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Progressisti in divisa (10) – Pacifismo in ripresa

'10ª puntata di "Progressisti in divisa: la Sinistra pacifista viene arruolata", saggio di Patrick Boylan. Il pacifismo c''è nonostante tutto, e si riprende'

Progressisti in divisa (10) – Pacifismo in ripresa
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12 Ottobre 2013 - 01.08


ATF

di
Patrick Boylan

Continuiamo
la pubblicazione a puntate di “Progressisti in divisa: la
Sinistra pacifista viene arruolata”
, un libro di Patrick
Boylan*
che uscira poi tutto insieme in forma di e-book.
Sono analizzati i difetti dei pacifisti italiani e
occidentali, che condividono i difetti della sinistra, nel frattempo
auto-eliminatasi e cooptata nel campo di chi fa le guerre.

Questa
è la decima puntata
.

Buona
lettura

(la
Redazione)

La
ripresa del pacifismo oggi: punto di partenza, l”autoanalisi

Bisogna
dunque riconoscerlo: se il nostro impegno pacifista viene meno oggi e
se le lotte contro le guerre più recenti (Libia, Costa d”Avorio,
Siria) ci sono sembrate meno ovvie e praticabili rispetto alle lotte
in passato (Vietnam, Iraq), non è fatalità: è voluto.

E”
il risultato della metodica espropriazione e contaminazione – da
parte dei poteri forti – non solo delle istituzioni e delle
ideologie della Sinistra, ma persino degli stessi “strumenti
democratici” di cui disponiamo (in teoria) per resistere. I media
e l”editoria sono ormai concentrati quasi totalmente nelle mani dei
poteri forti; i partiti politici sono o cooptati dai poteri forti o
resi impotenti; anche le altre istituzioni (come i sindacati e gli
enti locali) vengono ingabbiate dai poteri forti secondo il loro noto
piano eversivo piduista (vedi:
bit.ly/link-107
 ►
). Nella nostra Post-Democrazia, dunque, le lotte appaiono – e
sono –
necessariamente
meno ovvie, meno attraenti, meno praticabili.

Come
reagire?

Anzitutto,
come si è detto poc”anzi, dobbiamo farci coraggio e riconoscere di
essere stati circuiti e manipolati ideologicamente. Riconoscere i
condizionamenti subiti è un compito indispensabile – pena
continuare a prendere abbagli – ma difficile. Vediamo in che
senso.

Probabilmente
molti lettori di quest”indagine avranno iniziato la lettura con un
certo numero di convinzioni. Eccone sei. Chi legge può chiedersi
se anche lui o lei ne condivideva qualcuna:

  1. la
    convinzione del carattere squisitamente spontaneo, autonomo e
    autofinanziato delle “rivoluzioni per la democrazia” (Primavera
    Araba) del Nord Africa e del Levante;

  1. la
    convinzione che Assad è (e Gheddafi era) un “mostro da linciare”.
    Amnesty-UK dice che il re dell”Arabia Saudita è molto più
    oppressivo, e che
    tutti
    i leader della Regione sono autocrati che torturano i dissidenti e
    sparano sui civili. E non solo loro: in Iraq, Bush jr. sarebbe
    responsabile per la morte di tre volte più civili di quanto non
    sono stati uccisi finora in Siria da entrambi le parti. Ha ordinato
    torture ancora più orrende (vedi quelle a Abu Ghraib). Ha commesso
    persino un eccidio con armi chimiche (devastando l”intera città di
    Fallujah)! Ma non importa, ciò non discolpa Assad né Gheddafi:
    essi rimangono mostri da linciare, punto.

