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Destabilizzare per stabilizzare. Vale anche per gli attacchi di Parigi?

I fatti terroristici francesi potrebbero essere l'inaugurazione della terza fase delle 'primavere arabe'. Con un profondo rimodellamento geopolitico [Simone Santini]

Destabilizzare per stabilizzare. Vale anche per gli attacchi di Parigi?
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15 Gennaio 2015 - 18.59


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di Simone Santini.

 

I fatti terroristici francesi potrebbero essere l’inaugurazione della terza fase delle “primavere arabe”.

La prima fase fu l’innesco dell’incendio nel grande progetto di rimodellamento del Medio Oriente allargato, un passaggio epocale nel mondo arabo simile a quanto visto in America Latina tra gli anni ’70-’80, con il passaggio dai regimi autoritari a quelli democratici, e nell’Europa orientale con la transizione dal socialismo reale al capitalismo negli anni ’90. Per ottenere tale risultato alcuni dei regimi di più lunga durata dovevano essere spazzati via o destabilizzati. Rivolte popolari ed insurrezioni armate sono servite a tale scopo.

La seconda fase è stata dominata per alcuni anni dal caos determinato, soprattutto, dalla lotta per il dominio, tutta intestina al mondo arabo, in particolare tra sauditi e qatarioti, per ottenere posizioni privilegiate e di controllo nella terza fase (lotta complicata anche dalla presenza della Turchia, che ha cercato di giocare un proprio ruolo autonomo ed avendo interessi diretti da salvaguardare nella regione allargata del Kurdistan).

La terza fase, tendente alla risoluzione dei conflitti, è cominciata con un attacco terroristico in Francia che, se inquadrato in una logica di strategia della tensione, potrebbe pienamente rientrare nella formula “destabilizzare per stabilizzare”, già teorizzata e sperimentata in passato nei laboratori del terrorismo di Stato nei paesi NATO.

Vediamo i segnali che suggeriscono questo cambiamento di fase.

L’indicazione fondamentale arriva dalla tregua che pare essere stata raggiunta da Arabia Saudita e Qatar (a vantaggio della prima) in seno al Consiglio di Cooperazione del Golfo, con il conseguente consolidamento del regime del generale Al-Sisi in Egitto e una possibile svolta nella guerra tra bande in Libia (1).

L’appello all’unità lanciato lo scorso novembre verso Doha da parte di Sauditi, Bahrein ed Emirati arabi, avrebbe, secondo il quotidiano Haaretz, anche il silente apprezzamento da parte di Israele.

Che l’Arabia Saudita stesse prevalendo sul Qatar nella sfida regionale, sarebbe stato dimostrato anche dall’accordo raggiunto tra gli stessi sauditi e gli Stati Uniti, dopo un lungo periodo di acute tensioni diplomatiche fra i due paesi, per determinare un brusco calo del prezzo del petrolio. Secondo molti analisti, gli interessi convergenti sul petrolio inteso come arma geopolitica per attaccare alcuni nemici (Iran, Russia, Venezuela) avrebbero avuto un ruolo determinante nelle manovre in seno all’Opec che hanno portato al mancato taglio delle estrazioni.

In verità, altri analisti prospettano una interpretazione esattamente contraria, ovvero che i Sauditi puntino ad attaccare proprio gli USA per buttare fuori mercato l’estrazione di shale oil & gas americano, non più profittevole, visti gli alti costi di produzione, con un prezzo del petrolio così basso. Tre obiezioni si possono fare a questa interpretazione: sarebbe molto strano che gli USA consentissero impunemente ai sauditi di condurre una tale operazione; anche a rischio di ripercussioni sul mercato energetico interno, gli americani potrebbero pensare che il vantaggio strategico di colpire in questa fase Russia e Venezuela, principalmente, e l’Iran, potrebbe valere lo scotto; ma il ragionamento fondamentale è anche di ordine prettamente economico e commerciale: non tutto il mercato dello shale oil dovrà entrare necessariamente in sofferenza, essendo in realtà i costi di estrazione estremamente variabili tra le varie compagnie anche sullo stesso giacimento (il cui break-even può passare da 28 a 85 dollari al barile), dunque il rischio fallimento riguarda soprattutto le compagnie medie e piccole ma ciò offre l’opportunità di un consolidamento del settore che, tramite acquisizioni e fusioni, andrebbe a ridisegnarsi come un mercato sostanzialmente oligopolistico a favore delle majors. I precedenti non mancano per altre fasi nell’era del petrolio. (2).

Esiste infine un segnale di ordine ideologico riguardo il cambiamento di fase. A fine dicembre il presidente egiziano, il generale Al-Sisi, ha tenuto un discorso, definito da più parti “storico”, all’Università Al-Azhar del Cairo, uno dei centri più autorevoli al mondo in materia di dottrina islamica. Le parole di Al-Sisi, davanti ad una platea di Ulema ed Imam, sono state effettivamente inaudite in una tale sede:

«Dobbiamo rivolgere uno sguardo attento e lucido alla situazione attuale. È inconcepibile che l’ideologia che noi santifichiamo faccia della nostra intera nazione una fonte di preoccupazione, pericolo, morte e distruzione nel mondo intero. Non mi riferisco alla “religione” bensì alla “ideologia” [.] Abbiamo raggiunto il punto in cui questa ideologia è ostile al mondo intero. È concepibile che 1,6 miliardi di musulmani uccidano il resto della popolazione mondiale, per vivere da soli? È inconcepibile [.] Non potete vedere le cose con chiarezza quando siete imprigionati in questa ideologia. Dovete uscirne e guardare le cose da fuori, per avvicinarvi a una visione illuminata. Dovete opporvi a questa ideologia con determinazione. Abbiamo bisogno di rivoluzionare la nostra religione».

