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Diritti delle coppie omosessuali: proviamo a “comprendere”. [Walter Moretti]

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23 Febbraio 2016 - 14.08


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di Walter Moretti

Se sono qui a scrivere sulla questione dei diritti delle coppie omosessuali, dopo aver letto e sentito milioni di parole in proposito, è perché ritengo che il dibattito sia a un livello a dir poco avvilente, perché monopolizzato da quelli che Massimo Bontempelli nel suo scritto “Diciamoci la verità” (Koiné, Gennaio/Giugno 2001 ed. C.R.T.) ha definito i teorici del “libertarismo arbitraristico”, tipico della sinistra progressista, a fronte del falso moralismo repressivo tipico dei cattolici e della destra.

Prima ancora di dividersi in merito alla questione in oggetto, ritengo di fondamentale importanza cercar di comprendere perché oggi il tema del diritto delle coppie omosessuali di sposarsi e avere figli (queste due possibilità sono strettamente collegate tra di loro, nonostante i tentativi di farli apparire come scindibili, perché se anche il parlamento non dovesse legalizzare l”adozione, tale possibilità dovrà comunque esser concessa per via giudiziaria) sia avvertito come una questione così dirimente, addirittura un discrimine di civiltà, in un’ epoca in cui l’economia e di conseguenza la politica hanno fatto piazza pulita di tutti i diritti sociali acquisiti dal dopoguerra fino all’inizio degli anni ‘80. Non mi occupo professionalmente di filosofia e di storia (che coltivo per mio interesse personale), ma credo che se sapute interrogare, queste discipline siano in grado di darci delle “lezioni” che consentono di meglio decodificare le questioni del nostro tempo. Sono “lezioni” che costano fatica, ma credo che valga la pena riproporle sia pure in termini ultra sintetici.

La lezione di Kant. Comprendere significa “sussumere il particolare all’universale”, ossia ricondurre una realtà particolare a un principio più generale che la comprenda e attraverso il quale possa essere spiegata. Proviamo quindi a comprendere (nel senso appena detto) la questione particolare in oggetto alla luce del più generale contesto in cui si colloca.

La lezione di Marx. Nell’opera Per la critica dell’economia politica (1859) Marx ci espone la sua concezione della storia distinguendo e articolando ogni società storica in struttura, data dall’intreccio tra forze produttive e i rapporti di produzione, sovrastruttura, ossia le istituzioni politiche e giuridiche, e forme di coscienza, cioè le idee filosofiche, artistiche, religiose… attraverso le quali gli uomini si rappresentano le società in cui vivono:

…nella produzione sociale della loro esistenza, gli uomini entrano in rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà, cioè in rapporti di produzione che corrispondono a un determinato grado di sviluppo delle loro forze produttive materiali. L’insieme di questi rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società, ossia la base reale sulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica e politica e alla quale corrispondono forme determinate della coscienza sociale. Il modo di produzione della vita materiale condiziona, in generale, il processo sociale, politico e spirituale della vita.” […] “Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza.

Constatare la veridicità di questo assunto marxiano con degli esempi storici è agevole, ma limitiamoci qui a verificarne la validità nella società contemporanea plasmata interamente, come vedremo, dal modo di produzione capitalistico, ormai divenuto letteralmente totalitario; si tratta dunque di riconoscere l’impronta di tale “struttura” nelle odierne forme di coscienza.

Nella sua analisi scientifico dialettica del capitale, Marx distingue la circolazione semplice dalla circolazione capitalistica.

La circolazione semplice (cioè la circolazione di merci in un sistema pre-capitalistico) segue lo schema M1 – D – M2 dove M1 è la merce che viene scambiata sul mercato in cambio di denaro (D) che è solo mezzo di circolazione, e M2 la merce acquistata col denaro ricavato.

La circolazione capitalistica: D1 – M – D2 dove D1 è il denaro investito per la produzione di merci (M) allo scopo di realizzare un profitto attraverso la loro vendita, cioè una quantità di denaro (D2) maggiore di D1. Quindi il denaro è il punto di partenza della circolazione e la merce l’intermediario per realizzare il profitto: il denaro verrà nuovamente investito per produrre altre merci ed accrescere così all’infinito il plusvalore, cioè la differenza tra D2 e D1.

Già da questa prima lezione marxiana si capisce quindi che la caratteristica peculiare del modo di produzione capitalistico è quella di dover crescere all’infinito. Verificare ciò non dovrebbe essere difficile, giacché basta aprire una qualsiasi pagina di giornale o accendere la televisione per leggere o sentirci dire che: “bisogna crescere”, “serve più sviluppo”, “il nostro problema è la crescita”, etc. etc. Se ne deduce quindi che la categoria di infinito è una delle chiavi di volta per capire molte cose della nostra società. E per riflettere su questa categoria è utile la lezione di Hegel.

