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La lotteria del lavoro

Il lavoro è diventato un gioco. Sembra quasi uno slogan, ma la realtà quotidiana ci fornisce un’immediata e tangibile conferma. [Domenico Tambasco]

La lotteria del lavoro
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9 Settembre 2015 - 18.38


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di Domenico Tambasco

Riceviamo un nuovo contributo di Domenico Tambasco, che ringraziamo. A gettare ulteriore luce sul mondo del lavoro che cambia, l”attenzione posta dall”autore sul fenomeno della “trasposizione del lavoro nella forma ludica”. Appoggiandosi alle tesi di Frank Schirrmacher nel suo saggio: Ego. Gli inganni del capitalismo, Tambasco ci accompagna in una indagine che mette insieme l’homo oeconomicus e la teoria dei giochi, liberismo e war games. Ipotizzando da ultimo una possibile via d”uscita da un mondo che si vuole totalmente “ludizzato”… (pfdi)

L”articolo è stato pubblicato su [url”MicroMega online”]http://temi.repubblica.it/micromega-online/[/url], l”8 settembre 2015.

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Il lavoro è diventato un gioco. Sembra quasi uno slogan, ma la realtà quotidiana ci fornisce un’immediata e tangibile conferma.

L’ultimo caso balzato agli onori delle cronache risale a questa estate, ed arriva dalla provincia di Piacenza, precisamente da Ponte dell’Olio. In occasione della festa patronale, infatti, un salumificio ha organizzato una tombola[1]. Primo premio, manco a dirlo, un posto di lavoro. E non si tratta di un caso isolato. Altre “lotterie del lavoro”, negli ultimi anni, sono state organizzate in Italia, da Nord a Sud, regalando ai più fortunati dei veri e propri contratti di lavoro, a tempo indeterminato o a termine.

E quando non è oggetto di una lotteria, allora la retribuzione (scopo primario del lavoro) si trasforma nel premio concesso al vincitore della gara organizzata tra una pluralità di aspiranti lavoratori: siamo dinanzi al crowdsourcing, moderna forma di “cottimo digitale” che abbiamo già incontrato sulla nostra strada[2].

Cosa significa questa trasposizione del lavoro nella forma ludica ora della lotteria ora della vera e propria gara? E’ forse espressione dell’homo ludens, per utilizzare una felice espressione utilizzata nell’omonimo e storico saggio di Johan Huizinga? Sembrerebbe escluderlo lo stesso Huizinga che, in merito, ha espresso parole inequivocabili: “Salario è situato completamente fuori dall’ambito del gioco: significa l’equa ricompensa al lavoro prestato o ai servizi prestati. Non si gioca per un salario, si lavora per un salario”[3].

E allora come si spiega questa sempre più frequente commistione tra la sfera lavorativa e quella ludica?

Un aiuto a trovare una possibile risposta viene dall’illuminante saggio del compianto intellettuale tedesco Frank Schirrmacher, dal titolo “[url”Ego. Gli inganni del capitalismo”]http://www.codiceedizioni.it/libri/ego-gli-inganni-del-capitalismo/[/url]”[4], fino ad oggi – a torto – poco considerato nel panorama intellettuale italiano.

La lente d’ingrandimento di Schirrmacher si orienta verso la specie dominante la società moderna dall’era della “Guerra fredda” ad oggi: è l’homo oeconomicus, individuo che fa della massimizzazione del profitto la propria ragione di vita, modello elementare di uomo stilizzato che insegna “che ci si può rendere la vita molto più semplice e redditizia se si accetta il presupposto che ogni uomo pensa esclusivamente a sé e al proprio vantaggio”[5]. L’egoismo genetico dell’essere umano riconosciuto anche dalla scienza quale “legge di natura”[6] (espresso nel noto saggio “Il gene egoista” pubblicato nel 1976 da Richard Dawkins, diventato quasi un manifesto del neoliberismo) trapassa nell’agire concreto attraverso la formula dell’ “agire razionale”, secondo la quale “ognuno agisce per il proprio tornaconto e ha intenzione di abbindolare gli altri”[7].

Si tratta di un un’ipotesi di soggetto estremamente elementare, in cui l’individualità dell’essere umano viene ridotta a ciò che egoisticamente vuole e sceglie, cioè alle sue “preferenze”, che possono anche essere calcolate e previste matematicamente: è questo dunque il modello umano alla base della programmazione e degli algoritmi che hanno dominato gli elaboratori elettronici dell’era della Guerra Fredda e che oggi guidano la piattaforma digitale dell’economia e della finanza globale[8].

Modello astratto di individuo, posto dunque alla base della tecnologia informatica utilizzata in connessione costante, che oggi ha definitivamente plasmato il proprio utente: l’uomo reale[9].

Nel perseguimento parossistico ed esasperato del profitto personale l’homo oeconomicus si comporta come un vero e proprio giocatore[10]: sempre in lotta ed in perenne antagonismo per il raggiungimento di un “premio” (sia esso un distintivo virtuale o una lauta plusvalenza), non concepisce rapporti ma solo “strategie”, i suoi comportamenti sono delle “mosse”, la comunicazione con l’esterno prevede la “dissimulazione” quale primario mezzo espressivo. Il suo unico obbiettivo, il raggiungimento dell’utile individuale, si traduce nella “vittoria” a scapito degli altri: in poche parole, è un “sociopatico”. I ritratti di questo soggetto disegnati in note pellicole cinematografiche, piu’ datate come “War Games” o piu’ recenti come “The wolf of Wall Street”, ne sono il piu’ significativo emblema.

