Per fortuna son proteste senza progetto. Parola di Aspen | Megachip
Top

Per fortuna son proteste senza progetto. Parola di Aspen

'Uno studio commissionato da uno dei think tank che orientano i leader del mondo capitalistico. Lo sguardo dei padroni dell''universo sulle nostre proteste. [D. Barontini]'

Per fortuna son proteste senza progetto. Parola di Aspen
Preroll

Redazione Modifica articolo

2 Luglio 2014 - 05.16


ATF

di Dante Barontini.


Uno studio alquanto originale,
commissionato da uno dei think tank che “orientano le leadership” del
mondo capitalistico. Parliamo dell”Aspen Institute, finanziato
ampiamente da fondazioni come la Carnegie Corporation, la Rockefeller
Brothers Fund e la Ford Foundation, attraverso quote di iscrizione a
seminari e donazioni individuali. Tra i suoi affiliati ci sono leader
della politica, dell’economia e intellettuali. La sezione italiana è
presiduta da Giulio Tremonti, ma raccoglie imprenditori ed esponenti del
centro destra come del centrosinistra, senza star lì troppo a
questionare. In fondo, uno degli scopi dell”Aspen è “la creazione di un
terreno comune di comprensione approfondita in uno scenario non
ideologizzato”.


Originale anche lo studioso incaricato di
redigerlo: Ivan Krastev, bulgaro 50enne, presidente del “Centro di
strategie liberali” di Sofia, un tipico esponente di quella “nuova
classe dirigente” dell”Est europeo cresciuta a forza di commissioni
internazionali, liberismo e “formazione liberale delle leadership”.


Perché è interessante una cosa prodotta
da questo insieme? Perché fornisce lo sguardo dei “padroni del globo” nel
trattare le rivolte degli ultimi anni e la diffusa sensazione globale
che ci si trovi davanti alla fine di un certo assetto del mondo. Una
fine che però non si riesce a vedere, a connotare, a disegnare. Per
farlo – ne è consapevole anche l”autore – occorrerebbe una concezione
del mondo, una visione d”insieme capace di superare l”attuale modello di
vita e produzione. Ma proprio questa capacità di visione è stata
cancellata dal panorama delle idee. L”unica “ideologia” che conquista
cuore e menti, di fronte al feticcio meccanico del capitalismo
disincantato attuale, resta tristemente la religione. Ma le rivolte
nascono dalla crisi economica, dal peggioramento delle condizioni di
vita, dalla confusa sensazione che “non ci sia futuro”, e tantomeno
“miglioramento”, ma solo altri infiniti giorni come questo; l”ideologia
arriva dopo, come “spiegazione” e promessa. Siamo arrivati, come mondo,
ad un punto limite. E nessuno sa dove sia costruibile il passaggio
epocale ad un altro modello di vita.


All”Aspen non interessa ovviamente
“superare” il capitalismo. La posizione “ideologica” è dunque saldamente
conservatrice. Ma questo non ha mai impedito ai padroni del mondo di
guardare in faccia ai problemi reali per trovare anche ciò che serve
alla conservazione. E bisogna dire che – depurato da qualche invenzione pro domo sua
(ad esempio quando parla di Ucraina o del ruolo di George Soros) – lo
sguardo di Krastev è capace di cogliere i momenti rilevanti comuni a
fenomeni sociali manifestatisi in paesi molto diversi tra loro. La
necessità che hanno anche i padroni del mondo è quella di capire
precisamente le trasformazioni in atto, di capire lo “spirito del
tempo”, per poter adottare le scelte più opportune.


Diciamo che questa è anche la differenza
fondamentale tra i piani alti del capitalismo globale e la cosiddetta
“sinistra antagonista” – o soltanto “radicale” – di casa nostra. I
capitalisti indagano a fondo la realtà; i tanti e diversi “compagni di
strada” che ci troviamo a fianco sbuffano contrariati a ogni accenno
analitico o teorico che non sia di pronta beva. La parola “progetto” li
spaventa come l”ignoto…


Facciamo un”analogia facile da capire,
decisamente interclassista. Una multinazionale della distribuzione che
voglia aprire nuovi esercizi in una metropoli si fa preparare degli
studi sulle dinamiche dei consumi, sui flussi di traffico, sui costi
immobiliari delle aree, sulla risposta dei consumatori alle campagne
pubblicitarie, ecc. Su questa base programma oppure no l”investimento,
“convince” gli assessori e i sindaci a concedere le aree, a
infrastrutturarle (strade, fognature, ecc), disegna il nuovo esercizio
con qualche variazione al format-base del marchio, procede alle
assunzioni (precarie, ci mancherebbe), ecc. Apre sapendo che i flussi di
vendita oscilleranno tra un certo minimo e un certo massimo, che dovrà
scontare un periodo di “radicamento territoriale”, farsi conoscere,
sradicare la concorrenza dei piccoli bottegai “storici” inchiodati a
economie di scala ridicole, ecc, e in capo a dieci anni deciderà se
andare avanti in quel posto o cambiare aria. Un business condotto su
solide basi scientifiche, insomma.