La lezione di Hegel. Nel primo libro della Scienza della logica, tra le altre categorie dell’essere, è trattata anche quella di infinito collegata a quella di finitudine e di limite (altra categoria concettualmente strategica).

Il limite è quel confine che determina un perimetro oltre il quale un essere non è più ciò che è: una mela è una mela e non una pera perché delimitata da quelle caratteristiche fisico chimiche che ne determinano la “melinità”. Quindi, dopo aver trattato la categoria di limite come presupposto costitutivo di ogni essere, Hegel passa a trattare la categoria di finitudine, e quindi quella di infinità ad essa dialetticamente contrapposta, distinguendo tra infinità positiva ed infinità negativa (o “cattivo infinito”, per usare le sue parole):

una volta che sono stati separati l’uno dall’altro, finito e infinito sono riferiti l’uno all’altro appunto dalla negazione che li separa. Questa negazione è il limite di ciascuno rispetto all’altro… Così ambedue hanno un limite, e l’infinito, avendo un limite, è in realtà finito.

Quindi, ci dice Hegel, l’infinito inteso come negazione della finitudine, come al di là del finito, è un infinito la cui infinità, sul piano puramente concettuale, è logicamente incongruente, perché determinata dalla finitezza della separazione dal finito; è l’infinito del “… e così via all’infinito”; è l’infinito della retta, per intendersi; quello che Hegel chiama, appunto, “il cattivo infinito”, che, nel suo concetto, conduce necessariamente alla trascendenza. Pensare questo tipo di infinito entro la nostra realtà ci è infatti impossibile, perché tale realtà è rigidamente strutturata entro limiti dati: dalla vita stessa, al pianeta su cui viviamo. Tale tipo di infinito Hegel lo distingue dall’infinito positivo, cioè dal buon infinito, spiegando come l’unico infinito logicamente congruente e comprensibile sia dato dall’unità dell’infinito e del finito. Scrive Hegel:

Nessuno dei due [finito e infinito] può essere posto come compreso senza il suo altro posto in lui qual suo proprio momento, né l’infinito senza il finito, né il finito senza l’infinito.

Dunque, l’unico infinito “comprensibile” è quello che comprende in sé il finito. E se la forma geometrica più adatta a descrivere la cattiva infinità è la retta, quella per descrivere la buona infinità (cioè quella includente la finitudine) non può che essere il cerchio, in quanto figura in sé conclusa, ma che, proprio in questo suo essere finita, è infinita, perché ogni suo punto finale è un punto iniziale, che rende il circolo percorribile all’infinito. Questo è l’infinito a noi perfettamente comprensibile, immaginabile, perché compatibile con la nostra realtà.

A questo punto ci dobbiamo domandare quale sia l’”infinito” di cui vive il modo di produzione capitalistico. Se è chiara la precedente spiegazione, si capisce che tale infinito è quello “cattivo”, ossia l’infinito al di là del finito, e quindi l’infinito che non tollera limite alcuno. E già questo dovrebbe essere una brutta notizia, dato che, come abbiamo detto, la realtà umana si struttura entro la finitudine. Vediamo a questo punto se, osservando quanto accade nel mondo, riusciamo a riconoscere questa caratteristica nella realtà politica, culturale e financo fisica che ci circonda. Per vedere ciò è utile una breve ricostruzione a sommi capi dello sviluppo capitalistico dal dopoguerra ad oggi.

La lezione della storia. Partiamo dal dopoguerra perché questo è l’inizio di un nuovo ciclo fortemente espansivo del capitalismo, dopo la crisi degli anni Trenta e la successiva seconda guerra mondiale, che lasciò dietro di sé, letteralmente, un intero continente da ricostruire: città, infrastrutture, industrie etc. In vista anche di questo scopo, dal 1° al 22 luglio 1944 si tiene la conferenza di Bretton Woods, dove i principali paesi industrializzati del mondo stilano accordi per regolamentare le relazioni commerciali e finanziarie.

Il tipo di sviluppo capitalistico che ne segue è quindi un capitalismo fortemente regolamentato, operante entro limiti ben definiti, in grado comunque di svilupparsi vertiginosamente grazie proprio alla ricostruzione post bellica e alla reale esigenza delle persone di dotarsi di quei beni durevoli (case, ferrovie, automobili, televisori, frigoriferi etc.) andati distrutti durante la guerra o non ancora in produzione su scala industriale. Ed è proprio grazie a questa forte espansione del capitale che sono state possibili quelle riforme, promosse dalle sinistre occidentali, che hanno portato a reali processi di emancipazione sociale, se pure con grandi battaglie collettive. Ciò è stato possibile perché, grazie alla rigida regolamentazione del capitalismo, gli Stati nazionali potevano gestire interi ambiti della vita collettiva con logiche non mercantili, erogando servizi (istruzione, sanità, trasporti) che andavano a formare il cosiddetto salario indiretto, mentre il capitale poteva comunque crescere grazie appunto alla crescente domanda di beni.

