di Piotr.
Vediamo allora alcuni avvenimenti recenti. Credo che possano interessare anche l’italiano medio, benché tradizionalmente non sia molto incuriosito da quel che succede oltre il Raccordo Anulare o le tangenziali milanesi.
Da quando sono iniziate le sanzioni contro Mosca, la Russia ha firmato con la Cina i maggiori accordi energetici della storia, ha stretto inimmaginabili legami con la Turchia – cosa che verosimilmente farà cambiare il quadro della crisi ISIS-Siria-Iraq – e due giorni dopo essere stato in Turchia, Putin se ne è volato in India dove si è portato a casa un pacchetto di 25 accordi più la decisione strategica di un progressivo aumento del volume di scambi in monete nazionali. L’ennesimo colpo al ruolo del Dollaro. In realtà , nell’intervista registrata per il convegno, il supertecnico Paul Craig Roberts iniziava proprio con la categorica affermazione che “oggi non è più necessaria una valuta internazionale per il commercio e gli investimenti perché bastano quelle nazionali” mentre il ruolo del Dollaro è ormai esclusivamente geopolitico.
Tuttavia la strategia di contenimento attuata da Washington, e di cui le sanzioni contro la Russia sono parte clamorosa, sembra condurre a una profonda frattura tra Est e Ovest che potrebbe attenuare molto quei due legami.
E così, rispetto ai risultati controproducenti che sta ottenendo questa strategia rimango perplesso e impaurito.
Escludendo la classica spiegazione, banale e consolatoria, che gli Americani sono sciocchi (perché non lo sono affatto), non riesco a ben capire perché gli USA non abbiano cercato di utilizzare una classica strategia di divide et impera, tenuto conto che i BRICS non sono né una compagine statale, né configurano una singola area di influenza come invece succede per la Triade composta da USA, Europa e Giappone, coesa da storici legami commerciali, finanziari, politici e militari, e, per quanto riguarda USA ed Europa, culturali.
Riesco solo a pensare che gli USA abbiano valutato che i tempi incalzano. Che lo sviluppo dei suoi competitor strategici sia troppo accelerato. Che al contrario l’Occidente stia evidenziando troppe debolezze. Infine che la finanziarizzazione a oltranza (principale sfogo alla crisi economica) non sia più sostenibile, pena una svalutazione drammatica del Dollaro a causa degli effetti del Quantitative Easing (QE) da parte della FED. Che nonostante i ripetuti annunci di graduale “tapering†il QE sia ancora in essere sotto altre forme (valutazione di Paul Craig Roberts). Possiamo pensare che forse il QE americano diminuirà quando inizierà quello europeo promesso da Mario Draghi. E’ solo un’ipotesi, che però giustificherebbe ulteriormente la necessità degli USA di stringere in modo sempre più soffocante ed esclusivo i legami con l’Europa.
E’ quindi evidente che l’accettazione di questi termini da parte dei BRICS li condannerebbe a uno sviluppo che non contempla, anzi ostacola, la loro crescita e assestamento in quanto stati-nazione moderni, quindi con dinamiche sociali più armoniose, più equilibrate e più socialmente protette. Per molti versi si tratta di un ambizioso (ma difficile) progetto neo-comprador, cioè di dominio sulle economie delle nazioni estere attraverso élite subordinate a un potere imperiale.
Che effetto avrà in Europa? Proviamo a fare un’ipotesi. L’ulteriore compattazione del Gruppo di Shanghai, il rafforzamento dei legami coi suoi “Observer Statesâ€, come l’India e il Pakistan, e con i suoi “Dialogue Partners†come la Turchia, può indurre un ragionevole senso di isolamento nell’Europa. Grandi segni di nervosismo e di insofferenza sono già palesi, come l’appello tedesco “Wieder Krieg in Europa? Nicht in unserem namen!†(Un’altra guerra in Europa? Non in nostro nome!) firmato da personalità che vanno dal regista Wim Wender, all’attore Klaus Maria Brandauer, all’ex sindaco di Berlino, Eberhard Diepgen, al sindaco di Amburgo, Klaus von Dohnanyi, all’ex presidente federale Roman Herzog, a Konrad Kaiser, ex Segretario Generale del Consiglio ecumenico mondiale delle Chiese, all’ex Cancelliere federale Gerhard Schröder, a ex ministri, a economisti, a industriali.
Dopo aver notato che è un’immonda indecenza che in Italia non si sia alzata nessuna voce contraria di questo calibro, vediamo cosa potrebbero essere le implicazioni di questo scenario.
Se i segni di nervosismo e di insubordinazione in Europa dovessero aumentare, non escludo la possibilità di clamorosi e sanguinosi attacchi terroristici sul nostro continente, fatti per dimostrare che il “pericolo fondamentalista†è reale (e per dimostrare a chi è in grado di udire, che il caos può essere usato ovunque, che non ci sono zone franche: tutto sommato, l’Italia non è stata bombardata terroristicamente per dieci anni di fila, negli anni Settanta?).
Parallelamente non è impensabile che se non subentreranno cambiamenti radicali in Ucraina, la guerra contro la Novorussia riprenda in grande stile e con atrocità tali da obbligare la Russia a intervenire (ripeto “la Russiaâ€, non Putin come politico indipendente dalla volontà della Russia, spero di essere stato chiaro). Nell’intervento al convegno di venerdì del consigliere Sergey Glazyev, la cosa che mi ha più impressionato è il fatto che parlasse del conflitto nel Donbass direttamente come di una guerra tra Stati Uniti e Russia. Un conflitto tra Ucraina e Russia sarebbe un ampliamento di questa guerra per procura, dove presumibilmente né la NATO né gli USA interverrebbero, se non con minacce e per gestire una pace offerta da una Russia prossima a una vittoria totale e veloce.
Così dopo aver combattuto la Russia fino all’ultimo ucraino (come usano dire molti analisti), gli USA lascerebbero Mosca presa nel dilemma se ritirarsi unilateralmente e lasciare ai suoi confini (e a quelli tedeschi) un Paese nel caos oppure logorarsi nell’occupazione di un Paese ostile. Washington raccoglierebbe così una terrorizzata Europa occidentale nel proprio soffocante abbraccio.
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