Un Al-Sisi audace, nasseriano, o pragmatico? Che si contrappone, oltre che ai nemici interni della Fratellanza Musulmana, anche ai suoi padrini sauditi ed ai gruppi radicali salafiti che pure appoggiano il suo governo, o che piuttosto ha colto il momento storico per porsi, da laico, tra le guide di un nuovo Islam modernizzato, moderato, e sostanzialmente filo-occidentale? In questo secondo caso è impossibile non ritenere il discorso di Al-Sisi in sintonia con una virata ideologica, che ancora non appare in superficie, della stessa Arabia Saudita. Se davvero sarà così, allora può considerarsi completata la transizione per la successione della monarchia a Riyad tra l’ultraconservatore, novantenne e malato re Abdullah, ed il principe ereditario Salman, non certo un virgulto di energia e riformismo, ma considerato generalmente molto più diplomatico e aperto del predecessore.

Se questa analisi è corretta, se siamo davanti ad una terza fase delle primavere arabe inaugurata da un evento volto a destabilizzare per stabilizzare, cosa dobbiamo aspettarci nel prossimo futuro, in uno scenario di sei mesi, un anno? Nessuna sfera di cristallo. Facciamo ipotesi che potranno essere falsificate dagli eventi, che naturalmente non si evolvono per forza in modo lineare.

1. I canali di sostegno al jihadismo, in particolare i miliardi delle petromonarchie del Golfo, saranno progressivamente prosciugati. Ciò dovrebbe portare al prevalere in Libia delle componenti più filo-occidentali (come le milizie del generale Khalifa Haftarsenza escludere un nuovo intervento diretto delle potenze occidentali, come successo al tempo della caduta di Gheddafi, stavolta per combattere il terrorismo islamico. Stesso scenario per l’Iraq, dove il Califfato verrà ridimensionato e forse sconfitto da un rinnovato impegno congiunto tra forze occidentali e irachene. Più complicata la risoluzione della crisi siriana in cui Assad, sostenuto da Russia e Iran, ha resistito magnificamente ai colpi jihadisti e dove non si scorge al momento una componente sul terreno su cui l’Occidente possa fare leva. Ritengo dunque probabile una sorta di congelamento sul camporicostituendo ex novo una forza di intervento che possa agire sotto ordine diretto e non più per procura (3).

2. Si potrà assistere all’inaugurazione di un processo di democratizzazione dell’Arabia Saudita, magari solo di facciata ma sufficiente per scongiurare l’imbarazzo dell’alleanza ingombrante con il Wahabismo islamico più retrogrado. Il dito sarà puntato verso la Turchia, la cui dirigenza dovrà moderare il suo profilo musulmano e l’appoggio ad alcune componenti radicali.

3. A rischiare di saltare sul crollo del prezzo del petrolio sarà prima il Venezuela bolivariano che il settore shale americano.

Infine non si può evitare di spendere alcune parole sulla straordinaria operazione di psicologia di massa successiva agli attacchi parigini. Si poteva pensare ad un assist clamoroso alle politiche antieuropee ed anti-immigrazione di una Marine Le Pen già in ascesa, invece tale eventualità è stata sventata dalla mobilitazione per l’unità nazionale repubblicanache si è fatta interprete ed ha cavalcato tanto le paure quanto l’orgoglio nazionale, mettendo proprio la Le Pen in un angolo. Slogan come: volevano abbattere l’Europa invece l’hanno risollevata. Redazionali come quello di Roberto Napoletano per Il Sole che sulla manifestazione dei leader europei ed internazionali ha scritto: “Hai la sensazione di leggere in quegli sguardi che si incrociano con quelli del premier israeliano Netanyahu e del presidente del Mali, Keita, e di tanti altri leader non europei, il segno fisico della resurrezione politica della grande addormentata che parte dai valori primari e fondanti del cittadino europeo e della società europea quali sono oggettivamente la sicurezza e la libertà” (4).

Non importa che ciò sia vero. Non importa che tali parole anneghino nell’ipocrisia. L’importante è che una buona parte della popolazione ci creda, convinta da una potente ondata emozionale, narrativa, sapientemente costruita e dosata.

E di certo non sarà sprecata la cascata di isteria islamofoba, che è andata a conficcarsi nelle coscienze di milioni di persone, anche quando il Califfato dovesse essere sconfitto. Ci sarà pur sempre un altro nemico da sventolare per risvegliarla. Se non sarà più in scena lo jihadismo, sarà fabbricato lo spauracchio fraudolento delle orde sciite fanatiche, armate di bomba atomica, pronte a distruggere il mondo.

 

NOTE:
 
(1) “Il Qatar cede ai sauditi e abbandona i Fratelli Musulmani“, Marco Santopadre, Contropiano.org.
 
(2) “Fallita la texana Wbh, prima vittima «shale» del petrolio sottocosto”, “Il crollo del petrolio promette un’ondata di fusioni e acquisizioni”, Enrico Mallo e Sissi Bellomo, Il Sole 24 Ore.
 
(3) “Piccoli Kouachi crescono: USA addestrano altri 5mila miliziani siriani”, di Analisi Difesa.
 
(4) “Una Nuova Europa contro il Nuovo Terrorismo”, Roberto Napoletano, Il Sole 24 Ore.
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