Senza entrare troppo nel dettaglio, questo tipo di assetto è andato avanti fino alla fine alla fine degli anni Sessanta, dopodiché, con la fisiologica diminuzione della domanda di beni durevoli e con le crescenti conquiste sociali del mondo del lavoro, l’accumulazione capitalistica ha iniziato a segnare il passo. Per questo, gradatamente e anche in modo non coordinato, iniziarono tutta una serie di “riforme” – sulle quali adesso non entriamo nel dettaglio per non dilungarsi troppo – che portano all’inizio degli anni Ottanta ad una nuova fase dello sviluppo capitalistico, che vede il capitale, e quindi la logica di mercato, invadere inesorabilmente quegli ambiti che fino a quel momento erano gestiti con logiche non mercantili, non aziendalistiche, esattamente per permettere al capitale di continuare a perseguire la sua crescita infinita.

Fino ad arrivare ai giorni nostri, dove la scuola è diventata “l’azienda scuola”, gli ospedali “aziende sanitarie”, e dove la logica di mercato ha invaso qualsiasi ambito della vita collettiva (i trasporti, lo sport, la cultura, la ricerca scientifica….), mentre il territorio subisce continue distruzioni per far posto a nuove costruzioni, nuove strade, nuove aziende, nuove infrastrutture…, spazzando via – ed ecco il punto – in ogni ambito, i limiti costitutivi dell’ambito stesso: è ovvio che una scuola che risponde a logiche aziendali non è più una scuola; un ospedale non è più un ospedale, etc.

A questo punto si dovrebbe quantomeno iniziare a intravedere le ragioni per le quali oggi ci troviamo a discutere della necessità di dare la possibilità anche alle coppie omosessuali di sposarsi, mettere su famiglia e quindi poter adottare figli, mentre contemporaneamente si fa piazza pulita dei diritti di tutti, etero e omosessuali indistintamente. Le condizioni materiali perché possa sussistere la “famiglia” (certezza di un reddito adeguato, stabilità lavorativa e abitativa, servizi veri per i figli…) sono state azzerate con impressionante compattezza dalla destra e dalla sinistra, dai laici progressisti e dai cattolici conservatori senza batter ciglio. Mentre stiamo scrivendo, sulle prime pagine dei giornali campeggia la notizia, coerente con l’analisi di cui sopra, che il governo vuol tagliare drasticamente la pensione di reversibilità tra marito e moglie, e ciò proprio mentre in Parlamento si stanno scannando per dare, giustamente, tra gli altri diritti, quello della pensione di reversibilità anche alle coppie omosessuali. Per non parlare dello stupore ebete di quanti commentano i dati dell’Istat sul crollo delle nascite in Italia. C’è la crisi…

In ogni caso, per fare qualche verifica sperimentale circa la lungimiranza delle “lezioni” di cui sopra, proviamo a pescare [url”qualche notizia”]http://www.huffingtonpost.it/2016/01/30/family-day-grandi-aziende_n_9120172.html[/url] qua e là:

Aziende multinazionali come Ikea o Eataly, note falcidiatrici di diritti del lavoro, si battono per dare il diritto alle coppie omosessuali di formare una famiglia. Quindi, con i fatti operano contro le famiglie, intese come micro comunità di lavoratori che hanno bisogno di salario, stabilità, etc. e dall’altra sono a favore delle famiglie, intese però come micro comunità di consumatori.

Da [url”questo articolo”]http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/03/26/gay- in-cina-prima-erano-arrestati-rinchiusi-valgono- 300-miliardi-dollari/1533071/[/url], invece, veniamo a sapere che la rivista Forbes ha stimato il “potenziale commerciale” mondiale del mondo Lgbt in tremila miliardi di dollari. E anche una società come quella cinese che fino al 1997 internava gli omosessuali come malati di mente, oggi è costretta ad accettare volente o nolente questa realtà. Ma risulta un po’ difficile credere che la causa di ciò sia il rispetto dei diritti…

È sorprendente poi vedere come le vere ragioni che muovono certe dinamiche vengano fuori, loro malgrado, dalla bocca degli stessi protagonisti che portano avanti queste battaglie, spesso in totale buona fede. Si ascolti a questo proposito quanto dice alla giornalista che lo sta intervistando l’attore Carlo Gabardini, grande sostenitore della causa in questione (dal minuto 1.30):

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“…l’economia non guarda cos’hai tra le gambe, ma guarda solo al portafogli”. Ecco una buona chiave di lettura per comprendere le ragioni della corrente progressista.

