La Germania sta valutando nuove leggi che obbligheranno le piattaforme di social media come Facebook e i motori di ricerca come Google ad assumere un ruolo più attivo nel regolamentare i contenuti offensivi sui loro siti.
Le misure ipotizzate dalla coalizione di governo di Angela Merkel includono il costringere le società a prevedere canali specifici per trasmettere reclami, a pubblicare il numero di segnalazioni ricevute e assumere mediatori legalmente qualificati per far eseguire le richieste di cancellazione.
Le piattaforme online che non si adegueranno a questi requisiti legali potrebbero essere multate con sanzioni calcolate sulla base del loro fatturato annuo globale, oppure ricevere multe immediate fino a 500mila euro se non intervengono entro 24 ore per rimuovere i post considerati illegali in base alla legge tedesca sull’incitamento all’odio.
La preoccupazione verso il potere dei social media di dare vita a campagne populiste e alimentare teorie complottiste è cresciuta a seguito del voto britannico per uscire dall’Unione Europea e dell’elezione-scandalo di Donald Trump a novembre, dopo i quali i politici di tutta Europa hanno iniziato a guardare con ansia alle elezioni in Francia e Germania del prossimo anno.
In Germania, la quale ha una legislazione molto severa riguardo all’incitamento all’odio – compresa la prigione per il negazionismo dell’Olocausto o l’incoraggiamento all’odio verso le minoranze –, negli ultimi mesi si è amplificata l’insofferenza dei politici per via del rifiuto delle compagnie di assumersi la responsabilità dei contenuti pubblicati sui loro siti.
Una taskforce contro i contenuti offensivi che comprende rappresentanti di Google, Facebook e Twitter, istituita dal ministro tedesco della giustizia Heiko Maas nell’autunno del 2015, si è posta come obiettivo di cancellare i post illegali entro 24 ore dalla loro pubblicazione. Ma uno studio del governo diffuso quest’anno alla fine di settembre ha rivelato che le compagnie tecnologiche avevano ancora difficoltà ad agire in modo adeguato contro le infrazioni di legge, con Facebook che era in grado di cancellare solo il 46% dei contenuti identificati come illegali da utenti comuni e non privilegiati, YouTube il 10% e Twitter l’1%.
Secondo un’indagine del Süddeutsche Zeitung, ad oggi Facebook ha assunto attraverso il service provider Arvato circa 600 persone, incaricate di effettuare 2.000 cancellazioni a testa al giorno dai suoi account in lingua tedesca. Ma le autorità tedesche dicono di non aver ricevuto nessuna notizia di questo tipo da parte delle stesse compagnie tecnologiche.
Maas ha fatto sapere all’Observer che se un altro studio, atteso per l’inizio del prossimo anno, dimostrerà che non ci sono stati progressi, il governo tedesco procederà a sanzionare le compagnie.
“Stiamo già definendo nel dettaglio come possiamo rendere legalmente responsabili i provider delle piattaforme online per i contenuti che infrangono la legge tedesca e non vengono eliminati. Naturalmente, se le altre misure non funzionano, siamo costretti a prevedere delle multe. Questo sarebbe un forte incentivo per un’azione rapida”.
Mentre l’attuale legge tedesca fissa un tetto di 10 milioni di euro come sanzione alle aziende per reati penali, il Ministero della Giustizia sta studiando indipendentemente la possibilità di calcolare in futuro le multe sulla base del fatturato annuo globale della compagnia.
“Abbiamo urgente bisogno di maggiore trasparenza”, ha detto Maas, membro del partito di centro-sinistra Social Democratico. “Potremmo pensare di obbligare i social network a pubblicare ad intervalli regolari un resoconto di quante lamentele hanno ricevuto per via di contenuti illegali di incitamento all’odio e come hanno agito a riguardo. In questo modo risulterebbe visibile a tutti il numero di rimostranze e di cancellazioni. Questo accrescerebbe anche la pressione su Facebook, Twitter, Google e gli altri.”
“Le compagnie che fanno soldi grazie ai social newtwork hanno obblighi sociali – non può certo essere nel loro interesse che le loro piattaforme siano usate per commettere dei crimini”, ha detto.
Mentre in Germania il dibattito si è concentrato per lo più sulle pubblicazioni di post su Facebook, Twitter e YouTube, simili modifiche di legge avrebbero conseguenze in senso più ampio anche per il motore di ricerca Google.
Domenica scorsa un articolo dell’Observer ha segnalato che il primo risultato di ricerca su Google alla domanda “L’Olocausto è avvenuto?” rimandava ad un articolo su un sito neo-nazista. Sebbene digitando la stessa domanda in tedesco sulla pagina Google tedesca questo link non sia in posizione prioritaria, tuttavia la prima pagina di risultati include comunque link ad articoli negazionisti.
Secondo Christian Solmecke, un avvocato di Colonia specializzato in reati di incitamento all’odio, queste affermazioni rientrano “inequivocabilmente” nella sezione 130, paragrafo 3 del codice penale tedesco, che recita: “Tutto ciò che pubblicamente o in un incontro supporti, neghi o sminuisca un atto compiuto nel nome del Nazional Socialismo […] in un modo tale da disturbare la quiete pubblica è passibile di condanna alla prigione fino a cinque anni o di pena pecuniaria.”
Nonostante Google non debba occuparsi di trovare da sé i contenuti illegali, deve agire a fronte di ogni segnalazione, eliminandoli o bloccando l’accesso all’account, ha puntualizzato Solmecke: “In base alla legge tedesca, un reclamo vincolerebbe immediatamente Google a rimuovere il contenuto in questione e ad impedire il ripetersi della violazione”.
A differenza dei tre social media che sono attualmente oggetto di investigazione da parte del governo tedesco – Facebook, Twitter e YouTube, di proprietà di Google – lo stesso motore di ricerca non offre un canale chiaramente in evidenza per presentare reclami, come ad esempio il tab “segnala un abuso” di Facebook.
Il link “invia feedback” in fondo alla pagina di ricerca di Google consente agli utenti comuni di mandare messaggi al motore di ricerca, ma dato che non c’è un campo specifico per inserire i dettagli di contatto, il processo è a senso unico. Il Guardian ha utilizzato la pagina feedback per segnalare a Google un link ad un sito di Ursula Haverbeck – una nota negazionista dell’Olocausto che è stata ripetutamente imprigionata per incitamento all’odio – ma dopo 24 ore il sito continuava ad apparire tra i primi risultati proposti dal motore di ricerca.
Josef Schuster, il presidente del Central Council of Jews in Germany, ha fatto appello a Google e ad altre compagnie del web perché assumessero un ruolo più attivo nel contrastare la diffusione dei contenuti offensivi online. “I siti web che negano l’Olocausto, alimentano l’antisemitismo e il risentimento verso le minoranze, oppure divulgano altri messaggi disumani, sono completamente inaccettabili”, ha detto Schuster.