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(E)lezioni americane: il mostro senza occhi

Oggi più che mai serve un progetto serio e credibile di alternativa rispetto all’ideologia neo-liberista. [Paolo Ercolani]

(E)lezioni americane: il mostro senza occhi
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31 Maggio 2016 - 23.15


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di Paolo Ercolani

Uno sguardo a tutto campo nell”anno delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti d”America, tra crisi dell”Impero a stelle e strisce e nuove sfide imposte all”Occidente da un mondo che si va riconfigurando in modo multipolare. In filigrana l”ascesa e il consolidamento del “mostro” capitalistico-finanziario neoliberista col suo corrispondente demagogico e politico fatto di populismo, xenofobia, fascismo. L”articolo è uscito oggi su [url”il manifesto”]http://ilmanifesto.info[/url]. Ringraziamo Paolo Ercolani per averci gentilmente concesso di riprenderlo qui. Buona lettura. (pfdi)

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Gli Stati Uniti sono indiscutibilmente il paese guida dell’Occidente. Essi, nel bene come nel male, ne rappresentano l’epitome, la summa attraverso cui è possibile scorgere e seguire il filo rosso che tiene unita una trama di per sé apparentemente sconnessa e complessa.

Quello che sta accadendo in quel paese è quanto mai inquietante e sorprendente, di un’eloquenza che, però, risulta muta in un’epoca in cui l’esorbitante flusso di informazioni produce l’oscuramento dell’essenziale.

Il paese a capo dell’Occidente rischia seriamente di essere governato da un populista che usa toni e argomenti violenti, misogini e razzisti, ma soprattutto con un programma politico fortemente incurante (per non dire ostile) rispetto a tutto ciò che non è «american branded» (segnatamente americano).

L’impero occidentale non sta vacillando soltanto nella sua periferia (dove sempre più paesi rischiano di consegnarsi, o si stanno per consegnare al governo del populismo più reazionario e xenofobo), ma ormai anche il suo fulcro sembra subire uno smottamento dagli esiti più imprevedibili e preoccupanti.

Il crollo dell’Impero

Quanto appaiono lontani gli anni in cui, a torto o a ragione, si è festeggiato il primo presidente nero (e per di più di origini islamiche), armato di intenzioni democratiche e progressiste che solo in minima parte è riuscito a realizzare.

Che sta succedendo qualcosa di epocale è sotto gli occhi di tutti coloro che possono (e vogliono) vedere: nel bene come nel male gli Stati Uniti avevano finora anticipato di circa un decennio (e più o meno in tutti gli ambiti: politico, culturale, sociale) tutti quei fenomeni che, poi, sarebbero immancabilmente comparsi anche nei paesi della provincia dell’impero.

Oggigiorno, invece, abbiamo visto cominciare a incrinarsi prima i confini estremi dell’Occidente (con paesi caduti sotto il governo di populisti di dubbio spessore e rigore politico e personale: in Italia Berlusconi), mentre adesso (a ruota) è proprio il cuore dell’impero a rischiare di cadere sotto i colpi destabilizzanti del populismo più retrivo e pericoloso.

Le elezioni americane sono vicine e la vittoria di Hillary Clinton (personalmente dotata di scarso appeal e, in aggiunta, notoriamente genuflessa ai grandi poteri finanziari) è tutt’altro che scontata.

Il fascino e la presa del miliardario Donald Trump su un elettorato impoverito e spaventato dalla crisi economica (e da politiche rigorosamente a favore dei ricchi e dei poteri forti), e quindi assetato di cambiamenti radicali rispetto al passato, rischia di consegnare agli Usa, e quindi al mondo intero, il peggior presidente alla guida del paese più potente del mondo.

Un fatto epocale, certo, una disgrazia che può far prefigurare gli scenari peggiori.

Ma sarebbe un grave errore pensare che, in tal caso, ci troveremmo di fronte a una frattura netta col passato.

Il «mostro senza occhi»

Piuttosto, è il caso di dirlo, ci troveremmo di fronte all’esito finale, non so quanto consapevolmente voluto, di un percorso ben definito che non potrebbe condurre a risultati diversi.

Sì, perché il populismo, il desiderio delle classi medie malridotte di consegnarsi all’uomo forte, così come di chiudersi all’interno dei propri confini nazionali (ma anche culturali, etnici, economici), tutto questo combinato che sta mettendo in crisi forse irrimediabile i partiti e le figure storiche della politica occidentale, rappresentano soltanto il grande e prevedibile effetto di un problema che sta a monte.

Questo problema può essere descritto come un «mostro senza occhi», che si muove seguendo l’ideologia neo-liberista del capitalismo finanziario praticamente incurante degli effetti disastrosi che sta producendo da più di un trentennio a questa parte.

Si tratta di un vero e proprio sistema di potere che opera seguendo delle precise linee guida: innanzitutto la distruzione della politica, intendendo con ciò il depotenziamento (quando non il vero e proprio annullamento) di tutte quelle istituzioni democraticamente elette che, a partire dai governi nazionali, hanno avuto storicamente il compito di contenere e guidare i processi dell’economia di mercato, frenando la libertà selvaggia del capitale finanziario e cercando di garantire la protezione e la tutela delle fasce sociali a reddito medio e medio-basso.

