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Quando la sinistra è il problema

Venezuela: la lotta tra una borghesia conservatrice che non controlla più lo Stato e una borghesia emergente che usa lo Stato come leva di accumulazione originaria. [R. Zibechi]

Quando la sinistra è il problema
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30 Aprile 2017 - 05.27


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di Raúl Zibechi

Quello che sta succedendo in Venezuela non ha nulla a che vedere con una “rivoluzione” o con il “socialismo”, né con la “difesa della democrazia” e nemmeno con la trita “riduzione della povertà”, tanto per passare in rassegna gli argomenti che si utilizzano a destra e sinistra. Si potrebbe menzionare il “petrolio”, e saremmo più vicini. I fatti indicano tuttavia altre svolte.

Siamo di fronte a una lotta senza quartiere tra una borghesia conservatrice che è stata allontanata dal controllo dell’apparato dello Stato, sebbene mantenga legami con lo Stato attuale, e una borghesia emergente che utilizza lo Stato come leva di “accumulazione originaria”.

Non è la prima volta che questo accade nelle nostre brevi storie. Le guerre d’indipendenza furono questo: una lotta tra i decadenti “goti” ([url”i monarchici della penisola iberica”]http://is.muni.cz/th/110131/ff_b/bakalarska_prace_-_Hispania_visigoda.pdf[/url]) e l’emergente oligarchia “creola”, che utilizzò il controllo dell’apparato statale per legalizzare l’usurpazione delle terre dei popoli originari. L’oligarchia si appoggiava alle potenze coloniali britannica e francese, che erano in competizione con la decadente Spagna per il controllo delle colonie rese indipendenti, con la stessa logica dei progressismi che oggi si appoggiano alla Cina, compresi i conservatori come Macri, di fronte all’inarrestabile decadenza statunitense.

La debole borghesia creola salì sul carro delle mobilitazioni dei popoli (indigeni, neri e settori popolari) per sconfiggere i potenti iberici. Concesse l’emancipazione degli schiavi con i medesimi obiettivi con i quali oggi la nuova borghesia applica le politiche sociali che riducono la povertà: in entrambi i casi los de abajo continuano a rimanere nel sottoscala in quanto mano d’opera a buon mercato, senza essersi mossi di una virgola dal posto strutturale che occupano.

Le nuove élite venezuelane, quelle popolarmente chiamate “boliborghesia” (dove boli sta per bolivariana, ndt), sono un mix di alti funzionari di imprese pubbliche e dell’apparato statale, militari di alto grado e alcuni imprenditori arricchiti all’ombra delle istituzioni. Dirigenti inseriti nell’apparato dello Stato. Per questo si rifiutano di perdere potere, tutta la struttura gli cadrebbe addosso.

Alcuni sono già riusciti a trasformare la rendita di cui si sono appropriati in proprietà privata. Buona parte di loro è tuttavia ancora impegnata in quel processo. Perciò il sociologo brasiliano Ruy Braga definisce i dirigenti sindacali dei fondi pensione del suo paese, la nuova classe emergente, parte di una “egemonia fragile”.

Roland Denis sostiene che nel suo paese governano le mafie: “Maduro potrà anche avere le migliori intenzioni ma si è imposta una lobby molto forte di mafie interne al governo” (La Razón, 27 dicembre 2017). Il filosofo ed ex Viceministro della Programmazione e dello Sviluppo (2002-2003), assicura che diverse di queste mafie sono delle banche e altre vengono da vecchi gruppi di “succhia-rendita petrolifera” insediatisi da molti anni.

Denis picchia duro sugli “intellettuali” che coprono le schifezze del potere. “Con un linguaggio di sinistra giustificano una politica che ha favorito solo i banchieri, i grandi importatori, le grandi catene monopolistiche e transnazionali. Da parte sua, quella è una politica che, attraverso l’imposizione di prezzi e corporazioni, ha distrutto il piccolo produttore di zucchero e caffè per favorire gli importatori. Nel frattempo, i pacchetti di Caffè Venezuela che finiscono nelle borse dei Comitati Locali di Rifornimento e Produzione (CLAP) servono solo a confondere gli sprovveduti”.

