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'L''outlet dei bambini'

'Solo sfogliando il catalogo delle ''egg donors'', le donatrici di ovuli, mi sono trovato faccia a faccia con quello che non può non sembrare un mercato di esseri umani. [F.M. Del Vigo]'

'L''outlet dei bambini'
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1 Marzo 2016 - 21.40


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di Francesco Maria Del Vigo.


Ho
provato a farmi un giro nel supermercato dei feti e ne sono uscito inorridito.
Da qualche giorno non si parla d’altro: Nichi
Vendola
e il suo compagno Eddy
sono diventati papà.

Grazie
a un utero in affitto. E detta così
sembra una cosa quasi normale. A qualcuno fa senso, ad altri schifo: ma ormai
questa locuzione “utero in affitto” la abbiamo sentita ripetere così tante
volte dalla nostra stupida politica che ci pare normale.

Sembra
uno dei tanti temi su cui si accapigliano in Parlamento per dare un senso alla
loro esistenza o alla loro rendita politica.

“Utero
in affitto”.

Beh
pure gli appartamenti si prendono in affitto, anche le automobili. I motorini,
i quad, persino i libri e gli smoking. Insomma io sentivo parlare di
questo utero in affitto ma non pensavo a cosa volesse effettivamente dire. Era
un “sovrappensiero”, come nella vecchia canzone dei Bluvertigo.

Poi
ho letto un trafiletto sul “Corriere della Sera” nel quale veniva spiegata alla
perfezione la dinamica di questa pratica: il costo per i futuri genitori, lo stipendio della proprietaria
dell’utero
e della donatrice degli
ovuli
, nel caso ce ne fosse bisogno. E ho letto il nome della più famosa
clinica che pratica questo tipo di interventi: Growing Generations.
Ho digitato il nome su Google e mi sono fatto un giro di un paio d’ore in
questa fabbrica di bambini. Solo così ho capito cosa è l’utero in affitto. Solo
sfogliando il catalogo delle “egg
donors”, le donatrici di ovuli
, mi sono trovato faccia a faccia con quello
che non può non sembrare un mercato di
esseri umani
.

Sulla
home page del sito scintillano i denti di una famiglia sorridente. Tutti
felicissimi e belli. Biondi, mori, lattei, olivastri, con gli occhi chiari o
scuri. Tutti i fenotipi. La mercanzia è tutta in vetrina e il magazzino offre
tutte le varietà in commercio.

Poi
si inizia la navigazione: ci sono i
menù e le offerte per gli aspiranti genitori, per le aspiranti madri surrogate
e per le donatrici di ovuli. Tutto chiaro e preciso, come nelle migliori brochure commerciali.

D’altronde
qui si paga e si paga pure bene:
sborsa tanti soldi chi vuole un nano scintillante e ne riceve altrettanto chi
lo ospita durante la gestazione e chi fornisce gli ovuli. Il figlio è un bene di lusso.

C’è
un calcolatore che in base alle assicurazioni sanitarie e i contratti
che stipuli computa immediatamente il costo
dell’operazione
. Come nei car configurator dei siti delle case
automobilistiche: cerchi in lega, sedili in pelle, navigatore. Ma la
configurazione del nascituro è appena iniziata.

Nella
clinica del futuro si può scegliere tutto, basta iscriversi per iniziare lo
shopping.

Si
parte con la scelta del donatore di ovuli: razza
(afroamericano, caucasico, asiatico ecc), peso, altezza, colore dei capelli e degli occhi. Si selezionano tutti gli optional.

Pura eugenetica. Il sogno di Mengele.

Dopo
aver smarcato tutte le voci preferite si avvia la ricerca. E, come in un
macabro Facebook degli ovuli,
compaiono le immagini dei profili delle donatrici. È il social network dei
cromosomi. E le donatrici ci tengono
a far sfoggio delle loro ottime credenziali genetiche: book fotografico con
prole al seguito per dimostrare di avere
buoni lombi, video di auto
presentazione e curriculum. Più ovuli hanno già dato è più sono affidabili. E
più vengono pagate. Una specie di usato
sicuro
, di certificazione di garanzia.

E fa
un po’ effetto immaginare il leader di Sel che si mette a selezionare la razza,
questa parolaccia che quelli come lui volevano strappare dai dizionari.

La
stessa filosofia vale per le madri
surrogate
, cioè le donne che
ospiteranno ovuli e partoriranno i bambini
. La loro scelta è ancora più
complessa, perché durante i mesi di gestazione dovrà interagire con i futuri genitori. Il catalogo è ampio e stilato con
minuzia di particolari. Tutta l’operazione (con ovuli e madre surrogata, come
nel caso dell’ex governatore, altrimenti si può anche portare un ovulo da
impiantare) costa sui 145mila dollari
ai futuri genitori. Un servizio per
coppie abbienti
.

Ma
non state a preoccuparvi, per chi non ha subito tutta la liquidità il sito
ricorda in continuazione che si possono
finanziare sino a 100mila dollari
con un tasso di interesse del 5 per cento. Un affarone.

Alla
concessionaria dei figli tutto è possibile.

Per ora non fanno leasing ma magari
prima o poi fanno anche un buy back
, non si sa mai che poi il pargolo
rompa i coglioni e i genitori lo vogliano riportare in clinica.

Alla
madre surrogata, che viene seguita passo dopo passo e stipula un minuzioso
contratto legale, vanno almeno 40mila
dollari
.

Alla
donatrice 8mila dollari per la prima
donazione e dalla seconda in poi 10mila.

Tutto
calcolato. Tutto stipulato. Tutto perfetto. Tutto normato e tutto
incredibilmente anormale.

Un meccanismo di ingegneria genetica
perfettamente rodato
. Ecco, è sfogliando questo catalogo di umanità in
vendita che si capisce veramente cosa sono l’utero in affitto e la maternità
surrogata, queste locuzioni si staccano dalla strumentalità della politica e
assumono la tridimensionalità di una
pratica che può cambiare il mondo
.

Sono
le meraviglie della scienza? Ma ne siamo davvero certi? Lasciamo perdere Nichi
Vendola e il suo compagno, mettiamo da parte anche il fatto che queste cliniche
siano utilizzate principalmente, ma non esclusivamente, da coppie omosessuali.
Perché il problema non è quello, non solo quello almeno. Il problema è capire se è giusto costruirsi un figlio “sartoriale” selezionando
pure il colore dei capelli e sfruttando – con la consapevolezza altrui,
ovviamente – il corpo di un’altra donna. Per soddisfare le proprie voglie,
perché si è omosessuali o magari per non portarsi dietro nove mesi di pancia,
oppure per non perdere il lavoro a causa della maternità, è giusto far nascere un
bimbo perfetto nel ventre di una donna costretta a venderlo per fare soldi?

Non è
una questione di religione o di fede – che io non ho – è una questione di
umanità. Perché è evidente che questo è
un mercato
e che, in quanto tale, risponde
solo alle regole del mercato
. Che sono tra le migliori in circolazione. Ma
per comprare le scarpe o il ferro, non i bambini. E le donne.

Una
volta i più poveri erano proletari,
che non avevano nulla se non la prole. Ora che i figli sono un bene di lusso si
chiameranno uteritari? Ovulitari?

Forse
stiamo giocando troppo agli apprendisti stregoni, ai piccoli chimici senza accorgerci che siamo solo grandi cinici.



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