Un aspirante commerciante a conduzione familiare, al contrario,
guarda quanti soldi ha da investire e disegna la sua avventura sulla
base di alcune sue convinzioni personali maturate nel tempo, scegliendo
molto “a naso” la zona, il negozio, il ventaglio di merci da vendere… e
spera che il gioco riesca. Scienza zero

Questo commerciante di “aspirazioni soggettive” somiglia molto alla sinistra italiana attuale.


Bene. Il bulgaro Krastev analizza i
movimenti di rivolta come da un osservatorio satellitare,
disinteressandosi dei dettagli che confondono le idee invece di
chiarirle. Procede in modo incosapevolmente hegelo-marxista:

“Le proteste
differivano, ma gli slogan erano incredibilmente simili: ai quattro
angoli del globo i manifestanti si scagliavano contro la corruzione
delle élite, le crescenti diseguaglianze economiche, la mancanza di
solidarietà e di giustizia sociale e il disprezzo per la dignità umana.”

Questo il fenomeno da studiare. Con
qualche apprensione, viste le convinzioni dell”autore e gli interessi
del committente. Ma la prima constatazione è già miele per le orecchie
del capitale.

“i manifestanti, a differenza dei loro padri rivoluzionari, non mirano a un rovesciamento violento dell’ordine costituito”.

Respiro di sollievo. Ci si può sistemare
meglio sulla poltrona e andare avanti nella ricognizione dei “segni
caratteristici” della protesta contemporanea. La seconda constatazione è
ancora più rassicurante: questa nuova generazione di manifestanti non
ci pensa proprio a “cambiare il sistema”. Non possiede le conoscenze di
base, le categorie, la cultura per poter pensare che questo “sistema”
sia rovesciabile; non è insomma in grado di immaginare un altro – ma
realistico Рmodo di vivere. Soprattutto, ̬ ai margini del pensiero
politico, non dentro.

“Si tratta di una
rivoluzione senza ideologia e senza scopi definiti: in mancanza di
alternative politiche, si risolve in uno scoppio di indignazione
morale”.

Una febbre passeggera – anche se se ne
può morire o marcire in galera – che non spaventa affatto il potere.
Esiste certamente un problema di gestione della protesta, e non mancano
gli esempi anche opposti. Ma la qualifica di “democrazia” attiene ormai
più alle modalità di spegnimento delle proteste (“vaselina” o
manganellate) che non alla natura dei sistemi politici. Krastev pare
profondamente consapevole del fatto che la gestione del mondo è cosa
troppo complessa per lasciarla decidere a opinioni labili, poco
consapevoli, altamente disinformate. Insomma, a libere elezioni. Ed è
perfettamente a suo agio nell”affontare in modo ironico il mantra dei
“social network” come mezzo d”elezione delle nuove proteste planetarie:

“I nuovi movimenti si
concepiscono come reti, nella convinzione che queste possano avere la
meglio sulla gerarchia. L’onnipotente rete è l’arma organizzativa
d’elezione, allo stesso modo in cui il piccolo ma disciplinato partito
rivoluzionario era l’arma d’elezione dei comunisti”.

Le differenze ci sono, eccome. E qui
scatta l”ironia crudele di chi è seduto in una lussuosa suite nel cielo
del capitale nei confronti delle formiche formicolanti sulla superficie o
nelle viscere della terra. Uno che sa benissimo che “la rete” ha dei
gestori, dei proprietari, dei sorveglianti. Insomma: che è proprietà
privata in mano al capitale, non uno strumento neutroa disposizione di
chiunque.