  1. la
    convinzione che l”ONU può (e dovrebbe) intervenire, in base alla
    “responsabilità di proteggere”, per eliminare
    tutti
    i capi di Stato che commettono crimini di guerra o crimini contro
    l”umanità o altri abusi. (O meglio, non tutti; sono troppi; ma
    soltanto quelli additati, di volta in volta, dagli USA e dai nostri
    politici e di cui i mass media ci mostrano, di continuo, gli orrori
    commessi; per gli altri non cӏ urgenza);

  1. la
    convinzione che le denunce di crimini, da parte di ong come
    U.N.
    Watch

    e
    Human
    Rights Watch

    (usate per giustificare gli interventi “umanitari”), siano
    attendibili poiché questi enti sono
    non
    governativi e quindi imparziali, fuori dai giochi di potere tra
    Stati;

  1. la
    convinzione che i vari messaggi nei forum Internet – in quelli
    pacifisti, ma anche in quelli del M5S o dei rivoltosi della
    “Primavera Araba” – siano spontanei e scritti da utenti comuni
    e quindi fanno sentire la “
    vox
    populi
    ”.
    Se i salotti tv ci condizionano, i forum ci liberano;

  1. la
    convinzione che operano per la pace, non per interessi di parte e
    tanto meno per rastrellare consensi per le guerre, istituzioni e
    personalità di fama progressista come Amnesty, Tavola della Pace,
    Avaaz, RaiNews24, George Soros e Padre Dall”Oglio.

Del
resto, ci sono anche dei buoni motivi per essere convinti di tutto
ciò. Ognuna di queste sei convinzioni può vantare, infatti, prove
senz”altro valide – almeno per chi non è a conoscenza delle
controprove o, nel caso delle convinzioni 2 e 3, per chi non vede la
doppiezza della morale occidentale e ritiene che la giustizia
selettiva sia comunque giustizia.

In
più, le Istituzioni italiane e mondiali si sono prodigate per
rinforzare

queste convinzioni
.
Ad esempio, la Regione Lombardia (prima esportatrice italiana di
armi di guerra) ha assegnato il suo prestigioso Premio per la Pace
2012 a Padre Dall”Oglio, accreditandolo dunque come pacifista
nell”opinione pubblica e, perciò, i suoi discorsi
a
favore

del ricorso alle armi, come discorsi pacifisti. George Soros ha
avuto una premiazione analoga (
Dayton
Peace Prize

2002
).
L”ong
U.N.
Watch

– per quanto sia un organismo esterno, privato e di parte – è
stato onorato da Kofi Annan (1999) per il “ruolo chiave che svolge
nell”ONU”. All”ong
Human
Rights Watch

– finanziata quasi esclusivamente dalle corporazioni statunitensi
per fare inchieste nel loro interesse – è stato assegnato l”ambito
premio Peabody 2012 per le sue indagini “rigorose e obiettive”:
bit.ly/link-107a
 ☼ 
 ►
). La graduale sedimentazione nel nostro inconscio delle notizie di
premiazioni come queste – anche se non ci facciamo granché caso
mentre scorriamo i giornali o ascoltiamo i tg – conferisce alle
relative convinzioni lo spessore di ciò che è “dettato dai
fatti.” Diventano senso comune.

Infine,
qualche lettore di quest”indagine avrà una propensione naturale a
difendere
comunque
– e a spada tratta – una o più di queste sei convinzioni, anche
di fronte a chiari indizi di infondatezza o perlomeno di dubbio.

Chi
sta sempre dalla parte delle lotte dei giovani avrà tendenzialmente
la prima convinzione
comunque;
chi ha un particolare astio contro le tirannie, la seconda e la
terza; chi ha conosciuto personalmente le opere meritevoli delle ong,
la quarta; chi ha sperato tanto nella “democrazia della rete”, la
quinta; chi ha bisogno di avere fiducia nelle istituzioni, la sesta.

Nel
caso di questi lettori, dunque, la campagna ideologica dei poteri
forti, descritta in queste pagine, sarà servita non tanto ad indurre
ad una o più di queste convinzioni, quanto a dare ripetute conferme
a ciò che si voleva comunque pensare.

