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Il Papa, gli Armeni e la Turchia

Chi pensava che il Papa avrebbe assistito inerte ai recenti eccidi di cristiani, sbagliava: con l’uscita sugli armeni reagisce in modo politico e con obiettivi precisi.

Il Papa, gli Armeni e la Turchia
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23 Aprile 2015 - 20.53


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di Aldo Giannuli.

Molti giornali hanno presentato la dichiarazione sul genocidio armeno come la “Ratisbona di Francesco”,
alcuni sottintendendo con compiacimento che è la prima “scivolata” di
questo pontificato, altri per dire che, al di là delle caratteristiche
personali del Papa, la geopolitica vaticana non cambia e non può che
essere antislamica. Una lettura totalmente sbagliata e fuorviante che si
ferma alle somiglianze superficiali delle cose.

Il discorso di Benedetto XVI ebbe carattere essenzialmente dottrinale
(come era nel carattere del suo pontificato e come dimostra il fatto
che affidava il suo giudizio sull’Islam alla citazione di un teologo del
Quattrocento) e non è separabile dalla sua visione essenzialmente
eurocentrica; Francesco, al contrario, è un papa
eminentemente politico, come dimostra il fatto che non ha citato un
teologo di se secoli fa, ma è andato dritto all’obiettivo tirando in
ballo una delle questioni più scottanti del Novecento, e non è affatto
eurocentrico ma portatore di una strategia globale.

Ratzinger fu sorpreso dalle reazioni
politiche al suo discorso, Bergoglio non solo se le attendeva, ma le
voleva e proprio di questo tenore. Ed allora, come leggere la sua
sortita?

In primo luogo, questa
dichiarazione fa seguito a diverse denunce dei massacri di cristiani in
paesi islamici, fatte in queste settimane. Chi pensava che il Papa
avrebbe assistito inerte a questi eccidi, si sbagliava: il Papa, come
suo dovere, assume la difesa del suo popolo e non lo fa solo con
generiche denunce o vaghe esortazioni, ma – questo è il senso dell’uscita
sugli armeni – con operazioni apertamente politiche con obiettivi
precisi. E il seguito dei fatti gli dà ragione: la Ue, finalmente, si è
decisa a riconoscere il genocidio armeno, uno dei paesi più filo-turchi,
l’Italia, è messo con le spalle al muro e deve prendere le distanze
dalle reazioni del governo turco che è pienamente cascato nella trappola
tesagli.

Conclusione: di ingresso di Ankara nella Ue
non ne parliamo più almeno per un po’ di anni. Sarebbe stato sbagliato
ammettere nella Ue una Turchia islamica, per quanto laica e Kemalista,
ma di una Turchia fondamentalista ed ottomana di Erdogan non è neppure
il caso di adombrare l’ipotesi. E il valente premier turco, tanto per
smentire il suo razzismo nei confronti degli armeni, non trova di meglio
da dire che lui potrebbe espellere i centomila armeni non cittadini
turchi, che sono nel suo paese. Uno così non può entrare nemmeno nella
portineria della Ue.

E questo è un assist indiretto anche
alle opposizioni turche in vista delle elezioni: Erdogan porta
all’isolamento internazionale del paese. Anche l’esercito ha di che
meditare su questa svolta neo ottomana dell’attuale premier.

Ma perché prendersela proprio con la Turchia?
Al di là delle ragioni di fondo per cui il Vaticano, pur propenso al
dialogo con l’Islam, non vede di buon occhio l’ingresso della Turchia
nella Ue, ci sono motivi contingenti che hanno spinto in questo senso.
Diciamocela: la Turchia la sta facendo sporca con l’Isis. Da dove
passano le armi, i rifornimenti, i foreign fighters diretti al
Califfato? E da dove passano i flussi petroliferi che partono dallo
Stato Islamico? Poi, la nozione di Califfato non sembra dispiacere molto
ad Ankara, anzi… Ed allora, la sortita del Papa serve anche a puntare i
riflettori sulla sostanziale slealtà di questo “alleato” dell’Europa
(degli Usa), mentre le cancellerie di tutta Europa fanno finta di non
vedere e di non sentire.

D’altro canto, questo non è stato un
fulmine a ciel sereno: anche nel suo recente viaggio in Turchia,
Bergoglio non aveva perso l’occasione di mandare segnali molto irritanti
per il governo turco e, adesso, è arrivato un potente ceffone in pieno
viso.

Quanto mi piace questo Papa!

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