“I governi hanno
appreso in fretta a esercitare il controllo e la manipolazione
nell’universo digitale. “Caro utente, sei stato schedato come
partecipante a una massiccia turbativa dell’ordine pubblico”: questo il
messaggio che i manifestanti ucraini si sono ritrovati sul cellulare a
metà gennaio, nel momento esatto in cui la legislazione
antidimostrazioni veniva approvata dal parlamento. La stessa tecnologia
che aveva portato la gente in strada l’ammoniva di tornarsene a casa”.

Sull”Ucraina di Yanukovich naturalmente
cӏ licenza di infierire, ma gli attivisti di Occupy Wall Street Рper
esempio – sono stati trattati con forse più irritante sufficienza
dall”establishment Usa: il pacchetto dei profili Facebook dei
“sensibilizzati al movimento” è stato valutato 25 milioni di dollari. E
qualche multinazionale delle vendite online o della pubblicità mirata –
oltre che le agenzie di intelligence degli Stati Uniti Рse lӏ certamente comprato.


Negli Stati Uniti o
in Spagna, gli esecutivi hanno prontamente riconosciuto la legittimità
delle preoccupazioni espresse dai manifestanti e hanno dato mostra di
ascoltare la piazza. Le proteste non hanno inciso sulle politiche
dei governi; piuttosto, hanno cambiato il modo in cui questi comunicano
ciò che fanno
.


È abbastanza chiaro? Un governo furbo non
spiana le proteste popolari a manganellate, ma le “rintontonisce de
bucie”. O, come si dice adesso, “cambia la comunicazione”.


Il confronto continuo tra il lontano
passato iperpolitico (“comunista”, si ripete spesso) e l”impoliticità
esplicita delle “nuove proteste” (proprio la tanto bistrattata
”antipolitica”) mira a benedire il quasi-conflitto presente come molto
più “potabile” della guerra rivoluzionaria novecentesca. E dire che i
giudizi sono talmente tranchant che – se fossimo tra i partecipanti ad un movimento così – potremmo sentirci molto offesi.

“Oggi, il sistema non interessa quasi più a nessuno. La rivoluzione attuale non è fatta di lettori; gli
odierni studenti radicali si preoccupano solo di come essi stessi
vivono il sistema, non della sua natura e dei meccanismi che lo
governano
. Non pensando in termini di gruppi sociali, questi ragazzi hanno un’esperienza comune, ma mancano di un’identità collettiva”.

E il passaggio dall””esperienza” all””identità” è un”operazione che richiede l”intervento di una cultura politica (una
volta ce n”erano molte, oggi sontanto una: quella di chi comanda).
Insomma, a “esprimere la soggettività” son buoni tutti, non c”è bisogno
di sapere come funziona la macchina che ti stritola, quali sono gli
interessi sociali che ti muovono dal profondo anche come individuo.
Era qui il segreto del successo del ToniNegri-pensiero, e il teorico
dell”Aspen non si fa sfuggire l”occasione per indicare come punto di collasso quello che “soggettivamente” è ancora oggi vissuto, in qualche frangia di movimento, come punto di forza. È la contraddizione per come viene vista dal nemico, che in effetti l”ha presente chiarissima.


Riflettendo sulla
logica politica delle proteste di São Paulo dell’estate scorsa, il
ricercatore brasiliano Pablo Ortellado ha osservato che in tutto il
Brasile i manifestanti protestavano sulla scorta di due messaggi
simultanei e tra loro contraddittori: “Il governo non ci rappresenta” e
“Vogliamo servizi pubblici migliori”. Era una protesta di consumatori
radicali, più che di rivoluzionari utopici.


Filosoficamente il problema è semplice:
chi vive completamente dentro un sistema lo sente come “stato naturale”,
non ne studia i meccanismi e quindi – quando la condizione di vita
diventa intollerabile – è portato a ritenere che ci sia una
“ingiustizia” (dei ladri, una “casta”, ecc) che fa funzionare in modo
distorto o inefficace un meccanismo altrimenti “buono”. Pensiero
pre-politico, appunto; moralismo naif.

“I manifestanti sono individui esasperati. Amano stare insieme e combattere insieme, ma non hanno un progetto collettivo.
Diffidando delle istituzioni, non sono interessati a prendere il
potere; sono una miscela tra un desiderio genuino di comunità e un
incoercibile individualismo”.

Si possono combattere le istituzioni
dominanti avendo in testa altre istituzioni per sostituirle (e allora
cӏ un progetto politico, che va esplicitato), oppure sognare una mondo
“senza istituzioni”, che naturalmente non ci potrà mai essere (se vuoi
un “servizio pubblico”, ci dovrà sempre essere un “soggetto”
responsabile di disegnarlo e gestirlo; un”istituzione, insomma).


