di Domenico Losurdo.
A
quanti anche a sinistra esprimono riserve ed esitazioni sull’appello e
sulla campagna «No Guerra No Nato. Per un paese sovrano e neutrale»
vorrei suggerire di riservare particolare attenzione a quello che
scrivono da qualche tempo la stampa e i media statunitensi.
Al centro
del discorso è ormai la guerra; ed essa, ben lungi dal configurarsi come
una prospettiva del tutto ipotetica e comunque assai remota, viene sin
d’ora discussa e analizzata nelle sue implicazioni politiche e militari.
Su «The National Interest» del 7 maggio scorso si può leggere un
articolo particolarmente interessante. L’autore, Tom Nichols, non è un
Pinco Pallino qualsiasi, è «Professor of National Security Affairs at
the Naval War College». Il titolo è di per sé eloquente e quanto mai
allarmante: In che modo America e Russia potrebbero provocare una guerra
nucleare (How America and Russia Could Start a Nuclear War). È un
concetto più volte ribadito nell’articolo (oltre che nelle lezioni)
dell’illustre docente: la guerra nucleare «non è impossibile»; piuttosto
che rimuoverla, gli USA farebbero bene a prepararsi a essa sul piano
militare e politico.
Ma come? Ecco lo scenario immaginato
dall’autore statunitense: la Russia, che già con Eltsin nel 1999 in
occasione della campagna di bombardamenti della Nato contro la
Jugoslavia ha profferito terribili minacce e che con Putin meno che mai
si rassegna alla disfatta subita nella guerra fredda, finisce con il
provocare una guerra che da convenzionale diventa nucleare e che conosce
una progressiva scalata anche a questo livello. Ed ecco i risultati:
negli USA le vittime non si contano; la sorte dei sopravvissuti forse è
ancora peggiore sicché, per accorciare le sofferenze, occorre
somministrare loro la morte mediante eutanasia; il caos è totale e a far
rispettare l’ordine pubblico può essere solo la «legge marziale». Ora
vediamo quello che succede nel territorio del nemico sconfitto, e
colpito non solo dagli USA ma anche dall’Europa e in particolare da
Francia e Gran Bretagna, esse stesse potenze nucleari:
«In
Russia, la situazione sarà ancora peggio [che negli USA]. La piena
disintegrazione dell’Impero Russo, iniziata nel 1905 e interrotta solo
dall’aberrazione sovietica, giungerà finalmente a compimento. ScoppierÃ
una seconda guerra civile russa e l’Eurasia, per decenni se non più a
lungo, sarà solo un miscuglio di Stati etnici devastati e governati da
uomini forti. Qualche rimasuglio di Stato russo potrebbe riemergere
dalle ceneri ma probabilmente sarà soffocato una volta per sempre da una
Europa non intenzionata a perdonare una così grande devastazione».
Nel
titolo l’articolo qui citato fa riferimento solo alla possibile guerra
nucleare tra Stati Uniti e Russia, ma chiaramente l’autore non si
accontenta delle mezze misure. Il suo discorso prosegue evocando una
replica in Asia dello scenario appena visto. In questo caso non è Mosca
ma Pechino a provocare la guerra prima convenzionale e poi nucleare con
conseguenze ancora più terrificanti. Il risultato però è lo stesso: «Gli
Stati Uniti d’America in qualche modo sopravvivranno. La Repubblica
Popolare di Cina, analogamente alla Federazione Russa, cesserà di
esistere in quanto entità politica».
È una conclusione
rivelatrice, che involontariamente getta luce sul progetto o meglio sul
sogno accarezzato dai campioni della nuova guerra fredda e calda.
Non si
tratta di respingere l’«aggressione» attribuita alla Russia e alla
Cina, e non si tratta neppure di disarmare questi paesi e di metterli
nella condizione di non nuocere. No, si tratta di annientarli in quanto
Stati, in quanto «entità politiche». Almeno per quanto riguarda la
Russia, l’autore si lascia sfuggire che la sua «disintegrazione» è il
risultato di un processo benefico iniziato nel 1905, disgraziatamente
interrotto dal potere sovietico ma che potrebbe «finalmente» (finally)
giungere alla sua conclusione. A ritardare la «disintegrazione» totale
della Russia che s’impone è stata solo l’«aberrazione» del paese
scaturito dalla rivoluzione d’ottobre.
Sembrerebbe che l’autore
statunitense qui citato esprima disappunto e delusione per la disfatta
subita dalla Germania nazista a Stalingrado.