Arrivati a questo punto dovrebbe essere più chiaro come, dietro a questa battaglia politica, al di là della consapevolezza degli attori in campo, non vi sia una questione di diritti, bensì di doveri: il dovere del capitale di crescere e quindi di espandersi in ogni ambito della vita, abbattendo qualsiasi limite che ne ostacoli la crescita. Si potrebbe obiettare, però, che il fatto che tale allargamento dei diritti vada a favore del capitale non inficia l’eventuale istanza di giustizia insita nella causa stessa, e certamente in parte è così. Per rispondere però a questa obiezione, propongo di riflettere su quanto scritto da Massimo Bontempelli in un suo breve testo dal titolo “Diciamoci la verità” (Koiné, Gennaio/Giugno 2001 ed. C.R.T.), in merito a tali problematiche:

…La coppia omosessuale non può essere regolata istituzionalmente alla stessa maniera di quella eterosessuale. […] Ciò non significa un giudizio negativo della coppia omosessuale rispetto a quella eterosessuale, perché non esistono due tipologie della coppia, ma altrettante tipologie quante sono le coppie stesse, che possono essere più o meno umanamente ricche a seconda dei percorsi interpersonali che riescono a costruire, e non certo a seconda della preferenza sessuale che implicano. Non significa che la coppia omosessuale non debba essere tutelata come quella eterosessuale su tutta una serie di piani, dall’accesso alla casa alla reversibilità della pensione. Significa, però, che la pretesa di sussumere il reciproco impegno di una coppia omosessuale, con i diritti e i doveri che ne derivano verso la comunità, nella categoria del matrimonio, e gli effetti verso terzi nella categoria della famiglia, sfocia nell’indistinzione delle forme di vita in un totale soggettivismo contrattualistico, che non garantisce alcun equilibrio alla società. Esiste un’esigenza sociale oggettiva di socializzazione primaria attraverso i modelli archetipici del maschile e del femminile, del paterno e del materno, di cui deve essere preservata l’autonomia istituzionale, tanto più in un’epoca in cui si realizza così poco sul piano empirico. La coppia omosessuale che pretenda non già la sacrosanta tutela giuridica di alcuni vitali interessi comuni nati dalla relazione, ma di aver formato un matrimonio ed una famiglia, mostra un inconscio disprezzo verso la specificità, che dovrebbe invece valorizzare, del proprio percorso, come un africano che combattesse il razzismo pretendendo di essere considerato bianco di pelle.

Dunque, ci dice Bontempelli, una coppia omosessuale che pretenda di aver formato un matrimonio e una famiglia mostra un inconscio disprezzo verso la specificità del proprio percorso. Ed è esattamente questo il punto! Rispettare tale specificità, al contrario, vorrebbe dire accettare quei limiti costitutivi della specificità stessa, come di qualsiasi specificità.

A questo punto però ci dobbiamo domandare perché il sentire comune non percepisce più come una violazione l”abbattimento dei limiti che determinano la specificità di un determinato ambito. Perché nessuno si indigna più se la scuola diventa un”azienda, così come gli ospedali diventano aziende sanitarie? Oppure, perché accettiamo più o meno passivamente l”abominio delle biotecnologie finalizzate al superamento dei limiti della Natura, come anche quelle tecnologie della robotica finalizzate a superare i limiti dell”umano? Perché non abbiamo più un”idea della maniera migliore di essere di ogni cosa, quindi del limite costitutivo di ogni realtà? Se è chiara la lezione di Marx la risposta è semplice: l’esigenza del capitale (la struttura) di crescere indefinitamente non tollera limiti che possano in qualche modo ostacolarne l’accumulazione, quindi semaforo verde per tutto ciò che favorisce nuove occasioni di profitto (mercato della salute, della riproduzione per via tecnologica, degli uteri in affitto…) con la conseguenza di plasmare inesorabilmente le nostre forme di coscienza, la nostra cultura, il pensiero filosofico, le arti, le scienze, fino alle coscienze individuali nella direzione del cattivo infinito di cui necessita. L’idea di libertà come assenza di limiti, tipica della sinistra progressista, è la forma di coscienza plasmata dal capitalismo assoluto. Coloro che sembrano opporsi a questa tendenza (Family day, destre, cattolici di varia provenienza) grondano ipocrisia, perché come i loro apparenti rivali hanno sterminato nella pratica politica e sociale qualsiasi limite che possa tutelare autenticamente la vita, la famiglia, la Natura e il bene collettivo.

Recuperare quindi un rispetto dei limiti che ineriscono la nostra realtà ed un”idea della maniera migliore di essere di ogni cosa, fondata razionalmente, vuol dire, innanzitutto, rimettere al centro dell”agenda filosofica e culturale un”idea razionale, trascendentale di Uomo che vada oltre l”orizzonte mortifero dell”attuale totalitarismo capitalistico.

(23 febbraio 2016) [url”Torna alla Home page”]http://megachip.globalist.it/[/url]

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