Ecco la teoria dei giochi, dunque, a spiegarne chiaramente il comportamento: tutto è un gioco perché l”homo oeconomicus agisce come un giocatore. E la realtà in cui esso è calato ne è totalmente influenzata: ogni aspetto dell’esistenza, dalla guerra all’economia, per arrivare fino al lavoro è un continuo agone, una gara che esprime la ludizzazione[11] (o gamification) del vissuto[12].

La grande eredità ideale di Schirrmacher, i “memi”[13] che ha tramandato alla contemporaneità ci hanno condotto dunque verso nuove cime, alla vista di nuovi orizzonti.

La visione “senza filtri” di un mondo totalmente “ludizzato”, tuttavia, rivela uno scenario inquietante: quello di un sistema sociale non cooperativo, dove il gioco altro non è se non la giustificazione ed al contempo la legittimazione di un sistema fondato sulla pressione selettiva darwiniana, che riconosce e premia soltanto la sopravvivenza sociale del piu’ adatto (il vincitore) a scapito degli “altri” (i perdenti).

È un’autentica deriva post-democratica, che rigetta il fondamento costituzionale della “pari dignità sociale” e della “solidarietà”[14] come vecchi arnesi del Welfare State novecentesco, dove lo Stato “non è la soluzione del problema, ma il problema”[15], ovvero l’ostacolo frapposto alla libera espressione dell’Io egoarca nel mercato globale, in cui ciascuno è “il manager del proprio Io”[16].

La via d’uscita da questa trappola, forse, sta nell’ultimo appello lanciato da Schirrmacher alla responsabilità individuale e collettiva: “Non partecipare al gioco… È una decisione che può prendere solo il singolo individuo e la politica”[17].

NOTE

[1] “Lavoro, quando il posto è una lotteria: dalla tombola ai punti del supermarket”, articolo di Stefano De Agostini, da Il Fatto Quotidiano.it del 29 agosto 2015, ultimo accesso 7 settembre 2015.

[2] “Siamo esseri umani, non algoritmi: ovvero del crowdsourcing e dell’uomo digitale”, da Extra Moenia n. 7/2015, pubblicato anche su Micromega.it del 29 luglio 2015.

[3] J. Huizinga, Homo Ludens, Torino, Einaudi, 1973, p. 61.

[4] F. Schirrmacher, Ego. Gli inganni del capitalismo, Torino, Codice Edizioni, 2015.

[5] F. Schirrmacher, Ego. Gli inganni del capitalismo, cit., p. 4.

[6] F. Schirrmacher, Ego. Gli inganni del capitalismo, cit., pp. 115 e ss.

[7] F. Schirrmacher, Ego. Gli inganni del capitalismo, cit., p. 19.

[8] F. Schirrmacher, Ego. Gli inganni del capitalismo, cit., pp. 22 e ss.

[9] F. Schirrmacher, Ego. Gli inganni del capitalismo, cit., pp. 48 e s..; anche a pag. 23, in cui si parla di tecnologie “performative”, che “creano la realtà che modellano”.

[10] F. Schirrmacher, Ego. Gli inganni del capitalismo, cit. , pp. 71 e ss.

[11] Termine utilizzato da Marco Dotti nell’articolo Gamification:una brutta parola, destinata a durare, in Vita, 21.08.2014, ultimo accesso 7 settembre 2015.

[12] F. Schirrmacher, Ego. Gli inganni del capitalismo, cit., pp. 252

[13] Felice espressione utilizzata da R. Dawkins nel saggio Il gene egoista, Milano, Mondadori, ed. 1995, pp. 203 e ss., per indicare il patrimonio ideale e i suoi meccanismi di trasmissione analoghi a quelli dei geni.

[14] Da cui, deriva, quale logica conseguenza, la costruzione di “diritti a prestazione come diritti condizionati, in un contesto socio-politico in cui l’economico si manifesta come predominio sul giuridico e sullo stesso politico. Si potrebbe dire che siamo di fronte a una decostituzionalizzazione accompagnata da una ricostituzionalizzazione in termini economici, nella quale si registra una rinnovata centralità della proprietà… una dipendenza della persona dalle risorse proprie, necessarie per acquistare sul mercato quel che dovrebbe essere riconosciuto come diritto e che, invece, si presenta come merce, con un evidente ritorno alla cittadinanza censitaria”, Stefano Rodotà, Solidarietà – Un’utopia necessaria, Roma-Bari, Laterza, 2014, p.78-79.

[15] Noto slogan della politica neoliberista di Ronald Reagan.

[16] F. Schirrmacher, Ego. Gli inganni del capitalismo, cit., p. 123.

[17] F. Schirrmacher, Ego. Gli inganni del capitalismo, cit., p. 255.

(8 settembre 2015)

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