Il termine giusto sarebbe in effetti un
altro: questi manifestanti si comportano come “consumatori” che
pretendono di avere una buona merce in cambio dei loro soldi e dei loro
sacrifici. Ma il “consumatore” è solo per definizione,
sperso tra gli scaffali del supermercato. Solo e smemorato, visto che
nella maggior parte dei casi è anche – o è stato o sarà – un
“produttore”. Il quale, invece, è condannato alla “cooperazione” sul
lavoro. E nella lotta, collettiva per “durature ragioni oggettive”, non
per indignazioni morali transitorie.


L”arretramento politico, scientifico,
progettuale testimoniato dai “nuovi movimenti” è tale che l”analista
Aspen affonda il coltello nella piaga, con autentica gioia:

le proteste del XXI
secolo somigliano, per alcuni versi, a quelle medioevali. A quel tempo
le persone non scendevano in piazza con l’ambizione di rovesciare il re o
di sostituirlo con un altro a loro più gradito; manifestavano per
obbligare il sovrano a fare qualcosa in loro favore, o per impedirgli di
far loro del male.

L”ombra del Pope Gapon si affaccia per un
attimo sulla scena… Sapete, quel monaco che nel 1905 guidò una folla
di disperati sotto il Palazzo d”Inverno per chiedere allo Zar di
impietosirsi, di non ascoltare più i “cattivi consiglieri”. Gente
disperata, senza cognizione del “sistema”, aggrappata a un immaginario
(esisteva anche allora, non vi stupite; lo spacciavano durante le
messe…) che consentiva di “darsi una spiegazione” di come funzionava
il mondo. Falsa, naturalmente, ma “persuasiva”…


Stadio pre-politico, agitazioni medievali, assenza di progetto. Ovvero di una visione della società e della sua necessaria – e solo in questa misura anche possibile – evoluzione. Quindi rivendicazioni spot, non parti organiche di un dispositivo conflittuale per il potere.

non chiedete ai
dimostranti cosa vogliono: essi sanno solo ciò che non vogliono. La loro
etica del rigetto può essere radicale e totale, come il rifiuto in
blocco del capitalismo globale che ha connotato il movimento Occupy Wall
Street; oppure modesta e localistica, come le proteste contro la nuova
stazione ferroviaria di Stoccarda. Ma il principio è lo stesso:
abdicazione a qualsiasi scelta e attivismo politico confinato unicamente
al rifiuto. Le proteste possono riuscire o fallire, ma ciò che ne
definisce il profilo politico è un generalizzato “no”. Per essere
gridato, questo “no” non ha più bisogno di leader o istituzioni: bastano
telefonini e social network.

Sembra che stia parlando del movimento di
Grillo, ma le stesse considerazioni si potrebbero adattare a quasi
tutte le “nuove forme” di partecipazione/rifiuto della sfera pubblica.
Il “puro negativo” – il “no sistematico” – è la manifestazione
dell”opposizione impotente, priva di visione globale alternativa,
ripiegata sul proprio ombelico. Il potere ne ride apertamente, sapendo
benissimo come aggirarla e manipolarla (e anche quando mandarti un sms
per dirti “falla finita!”).


Tanto più che questo “rifiuto senza
alternative” viene davvero a fagiolo, proprio nel periodo in cui la
“democrazia liberale” viene silenziosamente messa in cantina dai
“liberisti economici”.

l’ascesa della politica antagonista è un esito naturale della svolta oligarchica prodottasi nella politica democratica.



Nella nuova era
democratica la politica elettorale non domina più la scena: le elezioni
perdono il loro legame con il futuro… Oggi le elezioni sono un
giudizio sul passato, non una scommessa sul lungo termine. L’elettore
odierno svolge essenzialmente lo stesso ruolo del leggendario Pavel
Pichugin, il popolare buttafuori dei più esclusivi night club russi che
ha il potere supremo di stabilire chi far entrare e chi no; ma non ha
alcuna voce in capitolo sul tipo di musica suonata nel club.

Ci sarebbe materia per far riflettere a
lungo gli “elettoralisti sempre” nostrani, quelli che vivono le scadenze
elettorali come l”unica dimensione – e sbocco – dell”attività politica.
Non perché partecipare alle elezioni sia sempre sbagliato o una
“dimostrazione di complicità” (veniamo da una cultura politica per cui
si può benissimo fare le elezioni a febbraio e fare la Rivoluzione in
ottobre…); ma se l”urna e le relative percentuali rappresentano l”alfa
e l”omega della tua esistenza, sei davvero contento di farti
schiaffeggiare da Pichugin!


