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Il burkini e le incredibili balle di Lorella Zanardo

Si dice femminista e di sinistra. In un’intervista infarcita di balle e castronerie, propone di bandire per legge il burkini. Regressione culturale e islamofobia

Il burkini e le incredibili balle di Lorella Zanardo
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18 Agosto 2016 - 21.24


ATF

di
Mazzetta
.

Tira moltissimo il dibattito sul
burkini (o burqini), il costume da bagno integrale amato da alcune donne
musulmane, in particolare dopo che un paio d’amministrazioni locali in Francia
hanno deciso di vietarne l’uso. Così in questi giorni siamo ammorbati da tanti
che si sentono in dovere di dire la loro sulla questione. Tra tanti mi ha
colpito l’intervista rilasciata a l’Espresso da Lorella Zanardo,
che si dice femminista e di sinistra*. Un’intervista infarcita di balle e
castronerie che minano qualsiasi pretesa ideale o ideologica possa celarsi
dietro alla conclusione alla quale perviene Zanardo, per la quale il burkini
andrebbe vietato per legge.

La signora si fa forte di quella che
racconta come un’esperienza diretta, avrebbe infatti provato un burkini
personalmente e da lì ne avrebbe tratto le sue categoriche convinzioni, che
però alla prova dei fatti risultano tanto assurde quanto riprovevoli. Non si sa
che burkini abbia provato, ma quel che è certo è che Zanardo nell’intervista
racconta un sacco di balle.

Per chi ancora non lo sapesse, il
burkini è un capo da bagno -tecnico- simile nella forma e nella confezione a
una muta da sub, ma più leggero e meno aderente, in modo da permettere alle
bagnanti d’indossarlo anche in spiaggia, dove le tute in neoprene usate per le
immersioni trasformerebbero le ore in riva al mare in saune insopportabili.

A dirla tutta, il mio sospetto è che
Zanardo non abbia mai indossato un burkini, altrimenti certe sue buffe
affermazioni non si spiegherebbero. Non sono poche le sciocchezze messe in fila
nella stessa intervista, ma cercherò comunque di ripercorrerle in maniera
analitica e di spiegare perché si tratti di affermazioni false, che possono
essere costruite solo sulla malafede o su una clamorosa ignoranza della materia
del contendere.

La prima affermazione assurda che
s’incontra è la seguente: «il
burkini è un capo d’abbigliamento che, come il burqa e il niqab, cela in modo
pesante il corpo
» ed è assurda perché burqa e niqab non celano solo
il corpo, ma anche il volto. Inoltre il burkini è composto da una parte
inferiore che ha la foggia dei pantaloni, non già un gonnellone che tocca
terra. Una donna in burkini appare invece coperta come una donna in maglietta e
pantaloni, ma a capo coperto come chi indossa un’hijab. Incidentalmente, i pantaloni
sono
generalmente proibiti dalla morale islamica
, perché mostrano le forme e,
orrore, sono considerati un travestimento ad imitare gli uomini. Tanto che nei
paesi dove le autorità religiose riescono ad avere voce in capitolo
sull’abbigliamento delle donne, non si vedono donne con i pantaloni. Il burkini
è quindi uno strumento d’emancipazione dalla morale islamica più rigorosa, non
solo perché consente alle donne musulmane di godere di mari e fiumi sentendosi
a proprio agio. Ma Zanardo dice che «il
mio discorso non è “intellettuale”, non è teorico. Il mio femminismo è molto
pratico. Infatti parlo del burkini dopo averlo provato
».

Subito dopo segue un’altra
affermazione stentorea quanto evidentemente falsa: «…soprattutto posso dire che indossarlo non è frutto di
una libera scelta delle donne
». Affermazione smentita dalla realtà,
nella quale qualche centinaio di milioni di donne cinesi si veste allo stesso
modo, coprendo anche il volto, semplicemente perché in Cina apprezzano
l’incarnato chiaro e non vogliono abbronzarsi quando vanno al mare. Una scelta
in tutta evidenza liberissima per la quale in Cina spopola quello che è stato
chiamato facekini. Questo sì più simile a niqab e al burqa, perché copre anche
il volto, anche se non per motivi religiosi.

Donne
cinesi al bagno

Zanardo prosegue dicendo che «parlo del burkini dopo averlo provato»
e dalla prova dice di averne ricavato che il burkini è anche pericoloso perché:
«Quando esci dall’acqua
diventa pesantissimo, e infatti molte si fanno aiutare dagli uomini perché
potrebbe esserci il rischio di annegare
». Questa è la frase che più
fa dubitare del fatto che la prova sia stata esperita realmente, perché il
tessuto tecnico con il quale sono confezionati i burkini non s’imbeve d’acqua e
perché anche la logica dice che, anche se il modello provato da Zanardo fosse
stato confezionato in lana, se il costume diventa pesantissimo fuori dall’acqua
a quel punto non c’è alcun rischio d’annegamento. Affermazioni assurde e
chiaramente esagerate che servono evidentemente da sostegno di un’opinione che
molti altri appigli non ha.