Ora
tra tutti questi lettori, ci saranno probabilmente alcuni – purché
abbiano letto, appunto, le varie controprove nei documenti forniti
dai link – che, ad un certo punto, avranno cominciato a dubitare di
ciò che a loro era sembrato così evidente prima. (Avranno pure,
comӏ giusto fare, messo in dubbio quanto viene asserito in queste
pagine e nella documentazione fornita.) E non avranno cominciato a
dubitare soltanto.

Molte
affermazioni in questo testo avranno provocato reazioni di rabbia o
di sdegno, in particolare nel caso dei lettori con una naturale
propensione verso le convinzioni che questo testo mette in
discussione.

Per
poi ripiombare, dopo il momento di rabbia, nel dubbio.

Un
dubbio mescolato col sospetto di aver forse imposto schemi
occidentali su culture lontane e quindi di non aver capito affatto i
conflitti recenti e i popoli coinvolti – confondendo
dignità
con
democrazia
in bocca tunisina, o
rigore
con
spietatezza
in Stati per secoli “feroci” (Ayubi) come l”Egitto.

Questo
vacillare delle loro certezze può dunque aver provocato in questi
lettori un momento di disagio, uno stato di smarrimento che Durkheim
chiama, nella sua forma compiuta, “anomia” – il trovarsi
momentaneamente “senza bussola”. Non si sa più in cosa credere.

Si
rassicurino, questi lettori: si tratta di uno stato penoso ma
alquanto salutare e utile, uno stato che tutti noi dobbiamo cercare
di avere regolarmente, perché sgombra la mente per consentirci poi
di ricostruire convinzioni sempre più attendibili – e di chiedere
conto a chi ci ha ingannato prima. Infatti, questo stato è utile
soprattutto perché ci fa arrabbiare: contro noi stessi, com”è
giusto, e poi, ancora più utilmente, contro chi ci ha voluto
manipolare.

Ecco
dunque il nostro punto di partenza: un intenso lavoro di autoanalisi
e di decondizionamento, singolo ma anche collettivo, che parte:


  • dall”assunto
    che abbiamo tutti quanti – necessariamente e a nostra insaputa,
    malgrado i nostri sforzi per rimanere sempre critici – un cervello
    lavato. Se non professiamo le sei convinzioni (dubbie) appena
    elencate, ne professiamo sicuramente altre ugualmente dubbie –
    convinzioni che abbiamo fatto nostre, nel corso del tempo, per via
    di propensioni personali e di condizionamenti sociali subiti. E non
    può essere diversamente. La nostra stessa cultura è un “lavaggio
    di cervello” che abbiamo subito perlopiù arrendevolmente sin
    dalla nostra infanzia. Come tutte le culture, la nostra ci ha
    rifilato tante convinzioni dubbie che abbiamo accettato a scatola
    chiusa e fatto nostre – fin quando crescendo, o andando
    all”estero, non ci siamo accorti della loro gratuità ed
    inconsistenza (ma mai del tutto, pena diventare culturalmente
    apolidi);

  • dalla
    curiosità di capire in che modo e da parte di chi e per quale
    finalità sono avvenuti i vari “lavaggi di cervello” che abbiamo
    subito e di cui portiamo ancora le tracce – non tanto quelli
    culturali, che sono “lavaggi comunitari”, quanto quelli fatti
    strumentalmente e in maniera occulta da singoli soggetti con
    interessi di parte.

E”
un lavoro che esige enorme umiltà e onestà intellettuale, proprio
per superare quella propensione umana, appena descritta, di restare
attaccati, per motivi radicati nella propria storia personale, alle
convinzioni più care. E anche, nel campo della politica estera, per
osare mettere in discussione il nostro benessere occidentale e i
meccanismi poco limpidi di accumulo a monte: è più comodo rifiutare
come “dogmatico” e “vetero-comunista” un simile lavoro di
critica.

