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di Giorgio Cremaschi.
Una scusa da pezzenti per mascherare la voglia irrefrenabile di avere
manodopera a bassissimo costo e soprattutto totalmente ricattabile.
Confindustria chiede che con l”Expo di Milano si possano fare contratti a
termine dappertutto. Per tre anni e senza “causale”.
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La Confindustria, la Rete delle piccole imprese,
l”Associazione delle Banche, l”Alleanza delle Cooperative, praticamente
tutte le organizzazioni imprenditoriali italiane hanno chiesto al
Parlamento la precarizzazione totale dei rapporti di lavoro fino al 31
dicembre 2016.
Fino a a quella data le imprese vorrebbero poter
assumere con contratti a termine senza vincoli e quindi con la libertÃ
assoluta di fare quel che si vuole dei lavoratori e i loro diritti. Va
aggiunto che contemporaneamente l”Assolombarda ha chiesto che per lo
stesso periodo sia possibile applicare con deroghe, cioè non rispettare
nei punti fondamentali, i contratti nazionali.
Tutto questo è
giustificato con l”appuntamento dell”EXPO 2015 a Milano. L” Italia,
secondo il sistema delle imprese, dovrebbe sfruttare al meglio
quell”evento mondiale per creare occupazione al più basso costo
possibile.
Questa campagna di concorrenza sleale al lavoro nero
è l”ultimo frutto marcio di diverse piante cattive, da trenta anni
amorosamente coltivate.
La prima è la tesi che più il lavoro è
flessibile e precario e più si crea occupazione. È questo il punto di
vista classico della destra liberista in tutto il mondo.
Secondo questa ideologia, se le aziende non assumono è perché la merce
lavoro costa troppo. Se non si vuole che questa merce resti invenduta
bisogna allora abbassarne il prezzo in salario e diritti, fino a che che
sia di nuovo conveniente acquistarla.
Questo punto di vista ha
orientato da trenta anni tutte le politiche del lavoro dei principali
governi, compresi i nostri, ed è una delle cause fondamentali, assieme
alla speculazione finanziaria, del perdurare e dell”aggravarsi della
crisi.
Infatti il lavoro precario non si aggiunge al lavoro più
tutelato, ma lo sostituisce. Così si creano dei margini di guadagno per
le imprese che però durano e producono poco; perché sono accompagnati
da un impoverimento generale dei lavoratori, con la conseguente caduta
depressiva del potere d”acquisto e da una caduta generale della
produttività , perché le imprese preferiscono assumere lavoratori low
cost piuttosto che investire un innovazione.
Alla fine del ciclo
economico drogato dalla precarietà la situazione è peggiore che al suo
inizio. Ma nonostante questo le classi dirigenti educate nei dogmi e
negli interessi liberisti vanno avanti a coltivare la mala pianta della
flessibilità . E se questa non produce frutti è perché non la si è ancora
coltivata a sufficienza . E così ogni deregulation sul lavoro apre la
via a quella successiva, e tutte non bastano mai.
La seconda pianta velenosa è il sistema economico delle grandi opere e dei grandi eventi.
Dalle Olimpiadi di Torino, con il loro lascito di rovine materiali,
debiti pubblici e disoccupazione di ritorno, alla Tav, al ponte di
Messina, agli F35 e ora all”EXPO 2015 è sempre la stessa storia.
Grandi investimenti per grandi opere civili o militari, giustificati
nel nome dello sviluppo, dell”occupazione e dell”immagine internazionale
del paese, che in realtà portano solo danni.
Perché si fanno
allora, perché non si cercano altre strade? Perché come la precarietÃ
del lavoro, le grandi opere producono lauti profitti a breve sia per gli
imprenditori che ci investono, sia per i politici che le sostengono.
Profitti materiali e di immagine che sono sempre sempre pagati da tutto
il paese.
E qui troviamo la terza mala pianta.
La
campagna delle imprese per la precarizzazione del lavoro segue la scia
di una conferenza congiunta del governo, del sindaco di Milano e del
presidente della Lombardia, che assieme hanno esaltato la grande
occasione della fiera del 2015. E il Presidente della Repubblica si è
subito affrettato a benedire, come con gli F 35.
Ancora una
volta di fronte ad una scelta vera si manifesta il pensiero unico di
gran parte della classe dirigente politica, in tutte le sue
articolazioni comprese le opposizioni di sua maestà della Lega e di SEL.
Tutti d”accordo proprio là dove invece sarebbe indispensabile ricercare
e costruire delle alternative, ma questo non è solo un male dei
politici.
Quante volte in questi mesi abbiamo sentito le imprese
manifatturiere accusare le banche, le piccole aziende litigare con le
grandi, l”imprenditoria privata recriminare contro la cooperazione. Ora i
loro rappresentanti sono tutti assieme a chiedere piena libertà di
sfruttamento del lavoro.
CGIL CISL UIL oggi criticano, più o
meno, la proposta delle imprese, ma sostanzialmente chiedono solo un
tavolo dove evitare le esagerazioni. Ma se flessibilità e grandi opere
sono cose buone perché limitarle, e se invece sono cattive perché
continuare con esse?
La questione di fondo sta tutta qui, sta
nella subalternità e nell”obbedienza della classe dirigente politica,
imprenditoriale e sindacale verso un modello liberista che viene
presentato senza alternative, quanto più invece trovare un”alternativa
ad esso diventa indispensabile.
Flessibilità del lavoro a tutti i
costi, politica delle grandi opere, classe dirigente incapace di
qualsiasi vera rottura con il liberismo, questi sono tre mali profondi
del paese, mali che aggravano la crisi e si manifestano ad ogni evento.
Così l”EXPO 2015, dedicata ad uno sviluppo sostenibile, diventa la
fiera dello sfruttamento insostenibile del lavoro, diventa la vetrina
mondiale della precarietà .
Proviamo a farla fallire.
da ROSS@ Movimento anticapitalista e libertario
Tratto da: http://www.contropiano.org/news-politica/item/17922-un-expo-per-precarizzare-litalia.
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