Non va meglio passando a commentare
l’ormai famosa immagine della pallavolista egiziana vista alle olimpiadi con
addosso un hijab, il velo a coprire il capo, perché anche qui Zanardo infila
una balla clamorosa dicendo che a differenza delle colleghe che giocano in
mutande: «L’egiziana infatti
non ha scelta, l’occidentale potrebbe anche rifiutarsi…
». Peccato
che la sua compagna di squadra non
indossi l’hijab
e che le sue colleghe egiziane impegnate in gare di nuoto,
tuffi e nuoto sincronizzato abbiano indossato costumi
assolutamente identici a quelli delle colleghe
, occidentali e no. «L’egiziana» quindi la
scelta ce l’ha eccome. Peccato inoltre che fino a pochi anni fa fosse invece la
federazione internazionale della pallavolo a non lasciare alcuna scelta alle
atlete: se volevi competere a livello internazionale potevi indossare solo un bikini (con il fianco non più alto di
7 centimetri), anche se faceva freddo e anche ti sentivi a disagio con le
telecamere piantate sul culo allo scopo di vendere lo spettacolo ai morti di figa
.

Esaurite queste falsissime premesse,
Zanardo chiede poi alle donne «arabe»; e poco importa che arabe non siano, come
le musulmane che provengono da paesi che arabi non sono; di «avere… rispetto per le nostre lotte,
quando vivono in Italia
». Una pretesa bizzarra, non solo perché
tale rispetto spesso manca anche alle donne italiane, per non parlare degli
uomini italiani.

Pretesa che la signora, che «io sono di sinistra, sono femminista e
per le frontiere aperte, eppure difendo il diritto delle musulmane di liberarsi
delle loro gabbie
», vorrebbe veder rinforzata da una bella legge
che dica alle donne come si devono vestire in spiaggia: «Come femminista italiana e attivista
dei diritti delle donne penso che sia corretto vietare l’uso del burkini
».
Quindi le gabbie che si scelgono loro, perché in Italia non c’è alcuna autorità
che le possa costringere a indossare il burkini, non vanno bene. Ma quelle che
sceglie per loro Zanardo invece vanno bene al punto che sarebbe il caso di
punirle, se non ci vogliono entrare.

Davvero curioso che una femminista
supporti la proposta d’affidare a un governo il decidere come le donne possano
o non possano andare vestite in spiaggia. Ancora di più se si pensa che a un
eventuale divieto contro il burkini, le donne musulmane potrebbero reagire
facendo il bagno vestite con abiti comuni. E lì sarebbe da vedere come le
femministe à la Zanardo e il governo censore potrebbero reagire. Vieterebbero
di fare il bagno vestite? Consentirebbero la balneazione solo se vestite con
costumi da bagno approvati dalla legge? E se una italiana, per niente musulmana,
volesse fare il bagno in burkini, che si fa? Glielo vietiamo perché il burkini
non ci piace in quanto simbolo di una cultura diversa? E se arrivano le da
sempre auspicate torme di turisti cinesi? Gli impediamo di fare il bagno come
preferiscono perché che l’abbiamo con i musulmani o perché le femministe à la Zanardo sono convinte che chi fa il
bagno troppo coperta offende la nostra cultura, i nostri costumi e le lotte
delle nostre sedicenti femministe?

Domande che resteranno senza risposta
perché è chiaro che vaneggiamenti del genere, falsi fin dalle premesse sulle
quali si fondano, possano promanare solo da una persona che si sente superiore
alle «arabe», al punto da voler imporre loro la propria estetica e i propri
costumi. Poco importa se “arabe” non sono e se magari siano invece cittadine
italiane con gli stessi diritti di Zanardo, primo tra tutti quello di vestirsi
come pare loro più giusto. Nella sua battaglia a difesa delle «nostre lotte» Zanardo
giunge quindi paradossalmente alle stesse conclusioni di un musulmano
integralista, perfettamente allineato nel vietare il burkini alle donne, anche
se per motivi diametralmente opposti ai suoi. Tempi tristi ci è dato vivere, la
regressione ideale e intellettuale è evidente anche in campo femminista se da «il corpo è mio e me lo gestisco io»
siamo arrivati alla pretesa della donna bianca di gestire i corpi di donne non
più considerate sorelle, ma poverelle inferiori e sottomesse da educare a botte
di divieti e leggi liberticide. L’oppressione si combatte da sempre battendosi
per la libertà, non certo invocando divieti che fanno solo la gioia di pretoni
islamici integralisti o di razzisti e sessisti come Salvini, per questo sarebbe
il caso che questo genere di sedicenti femministe ritrovasse al più presto la
diritta via, ora smarrita. Se non ora, quando?

*
Avevo scritto erroneamente che Zanardo è anche “animatrice del movimento, «Se non ora Quando», mi
scuso con le associate.

Una
linea kosher di capi da bagno “Aqua Modesta”, specializzata per le ebree
ortodosse.

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