Oltretutto, ti vieni a trovare nella
scomodissima posizione di chi è fottuto dal potere e schifato dal
“popolo”. Lo sa bene il teorico dell”Aspen:

Per molti aspetti, le
odierne proteste di massa sono atti in cerca di concetti, pratica senza
teoria. Sono l’espressione più plateale della convinzione diffusa che
le élite non governino nell’interesse del popolo e che l’elettorato ha
perso il controllo sugli eletti.

Masse senza progetto e “cambiatori del
mondo” senza masse; impotenti per mancanza di idee o di “risorse umane”.
Che potrebbe volere di più, il potere? Una sola cosa: la certezza che
quell”incomposto fermentare di proteste che sta attraversando il pianeta
non abbia alcuna possibilità di trasformarsi in pericolo per la propria
esistenza. E la trova rispolverando addirittura – ma in senso opposto –
la constatazione marxiana su come funziona la “levatrice della Storia”:

In Ucraina, ad
esempio, è stato il tentativo del governo di reprimere con la violenza
le manifestazioni a portare alla ribalta formazioni reazionarie come
Pravyj Sektor o le Forze di autodifesa di Majdan. Il successo della
lotta armata è la tomba della rivoluzione senza leader: la lotta, al
pari del voto, fa sciogliere queste nuove proteste come neve al sole.

Non vi fate deviare dal fatto che
l”esempio scelto è l”Ucraina – la cui evoluzione Krastev vede con molto
favore – e concentratevi sulla sequenza di affermazioni fin qui fatte:
proteste impolitiche, strumenti organizzativi affidati alla Rete,
assenza di identità collettiva e progetto politico, legami reciproci
labili… Una contestazione con queste caratteristiche non ha
possibilità di mettere in crisi il potere. Basta un cerino di violenza –
controllato da una mente politica (posizionata nel satellite iperuranio
della finanza globale, per cui conto Krastev scrive) – per “far
sciogliere come neve al sole” piazze anche più di grandi di Tahrir. Al
di là delle buone intenzioni o dell”estrazione sociale di chi le
riempie.


Gira che ti rigira, il punto essenziale
resta quello del progetto, della visione globale, della critica
scientifica e non (solo) morale del capitalismo. L”unica cosa di cui
abbia timore questo potere è il sempre possibile riaffacciarsi del
“comunismo”, il diavolo di San Pietroburgo, il soffio liberatore degli
ani ”60 e ”70, dal Vietnam al ”68, dal ”77 a L”Avana.


Krastev alla fine diventa esplicito:

“O si guarda qualcosa
che non si vede, o si giura di aver visto qualcosa non c’è”. Il metodo
del detective Fell funziona bene per svelare il mistero dell’ondata di
proteste. Queste non hanno segnato il ritorno della rivoluzione: le
proteste, come le elezioni, servono piuttosto a tenere il più lontano
possibile la rivoluzione e le sue promesse di un futuro radicalmente
diverso
. Il “laureato senza futuro” non è il nuovo proletario: le rivoluzioni necessitano di un’ideologia e l’attuale ondata di proteste non è riuscita a offrire una visione alternativa del futuro. Niente ideologia, niente rivoluzione.

Confonde “ideologia” e “visione del
mondo”, ma in questo caso lo perdoniamo volentieri. Il sollievo che
dimostra alla fine della sua disamina delle proteste degli ultimi cinque
anni è tutto e interamente politico:

il termine di
paragone più calzante per questa esplosione di energia politica cui
stiamo assistendo sono le rivoluzioni del 1848. Oggi come allora, siamo a
un punto di svolta. Ma il mondo non riesce a svoltare.

Saremo capaci di riaccendere il cervello e
misurarci con questa scala di problemi? O ci acconteremo di
fiancheggiare speranzosi una protesta obbligata ma senza futuro?

L”analisi completa di Ivan Krastev: pdfKrastev_Aspenia651.pdf407.74 KB

Fonte: http://contropiano.org/documenti/item/24962-per-fortuna-sono-proteste-senza-progetto-parola-di-aspen.

[GotoHome_torna alla Home Page]

SOSTIENI LA NASCITA DI PANDORA TV:

Native

Articoli correlati