L’altro punto di vista, quello chavista-madurista che scarica la colpa di tutto sugli altri, è quello che tratteggia Marta Harnecker: “Il tempo storico sta a nostro favore. Quel che ci aiuta in questa lotta contro le forze della conservazione è che il tipo di società che proponiamo, e che stiamo cominciando a costruire risponde oggettivamente all’interesse dell’immensa maggioranza della popolazione, in contrasto con le forze conservatrici che servono solo le élite” (Rebelion, 4 aprile 2017).

La Sinistra

Alla luce di quanto successo negli ultimi due decenni nella regione, possiamo arrivare a una ridefinizione del concetto di sinistra: è la forza politica che lotta per il potere, appoggiandosi ai settori popolari, per installare i suoi quadri nelle istituzioni che, con il trascorrere degli anni e il controllo dei meccanismi di decisione, si trasformano in una nuova élite che può spodestare le precedenti, trattare o fondersi con loro. Oppure combinare le tre opzioni.

La sinistra è parte del problema, non più la soluzione. Perché, a rigore, malgrado ora stiano cominciando a levarsi i distinguo, i progressismi sono tessuti della medesima stoffa. Guardiamo il PT di Lula. Negano la corruzione che è evidente da almeno un decennio, quando Frei Betto scrisse La Mosca Azzurra, dopo aver rinunciato al suo incarico nel primo governo Lula, quando emerse lo scandalo del mensalao.

“La puntura della mosca azzurra inocula nelle persone dosi concentrate di ambizione per il potere. Le persone, dunque, sono più ricettive al veleno della mosca quando vivono situazioni nelle quali dispongono, di fatto, di possibilità più concrete di esercitare un potere maggiore. Questo accade, quando le condizioni oggettive sono favorevoli agli impulsi che stanno venendo stimolati sul piano soggettivo”.

Che tipo di persone (militanti, attivisti, dirigenti) sorgeranno in un progetto politico che non si proponga di prendere il potere? Questa domanda, parola più parola meno, se la sono già formulata gli zapatisti. Come chiameremo una forza che si proponga, “appena”, di trasformare la società a partire dalla vita quotidiana?

Non lo sappiamo perché l’immaginario costruito durante due secoli punta in direzione del potere dello Stato. Come se quello che si dovesse trasformare fosse qualcosa di esterno e non passasse, in primissimo luogo, per le stesse persone che si dicono militanti. Quel che sappiamo davvero, però, è che la sinistra realmente esistente si è trasformata in un ostacolo perché le maggioranze possano farsi carico delle loro vite. La polarizzazione destra-sinistra è falsa, non spiega quasi nulla di quel che sta accadendo nel mondo. La cosa peggiore, tuttavia, è che la sinistra è diventata simmetrica alla destra in un punto chiave: l’ossessione per il potere.

(28 aprile 2017)

Raúl Zibechi, scrittore e giornalista uruguayano dalla parte delle società in movimento, è redattore del settimanale Brecha. I suoi articoli vengono pubblicati con puntualità in molti paesi del mondo, a cominciare dal Messico, dove Zibechi scrive regolarmente per la Jornada. In Italia ha collaborato per oltre dieci anni con Carta e ha pubblicato diversi libri: Il paradosso zapatista. La guerriglia antimilitarista nel Chiapas, Eleuthera; Genealogia della rivolta. Argentina. La società in movimento, Luca Sossella Editore; Disperdere il potere. Le comunità aymara oltre lo Stato boliviano, Carta; Territori in resistenza. Periferia urbana in America latina, Nova Delphi. L’edizione italiana del suo ultimo libro, Alba di mondi altri è stata stampata nel luglio 2015 dalle edizioni Museodei.

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