Un’ideologia, quella neo-liberista oggi dominante, che si preoccupa di garantire e tutelare il fortissimo arricchimento delle fasce sociali più ricche e delle istituzioni finanziarie più potenti (a cominciare dalle banche e dalle multinazionali), confidando nella convinzione che la ricchezza di questi soggetti possa garantire un’automatica caduta a pioggia (trickle-down theory) di tale ricchezza verso il basso.

Il mostro senza occhi si rivela in questo modo incapace non soltanto di vedere gli effetti deleteri che questo suo modo di operare produce (con disuguaglianze sociali che stanno rendendo sempre più drammatica e insostenibile la condizioni delle classe medie e medio-basse, ossia la grande maggioranza della popolazione), ma anche di fare tesoro della Storia.

Il populismo (e il fascismo) fase suprema del neo-liberismo

Una storia che ci racconta come gli stessi Stati Uniti, e con loro i paesi dell’Occidente industrializzato, hanno potuto superare la deriva del nazifascismo e della devastante crisi economica degli anni Trenta del Novecento, grazie a politiche statali con cui, per esempio, è stata imposta una forte tassazione alle classi sociali più agiate (e ai grandi flussi finanziari) al fine di allargare lo stato sociale, tutelare il grande numero di cittadini in difficoltà esistenziale e sostenere quel lato del mercato che viene chiamato «domanda», ossia la stragrande maggioranza delle classi sociali senza la cui possibilità di disporre di denaro da spendere nessun mercato è in grado di reggere oltre un tempo ragionevole.

A voler cercare una data di nascita di questo mostro senza occhi, si potrebbe risalire a quel 1971 in cui Lewis F. Powell, giudice della Corte Suprema americana, stilò un memorandum in cui si proponeva di intervenire sulle università statunitensi (specialmente sulle facoltà umanistiche e sociali), ma anche sulla televisione, sulla stampa e persino sulla pubblicità, con lo scopo di colpire ogni forma di pensiero dissenziente rispetto al «totalitarismo neo-liberista», non senza prevedere un’attività di lobbying finalizzata ad aumentare i contributi economici (da parte del potere finanziario ed industriale) verso quei candidati politici disposti a mettere in atto politiche ispirate alla realizzazione dei principi liberisti.

A distanza di qualche decennio rispetto alla realizzazione certosina di questo «progetto politico-economico-culturale», ci troviamo ai giorni nostri in una condizione in cui la disuguaglianza economica e sociale ha gettato nella precarietà, nel disagio quando non nella fame, e soprattutto nella frustrazione e nella rabbia un numero sempre crescente di fasce sociali.

Quelle stesse fasce sociali che, per esempio negli Stati Uniti (ma anche in Europa), rigettano con disprezzo la politica del mainstream per rifugiarsi in figure populistiche, portatrici di messaggi rivoluzionari estremistici, demagogici e xenofobi.

Il mostro senza occhi non è in grado di vedere che la paura dei cittadini impoveriti e privati di ogni speranza di crescita personale e sociale, ha sempre rappresentato una benzina straordinaria per ogni incendio della vicenda umana dai tempi moderni in poi. Ce lo ha spiegato il filosofo Hobbes: è la paura a creare il Leviatano.

Un po’ di anni fa ciò era spiegato da un ottimo libro, La misura dell’anima (di R. Wilkinson e K. Pickett), in cui dopo aver preso atto del preoccupante affermarsi della disuguaglianza, i due autori segnalavano come nei paesi a maggiore disparità economica si riscontravano dati assai preoccupanti rispetto alla mortalità infantile, alle gravidanze adolescenziali, ai risultati scolastici, agli omicidi e ai crimini in genere, ma anche rispetto alle aspettative di vita, alle malattie mentali e a quell’obesità che, guarda caso, rappresenta un problema tornato fortemente di attualità non soltanto negli Stati Uniti.

In questi nostri giorni, dopo che in Europa tornano a essere fortissime le forze di estrema destra, e negli stessi Usa si rischia fortemente l’elezione di un elemento come Donald Trump (dato ormai vincente contro la Clinton, ma non a caso perdente contro l’altro anti-sistema: il socialista Bernie Sanders), dobbiamo prendere atto che siamo vicini a un punto di non ritorno dagli esiti tanto imprevedibili quanto nefasti.

Mai come oggi si rivela necessaria la costituzione e l’organizzazione di forze politiche fondate su un progetto serio e credibile di alternativa rispetto all’ideologia neo-liberista.

Non è per nulla facile, e anzi a fronte del meccanismo sopra descritto rischia per tante ragioni di rivelarsi un progetto utopistico e velleitario.

Ma se non apriamo gli occhi noi che possiamo, non è pensabile che lo faccia il «mostro senza occhi».

(1 giugno 2016)

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