Infine,
è un lavoro che esige molto coraggio, per accettare di attraversare
il penoso stato di anomia, come gli eroi del
Flauto
Magico

di Mozart. U
n
lavoro che va svolto a 360° – anche se, in questa sede, il lettore
viene invitato ad indagare sui tentativi di “lavaggio” che ha
potuto subire negli anni, limitatamente alla sfera della politica
internazionale e dell”attivismo per la pace. Ciò significa,
ovviamente, che va setacciato
anche
questo stesso scritto – e le reazioni che esso ha provocato e sta
provocando in chi lo sta leggendo ora – per accertare che non ci
siano finalità manipolatorie celate.

Passando
al setaccio le probabili origini delle nostre convinzioni e gli
“affetti” che esse suscitano, scopriremo probabilmente ad un
tratto, con stizza e sconforto, che alcune di queste convinzioni,
anche tra quelle più care, sono purtroppo soltanto il frutto di
condizionamenti da noi subiti nel tempo. Scopriremo anche l”identità
e le finalità di chi ci ha condizionati, a patto di riuscire a
vedere oltre gli “agenti di condizionamento”: la famiglia, i
maestri e i professori, i mass media, i politici, gli enti e le
organizzazioni anche religiose, gli
opinion
makers
,
ivi comprese determinate conoscenze personali. Se riusciremo a
vedere oltre questi “agenti di condizionamento”, potremo scorgere

i mandanti, coloro che hanno mobilitato per i propri fini di parte,
anche indirettamente e da lontano, questa schiera di persuasori
occulti. E allora, con la collera che proveremo verso questi
arci-manipolatori – la
collera
bruciante

degli “umiliati e offesi” che è molto più aspra
dell”
indignazione
provata davanti alle ingiustizie – e con la forza che ci daranno le
nostre convinzioni, ora consolidate su basi nuove e più solide,
reagiremo.

In
che modo, per quanto riguarda i “lavaggi di cervello” dei poteri
forti come quelli descritti in quest”indagine? Se ci rendiamo conto
di essere stati indotti ad accettare
de
facto

le guerre imperialiste del nostro paese e dei suoi alleati (inerzia è
una accettazione
de
facto
)
ed a restare indifferenti alle lotte contro quelle guerre e per la
pace, se capiamo ad un tratto che gli orrori delle guerre di questi
ultimi anni sono in parte imputabili alla delega che noi cittadini
passivizzati abbiamo ceduto proprio a chi ci ha passivizzati, allora
non potremo non sentirci manipolati e usati. Anzi, di più:
umiliati
e offesi
.
Non potremo allora non balzare in piedi, gridare BASTA e cominciare
a fare, da subito, tutto il possibile per:

  • porre
    fine alle espropriazioni istituzionali e contaminazioni ideologiche
    della Sinistra,

  • aggirare
    il monopolio mediatico-editoriale con mezzi alternativi
    d”informazione e, poi,

  • contestare
    direttamente l”agenda bellica dei poteri forti, andando dietro le
    quinte del loro teatrino politico per esigere da loro – i
    burattinai, non i burattini – un cambio di copione. “Avete
    bisogno di risorse naturali? Invece di fare la guerra per sottrarle
    ai paesi del terzo mondo, compratele. Punto. Come fanno Austria,
    Irlanda, Finlandia: paesi prosperi, che ripudiano la guerra. Non
    sovvenzioneremo più i vostri saccheggi imperialisti.”

Ciò
significa che
non
dobbiamo ripudiare Amnesty o la Tavola della Pace – istituzioni
importanti – ma, al contrario, iscriverci a queste organizzazioni e
poi insistere su un cambio di direzione, anche assumere quella
direzione noi stessi. Non dobbiamo subire il proselitismo degli
opinion
makers

“Progressisti in Divisa”, ma andare nei circoli che li hanno
invitati, controbattere punto per punto il loro Pacifismo Armato, e
poi insistere su una diversa programmazione futura degli incontri in
quei circoli.

