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Papa Francesco e la super potenza della Chiesa in America

Il papa americano ha fatto un passo in più: in qualità di teorico della “Chiesa in uscita”, sta cercando di universalizzare il modello americano. [Manlio Graziano]

Papa Francesco e la super potenza della Chiesa in America
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21 Settembre 2015 - 07.58


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Papa Francesco rende omaggio alla sola Chiesa cattolica di un paese non cattolico completamente libera di partecipare al più colossale e sregolato mercato della fede del mondo. Ora il papa americano ha fatto un passo in più: in qualità di teorico della “Chiesa in uscita”, sta cercando di universalizzare il modello americano.

di  Manlio Graziano*.


«Mentre i prelati europei languivano negli abietti palazzi di una
nobiltà sradicata ed succhiavano soldi e spirito dai contadini
ignoranti, la mistura americana di patriottismo, sindacalismo,
moderazione sociale e religiosità ha prodotto una delle Chiese più
vibranti e popolari». Così, nel 1997, Charles Morris descriveva le
ragioni del vantaggio preso dalla Chiesa degli Stati Uniti sulle Chiese
parassitarie dell’Europa e, potremmo aggiungere, dell’America Latina (American Catholic: The Saints and Sinners Who Built America’s Most Powerful Church).


La Chiesa cattolica universale si è, nel corso del XX secolo,
progressivamente “americanizzata”. Affacciatasi al nuovo secolo ancora
bellicosamente opposta ai principi dell’inseparabilità di Stato e
Chiesa, della libertà religiosa e di coscienza, lo ha concluso sulla
sponda opposta. I successi della secolarizzazione, la perdita di
contatto con le masse contadine inurbate e proletarizzate, la guerra
europea tra potenze cattoliche e, infine, la decolonizzazione, hanno
imposto alla Chiesa cambiamenti radicali, faticosi e dolorosi, che le
sono costati crisi e fratture. Ma che le hanno anche permesso di
prendersi la rivincita sulla secolarizzazione, e di poter riproporsi,
oggi, come punto di riferimento morale e, a termine, politico, in una
società a corto di ideali e di prospettive.


Il modello di quella inversione di tendenza è stata la Chiesa degli
Stati Uniti d’America. La sola Chiesa cattolica di un paese non
cattolico completamente libera – almeno secondo il Primo Emendamento –
di partecipare al più colossale e sregolato mercato della fede del
mondo. Fin dai suoi primissimi giorni,  la Chiesa americana ha
imbracciato il principio – aborrito dalla Chiesa universale – di libertà
di coscienza, per poter partecipare alla competizione su quel mercato.
Fin dall’inizio, è stata una “Chiesa in uscita”: una Chiesa che, priva
di ogni supporto istituzionale, costretta anzi ad affrontare
quotidianamente scherno e ostilità, non ha atteso che i fedeli venissero
a lei, ma è andata a cercarli, e ad organizzarli là dove si trovavano,
nei quartieri operai e nelle fabbriche. È grazie a quell’esperienza che è
riuscita a diventare, come scriveva Morris nella prefazione del suo
libro, «the most successful national Catholic Church in the world».


Il papa americano va a rendere omaggio a quella Chiesa e a quel
modello di successo che ha salvato la Chiesa universale dal naufragio di
un’autoreferenzialità disconnessa dall’evoluzione del mondo. I principi
“americani” furono ufficialmente accolti nel 1965 dal Concilio
Vaticano, introdotti dal gesuita di New York John Courtney Murray su
pressione del suo arcivescovo cardinal Francis Joseph Spellman, per
decenni trait-d’union tra Roma e Washington. Sono poi diventati, quei
principi, quasi un luogo comune, in un’istituzione come la Chiesa
cattolica, lentissima nei suoi movimenti di adeguamento alla realtà che
cambia, ma lestissima nel metabolizzarli. 


Benedetto XVI aveva detto che il viaggio negli Stati Uniti del 2006
gli aveva offerto «l’opportunità di riflettere sull’esperienza storica
americana della libertà religiosa». Secondo l’ex ambasciatore presso la
Santa Sede (2005-2008), Francis Rooney, Giovanni Paolo II e Benedetto
XVI  «avevano un genuino e profondo affetto per l’America». «In un certo
senso – prosegue il diplomatico – per Benedetto, il modello di una
corretta relazione tra la religione e la società civile erano gli Stati
Uniti d’America».


Il papa americano, Jorge Mario Bergoglio, ha fatto un passo in più:
in qualità di teorico della “Chiesa in uscita”, sta cercando di
universalizzare il modello americano, spingendo anche le Chiese dei
paesi cattolici a rinunciare alle rendite di posizione e a partecipare
al libero mercato della fede. Sapendo che, su quel mercato, sono i più
intraprendenti, ma anche quelli che hanno più esperienza e solidità
organizzativa, che, alla fine, si impongono.


Ma la «most successful national Catholic Church in the world» è
anche un preziosissimo strumento per gli Stati Uniti in declino
relativo. Per il “supplemento d’anima” che può offrire ad un paese che
si sente sempre più spesso spaesato e soulless, ma anche per la
quantità di servizi sociali – ospedali, centri d’accoglienza, mense,
asili, scuole,università – che può mettere a disposizione. E per un
personale di origine cattolica che riempie come mai prima d’ora i
vertici politici, militari e giudiziari del paese.


Un papa che parla davanti al Congresso riunito, permettendosi di
sferzare l’arroganza imperiale americana, e ricevendone in cambio
ovazioni ed applausi, è la nemesi storica dei padri pellegrini sfuggiti
alle persecuzioni cattoliche. Ma anche di una Chiesa arroccata in difesa
delle sue prerogative, per la quale la libertà religiosa fu a lungo «un
delirio».


La paura del declino ha spinto la Chiesa cattolica ad affidarsi
(anche) all’esperienza americana, e gli Stati Uniti ad affidarsi (anche)
all’esperienza cattolica. La visita di papa Francesco è un suggello di
questo singolare incrocio di destini.





* Manlio Graziano insegna geopolitica alla Sorbona – Paris IV,
all’American Graduate School in Paris e alla Skema Business School. È
specialista in geopolitica delle religioni. Tra le sue pubblicazioni: Guerra santa e santa alleanza. Religioni e disordine internazionale nel XXI secolo (Il Mulino, 2015); The Failure of Italian Nationhood (Palgrave-MacMillan 2010; papeprback, agosto 2013, uscito anche in edizione francese e italiana); Identité catholique et identité italienne (L’Harmattan, Parigi, 2007); Il secolo cattolico. La strategia geopolitica della Chiesa (Laterza, Roma, 2010; edizione spagnola El siglo católico, Rba, Barcellona, 2012). Ha inoltre scritto Essential Geopolitics: A Handbook – Manuel essentiel de géopolitique (eBook Amazon, 2011). Collabora con la rivista italiana di geopolitica Limes.

 

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