti del governo Netanyahu. Le 
violazioni del diritto internazionale, mi riferisco al-l’occupazione e 
alla colonizzazione dei territori palestinesi, durano da oltre 
cinquant’anni. Ho imparato dai profeti d’Israele che bisogna essere al 
fianco dell’oppresso. Io esprimo opinioni, non sono depositario di 
nessuna verità. Penso però che questa situazione sia tossica. Per i 
palestinesi, che sono le vittime, ma anche per gli israeliani: non c’è 
niente di più degradante che fare lo sbirro a un altro popolo. Aggiungo 
però che io m’informo esclusivamente da fonti israeliane. Non 
palestinesi: gli ultrà palestinesi sono i peggiori nemici della loro 
causa. Apprezzo molto due giornalisti israeliani di Haaretz, 
Gideon Levy e Amira Hass. Quello che dico io, rispetto a quello che 
scrivono loro, è moderato. Bene: vivono in Israele, scrivono su un 
quotidiano israeliano, sono letti da cittadini israeliani e pubblicati 
da un editore israeliano.
È iscritto alla Comunità ebraica di Milano? 
Sì,
 per rispetto dei miei genitori. Ma ho deciso di andarmene. Io non 
voglio più stare in un posto che si chiama comunità ebraica ma è 
l’ufficio propaganda di un governo. Sono contro quelli che vogliono 
“israelianizzare†l’ebraismo. Ho deciso di lasciare, come ha fatto Gad 
Lerner a causa della mancata presa di posizione dei vertici milanesi 
dopo l’uscita di Berlusconi al binario 21, nel Giorno della Memoria.
Dicono che le sue critiche a Israele nascono dal desiderio di avere consensi, successo, denaro.Ma
 oggi chi è a favore della causa palestinese? La sinistra? Nemmeno più 
Vendola lo è! E allora dove sarebbe il grande pubblico che mi conquisto?
 Più ho radicalizzato le mie critiche, più il mio lavoro è diminuito, mi
 riferisco agli ingaggi e non al pubblico. Il teatro è per tutti, il 
teatrante è un cittadino e come tale ha diritto alle sue idee.
Lei non è abbastanza “carino� 
Per
 niente, ma non si parla di cose carine. Il comportamento della comunità
 internazionale nei confronti del popolo palestinese è semplicemente 
schifoso. Nel 2000 intervistai per il Corriere della Sera un 
colonnello della Golani, le teste di cuoio d’Israele. Mi disse: “Se tu 
hai un bazooka in mezzo ai denti e un mitragliatore tra le chiappe, ci 
sono almeno due modi per uscirneâ€. Da militare m’insegnò che se si vuole
 fare la pace, si riesce. Se io dicessi che il governo Netanyahu è un 
po’ birichino, ma non così tanto, diventerei immediatamente il più 
grande artista ebreo italiano. Invece offendono i miei spettacoli.
È vero che riceve minacce? 
Appena
 scrivo qualcosa, sul mio sito arriva di tutto: minacce, insulti, 
parolacce. I termini sono sempre “rinnegatoâ€, “traditoreâ€, “nemico del 
popolo ebraicoâ€. Ho criticato l’episodio del bimbo palestinese di cinque
 anni che aveva lanciato una pietra ed era stato portato via da undici 
militari israeliani. Mi hanno scritto: “Avesse potuto quella pietra 
arrivare sul tuo cervello marcioâ€. Questi sono i termini, mai risposte 
nel merito. Mia moglie, che gestisce la mia pagina Facebook, spesso non 
me li fa leggere, li cancella e basta.
Sono ebrei quelli che la insultano? 
La gran parte sì.
Aver subito la discriminazione non è servito a nulla?Si,
 ma paradossalmente questo ha un aspetto positivo. Significa che gli 
ebrei sono come tutti gli altri. Si trovano in una condizione in cui il 
nazionalismo è a portata di mano? Diventano i peggiori nazionalisti, 
malgrado la Torah condanni l’idolatria della terra. L’ebraismo è una 
cosa, lo Stato d’Israele un’altra. Qualcuno ha sostituito la Torah con 
Israele. Il buon ebreo, dunque, non è quello che segue la Torah, ma 
quello che sostiene Tel Aviv. I sinceri democratici – tipo La Russa – 
sono amici d’Israele. E non importa se fino a poco tempo fa facevano il 
saluto romano inneggiando a quelli che hanno sterminato la nostra gente. 
Dell’affaire Vauro cosa pensa? 
La
 vignetta su Fiamma Nirenstein prendeva in giro la disinvoltura con cui 
una donna, appassionatissima della causa israeliana, può sedere in 
Parlamento accanto a uno come Ciarrapico, che non ha mai smesso di dirsi
 fascista. Ha fatto benissimo Vauro a querelare chi gli dava 
dell’antisemita. Non solo perché ha vinto in due gradi di giudizio, ma 
perché l’accusa di antisemitismo è troppo grave per usarla a sproposito.
Lei cosa chiede? 
Vorrei
 essere criticato – non calunniato o insultato – ma rispettato. Vorrei 
semplicemente avere il diritto di dire la mia opinione e potermi 
confrontare.
Fonte: Il Fatto Quotidiano del 5 novembre 2013.
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