Non
dobbiamo cestinare d”ufficio le petizioni Avaaz; molte delle loro
cause sono valide e snidare quelle con secondi fini allena al
discernimento politico; perciò, dobbiamo denunciare questi ultimi e
portare avanti i primi – tramite canali nostri, però.

Non
dobbiamo limitarci a svelare nei nostri blog la propaganda
guerrafondaia occulta dei telegiornali come ha fatto a lungo
RaiNews24, ma far conoscere (e scrivere e tradurre per) i giornali
online e i web tv che forniscono le controinformazioni, come
peacelink-on-air
o
libera.tv.

Infine,
per poterci rivolgere direttamente ai poteri forti, saltando
momentaneamente i loro servitori nei Palazzi del Potere, dobbiamo
imparare a parlare la loro lingua, il
roi
(
return
on investment
).

Dobbiamo
cioè saper puntare su ciò che per
loro
conta, il ritorno su ogni investimento, con dimostrazioni e con
azioni dirette illustrative che mettono i poteri forti davanti ad
un”evidenza inoppugnabile:
la
guerra non rende quanto la pace

– su nessun piano. (Verranno illustrate, nelle prossime puntate,
cinque azioni dirette, e due proposte di legge, che mirano a
“contestare sul piano economico” i poteri forti e la loro agenda
bellica)

Tutto
ciò ci consentirà di riprendere l”iniziativa e di passare alla
controffensiva – finalmente!

Ma
forse la controffensiva è già iniziata.

Infatti,
già nell”ultimo decennio si è costruita in Italia, in particolare
negli ambienti cattolici, un”opposizione alle guerre discreta e
capillare. Non punta sulle manifestazioni di massa – tranne per la
marcia della pace Perugia-Assisi – o sugli atti dimostrativi
eclatanti, bensì sullo sviluppo di una diffusa cultura di pace. Un
attivismo “lievito nella pasta”, per modo di dire, ignorato dai
mass media ma dettagliatamente descritto da Luca Kocci, appunto per
il decennio 2001-2011, nel suo ebook
Pacifisti.
Ecco dove siamo

(Edizioni Terrelibere.org, 2012).

Gran
parte di questo attivismo consiste in prese di posizione,
dichiarazioni, lettere ai politici, incontri di studio… – tutte
cose che apparentemente lasciano il tempo che trovano e che,
incidendo così poco sui reali interventi bellici italiani nel mondo,
possono sembrare meri tentativi di mettere a posto la propria
coscienza a poco prezzo, lasciando le cose come stanno.

Eppure
la sedimentazione di quei discorsi ha condizionato il sentir comune e
persino i pronunciamenti ufficiali, obbligando, ad esempio, il
Presidente della Repubblica a compiere salti mortali linguistici per
motivare ogni intervento bellico italiano.

Grazie
a quel lavorio sotterraneo, i singoli pacifisti, pur sentendosi
denigrati di continuo da politici ed opinionisti di destra, hanno
potuto constatare nel quotidiano quanto il paese reale stia comunque
dalla loro parte.

Possono
dunque alzare la testa, con orgoglio.

Come,
di recente, hanno cominciato a fare.

A
breve saranno pubblicate le prossime puntate e i prossimi capitoli
del libro di Patrick Boylan

Puntate
precedenti:

*Patrick
Boylan
, ex docente
all”università Roma Tre, dove approdò dalla sua nativa California,
è entrato poi nella redazione di
PeaceLink.it
e ha co-fondato a Roma gli
Statunitensi
per la pace e la giustizia
e
la
Rete NoWar.
«Non è antiamericano contrastare le guerre imperialiste del mio
paese, anzi!» tiene a precisare. «Abbiamo esportato la democrazia
così tanto che ormai ce n”è rimasta ben poca. Salviamo almeno
quella!»

 ____________________________________

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Per vederli, collegarsi a Internet e poi:

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