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Turchia, tra Lemuria ed Ecumenopolis

Cerco di capirci qualcosa di ciò che sta succedendo in Turchia, mettendo insieme quei frammenti che trovo. Una verità non accessibile né semplice. [Miguel Martinez]

Turchia, tra Lemuria ed Ecumenopolis
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4 Giugno 2013 - 15.51


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di Miguel Martinez.

Cerco di capirci qualcosa di ciò che sta succedendo in Turchia,
mettendo insieme quei frammenti che trovo. E sapendo che anche quando
vivi in un paese da una vita, la verità non è mai una cosa accessibile o
semplice.

In Turchia ci sono stato solo
brevemente, leggo a stento in turco con un dizionario sempre accanto,
non capisco praticamente nulla quando parlano: quindi non ho il diritto
di dire nulla di credibile. Posso solo raccontarvi qualche idea che mi
passa per la testa. Per semplicità, scrivo all’indicativo, ma tutto
andrebbe corredato da “mi sembra che…” con congiuntivi e condizionali.

Innanzitutto, c’è un mondo con un sistema simbolico molto diverso da quello europeo, perché la Turchia è rimasta fuori dalla Seconda guerra mondiale, che occupa quasi tutto l’orizzonte dell’immaginario politico da noi.

La Turchia poi ha una borghesia, a differenza dell’Europa attuale – anzi, ne ha addirittura due.

Cent’anni fa, semplificando, nell’impero
ottomano, c’erano i musulmani che facevano i militari, e c’erano gli
ebrei e i cristiani, greci e armeni, che facevano i soldi.

Poi arriva la guerra, l’insensato
massacro di una generazione di giovani uomini, il tradimento del
sultano, il tentativo di dividere l’intero impero tra i vincitori. E la
miracolosa salvezza, attribuita miticamente a un’unica figura: quella di
Mustafa Kemal Atatürk e dei sopravvissuti dell’esercito ottomano, contemporanei e per molti versi paralleli dei Freikorps tedeschi.

Quei sopravvissuti si trovano tra le mani tutti i tesori dei cristiani e un bel po’ di quelli degli ebrei. Uno dei saccheggi più immensi della storia,
che in abili mani crea una rete in cui banchieri, generali,
industriali, appaltatori e presidenti formano un unico sistema. Non a
caso, la loro città simbolo è İzmir, incendiata e rubata ai greci.

Quel sistema crea attorno a sé un
immaginario di un’intensità religiosa: inventano una “nazione turca” mai
esistita, e la dichiarano intoccabile e indivisibile, contro ogni
evidenza.

Chi è turco, infatti, in mezzo al grande
coacervo di fedi e di lingue del mondo ottomano? Chi nasce in una
famiglia musulmana – così la laicità porta con sé un curioso obbligo di identità islamica, purché non praticata; e l’occidentalismo convive con una mentalità che i tedeschi chiamavano di Feinde ringsum, “nemici tutt’attorno”, si tratti di greci, russi, arabi, iraniani, ma anche americani ed europei.

Inventano a tavolino una lingua, una
scrittura e la figura semidivina del padre fondatore: tutti i
nazionalismi che in Europa hanno fallito, trovano il loro compimento in
Turchia.

Attorno a questo, c’è un fantastico mondo
di quelli che piacciono a chi cura questo blog; in cui il turco appena
inventato si trasforma nella lingua primordiale dell’umanità, in cui si
scopre l’identità gemellare dei turchi e dei Maya, e si teorizza
l’origine della Razza Primordiale sul continente perduto di Lemuria.

Questo dispositivo, che si gonfia a dismisura con la Guerra Fredda, entra in crisi quando compare sulla scena una nuova borghesia,
di imprenditori dall’Anatolia, che fanno i soldi da soli aggirando
tutto il sistema delle raccomandazioni e delle carriere militari. Gente
che appartiene spesso al vasto mondo ufficialmente fuorilegge degli
ordini sufi, e che predica una religiosità con sfumature sentimentali,
moralistiche e New Age diversissima dall’Islam di altri paesi.

Gente che tiene molto di meno alla
sacralità della Nazione e della sua lingua. E paradossalmente, quindi,
sono meno intolleranti dei kemalisti verso chi non è musulmano; non
hanno particolari nemici, e quindi possono di volta in volta essere
amici degli Stati Uniti, dell’Iran o dell’Arabia Saudita.[1]

Questa nuova borghesia arriva al potere
grazie a un nuovo dispositivo, l’AKP, che in poco tempo smantella il
potere del dispositivo precedente; e lancia o cavalca il grande successo
economico della Turchia. Realizzato con un nuovo e diverso sistema di
rapina: esplode l’Istanbul mostro, che nel 1980 aveva 2,7 milioni di abitanti e oggi ne ha 15.

Un agglomerato in mano a pochi
imprenditori legati al nuovo potere, che creano una città a misura di
speculatore, divoratrice di terreno, gente, acqua e risorse, simbolo
terrificante del futuro del mondo, nonché di quella maledizione che
chiamano crescita.

Un frammento di Ecumenopoli,
la grande città unica planetaria, cui il cauto Islam di stato presta un
po’ di insignificante colore locale. Il mondo ottomano, infatti, aveva
un rapporto forse unico nel mondo premoderno con ciò che oggi chiamiamo il verde. Mentre chi oggi si spaccia per “neo-ottomano”, trasforma un piccolo, residuo spazio verde in un centro commerciale.

Contro cui si ribella la vecchia
Turchia, ormai politicamente smantellata e impotente, ma pur sempre viva
e inconciliabile con la nuova; e insieme, probabilmente, tante altre
vittime dell’Ecumenopoli che avanza.

Nota:

[1] Parallelamente, l’abbondanza di nemici di cui godono i kemalisti ha permesso loro di passare da essere alleati degli Stati Uniti contro la “minaccia fondamentalista” a essere oggi amici della Siria e spesso fortemente contrari alla NATO.

Fonte: http://kelebeklerblog.com/2013/06/04/turchia-tra-lemuria-ed-ecumenopolis/

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