di Linda Chiaramonte.
È un Giappone che fa i conti con il suo drammatico passato quello che ci raccontano due lungometraggi di animazione in programma alla diciassettesima edizione del Future Film Festival di Bologna. Lo fa attraverso il racconto della grande storia con la S maiuscola e quella meno conosciuta, forse addirittura mai raccontata.
Protagonisti sono i bambini con il loro sguardo incantato, ma allo stesso tempo duro e realistico perché testimoni della guerra.
Il primo è un lavoro datato, realizzato nei primi anni ’80, evento speciale che il festival ha voluto riproporre per ricordare il settantesimo anniversario dei bombardamenti atomici su Hiroshima e Nagasaki, Barefoot Gen di Masaki Mori e Barefoot Gen II di Toshio Hirata, tratti dal celebre Gen di Hiroshima di Keiji Nakazawa (primo manga ad essere tradotto in inglese), opera in dieci volumi, che narra la storia autobiografica dell’autore sopravvissuto alla tragedia, a soli sei anni, e testimone oculare di tutto l’orrore seguito alle radiazioni. Gen vede tutta la sua famiglia morire, deve superare quell’infinito dolore e ricominciare a vivere.
Il fumetto ebbe il merito di squarciare uno spesso velo di silenzio imposto sui fatti. Una storia con cui il paese fino ad allora non si era mai davvero confrontato direttamente tranne pochissime eccezioni come Children of Hiroshima del ’52, film di Kaneto Shindo che partecipò al festival di Cannes nel 1953, il corto d’animazione d’autore del ’78 Pica-Don (ovvero: esplosione dei mille soli, come fu chiamata l’atomica, presente nella sala audiovisivi del museo della bomba atomica di Hiroshima) di Renzo Kinoshita, Children of Nagasaki dell’83 di Keisuke Kinoshita, infine Black Rain di Shohei Imamura dell’89. Barefoot Gen non ha avuto una distribuzione fuori dal Giappone, e solo grazie al Japan Foundation di Tokyo è stato possibile proiettare al festival le copie originali in pellicola 16 mm. I film sono usciti negli Usa in versione dvd solo negli anni ’90.
L’Italia ha potuto leggere la storia di Gen solo dopo il 1999 quando la Panini Comics l’ha pubblicata in quattro volumi.
Ora, in occasione del settantesimo anniversario di Hiroshima, dopo il primo volume uscito nell’ottobre scorso, la 001 Edizioni, licenzia per la prima volta in Italia l’edizione integrale. La prossima uscita è attesa in autunno, l’ultimo episodio all’inizio del 2016. Una nuova traduzione con testi critici curati da Marcella Mariotti e Tiziana Vaschi della Cà Foscari di Venezia. Nel 1982 la Rai trasmise la storia di Gen con i due film del regista Tengo Yamada, in onda a puntate per alcune settimane con il titolo Gen senza scarpe. Lo stile di Barefoot Gen «risente molto del fumetto a cui è ispirato, è caratterizzato da espressioni caricaturali dove sono riconoscibili alcuni stilemi classici del manga come gli occhi e le bocche grandi dei personaggi» spiega Luca Della Casa, direttore tecnico del Future Film Festival e selezionatore per l’area asiatica.
Il racconto terribile di avvenimenti crudi ed estremamente drammatici è reso meno difficile grazie alla mediazione del disegno, cosa che riguarda anche una storia quasi del tutto dimenticata al centro del film in concorso Giovanni’s Island, realizzato da Mizuho Nishikubo nel 2014, dello studio di produzione I.G., che ha ottenuto premi e apprezzamenti a numerosi festival. Non è scontato per un lungometraggio giapponese vincere al prestigioso Festival d’animazione d’autore di Annecy come è accaduto nella scorsa edizione.
Il film, realizzato senza effetti di computer grafica, è uscito solo in Giappone, non è prevista una distribuzione italiana, anche se spesso in passato il festival è stato un’utile vetrina che ha dato ottime chance ad alcuni lavori per essere poi distribuiti. Ispirato a fatti realmente accaduti il film narra l’occupazione dell’armata rossa nell’isola giapponese di Shikotan alla fine della seconda guerra mondiale. Anche in questo caso la violenza del conflitto, le deportazioni, la morte, gli stenti, sono filtrati dagli occhi di due fratellini. I fatti accadevano molto lontano da dove erano state sganciate le bombe atomiche, la popolazione civile dell’isola viveva ai margini di quella grande tragedia.
Un film poetico e toccante, forse con qualche nota semplicistica nel finale dove la riappacificazione fra russi e giapponesi a distanza di più di cinquant’anni appare un po’ sdolcinata. In questo caso lo stile è più autoriale, meno caricaturale rispetto a Barefoot Gen, anche per non avere un manga di riferimento.
Si tratta di una storia originale nata per il cinema d’animazione che ha potuto mantenere una certa libertà di tratto.
L’autore ha raccolto le testimonianze di chi ha vissuto quegli avvenimenti da bambino poi ha costruito un racconto.
Il film inizia con l’anziano Junpei che torna nell’isola dopo oltre cinquant’anni. Lì è nato, vissuto e ha molti ricordi. Lo vediamo bambino insieme al fratello minore Kanta mentre nel luglio del 1945 un attacco aereo li costringe a nascondersi in un rifugio. Il padre fa parte dell’esercito di difesa, il tempo scorre e nell’agosto dello stesso anno il Giappone si arrende. L’isola viene occupata dai sovietici, la loro casa viene requisita da una famiglia russa dove vive una bambina di nome Tanya, con cui i due fratelli faranno amicizia. La stalla diventerà la loro nuova casa, il padre verrà arrestato, e nel 1947, come tutti gli abitanti dell’isola, verranno deportati in campi di prigionia a nord, in un luogo non ben definito, vicino alla Russia. Seguiranno molte avventure alla ricerca del padre prigioniero.
Il freddo, la fame, la morte del piccolo Kanta, poi finalmente il tanto sospirato ritorno in Giappone. Fino all’epilogo in cui il protagonista si trova nei luoghi cari dell’infanzia. Questi due episodi storici giapponesi, pur nelle differenze, hanno molti tratti comuni, ma il tratto più interessante emerso dalla conversazione con Luca Della Casa, esperto e grande conoscitore dell’animazione e i manga, è che non a caso il Giappone riveste un ruolo così importante nel genere.
Non aver potuto esprimersi per molti anni su temi delicati e importanti ha spinto molti creativi a cercare altri linguaggi per farlo, spesso la fantascienza è stata un utile alleato per trattare argomenti tabù usando metafore più o meno esplicite. La tragedia dell’atomica è stata spesso un fil rouge sottotraccia, quell’immaginario ha fortemente condizionato e impregnato molti lavori come Godzilla e molte altre produzioni post apocalittiche.
«La cultura pop della cultura anni ’60 è stata influenzata dai bombardamenti» aggiunge Della Casa, «le metafore sul pericolo atomico sono ricorrenti sia nel fumetto che nell’animazione, è evidente anche in Ken il guerriero e in Akira. Spesso il passato è stato riletto in chiave futuristica», per necessità aggiungiamo noi.
BOLOGNA, 12/5/2015
Fonte: http://ilmanifesto.info/hiroshima-i-bimbi-guardano-lorrore/