Una cosa è certa:
distruggere la Russia quale «entità politica» era il progetto caro al
Terzo Reich. E dunque non è un caso che la NATO, almeno in Ucraina,
collabori apertamente con movimenti e circoli neonazisti.
Distruggere la
Cina quale «entità politica» era invece il progetto caro
all’imperialismo giapponese, emulo in Asia dell’imperialismo hitleriano.
E, dunque, non a caso gli Stati Uniti rafforzano il loro asse con un
Giappone che rinnega la sua costituzione pacifista e che è impegnato in
un forsennato revisionismo storico, con la riduzione a bagattella o
quasi di uno dei capitoli più orribili della storia del colonialismo e
dell’imperialismo (i crimini di cui si è macchiato l’Impero del Sol
Levante nel tentativo di assoggettare e schiavizzare il popolo cinese e
altri popoli asiatici).
L’articolo che ho lungamente citato è
sintomatico. Già in base alla dottrina proclamata da Bush jr, gli USA si
attribuivano il diritto di stroncare tempestivamente l’emergere di
possibili competitori della superpotenza allora del tutto solitaria.
Chiaramente tale dottrina continua a ispirare nella repubblica
nordamericana circoli militari e politici pronti a correre il rischio
anche di una guerra nucleare.
È a questa minaccia che intendono
rispondere – finalmente! – l’appello e la campagna «No Guerra No Nato.
Per un paese sovrano e neutrale». È incoraggiante che in questa
iniziativa siano impegnate personalità illustri con un diverso
orientamento politico e ideologico. In difesa della pace internazionale e
della salvezza del paese è possibile promuovere uno schieramento assai
largo.
Sennonché, come accennavo all’inizio, ci imbattiamo
talvolta in riserve ed esitazioni che si manifestano in ambienti
inaspettati e insospettati e che fanno persino riferimento al movimento
comunista.
Si tratta di riserve ed esitazioni di cui non si comprende
bene il senso. Per cominciare a organizzarci contro la guerra dobbiamo
attendere che diventi una realtà la prospettiva di distruzione e di
morte su larghissima scala che emerge dalla stampa internazionale e in
primo luogo statunitense?
Sarebbe un atteggiamento irresponsabile e
suicida.
È vero, le forze che hanno compreso la reale natura della NATO e
che sono pronte a lottare contro di essa sono oggi piuttosto ridotte.
Ma da questa constatazione discende non la legittimità del rinvio del
nostro impegno nella lotta per la pace, ma al contrario la sua assoluta
urgenza. Abbiamo una grande storia alle spalle.
A suo tempo Lenin ha
lanciato la parola d’ordine della trasformazione della guerra in
rivoluzione allorché, mentre in diversi paesi europei, accecati per
qualche tempo dall’ideologia dominante, i giovani correvano in massa
festanti e entusiasti all’arruolamento volontario come andando incontro a
un appuntamento erotico. Ovviamente, la situazione odierna è quanto mai
diversa, ma non c’è alcun motivo per abdicare al compito di diffondere
la consapevolezza dei pericoli di guerra e di denunciare la politica di
guerra della NATO. Sin d’ora è possibile e necessario contestare e
confutare una per una le manipolazioni dell’industria della menzogna che
è al tempo stesso l’industria della propaganda bellica; sin d’ora è
possibile e necessario contrastare ogni misura politica e militare che
minaccia di avvicinarci alla catastrofe: E tutto ciò mai perdere di
vista l’obiettivo strategico dell’espulsione della NATO dal nostro
paese.
Le riserve e le esitazioni nei confronti dell’appello e
della campagna contro la NATO non hanno alcuna plausibilità politica e
morale. C’è però una spiegazione, che non è una giustificazione. Almeno
in Europa occidentale la dura sconfitta subita dal movimento comunista
tra il 1989 e il 1991 ha comportato un terribile impoverimento non solo
teorico ma anche etico-politico.
Il primo è largamente noto, e io ho
cercato di contribuire a chiarirlo in primo luogo con i miei libri sulla
«sinistra assente» e sul «revisionismo storico».
Ora è
sull’impoverimento etico-politico che vorrei dire qualcosa: anche gli
intellettuali che non si associano al coro impegnato a infangare la
«forma-partito» si rivelano spesso incapaci di agire in modo associato.
Sembrano aver dimenticato il significato dell’agire politico e
soprattutto di un agire politico che intenda trasformare radicalmente la
realtà esistente e che pertanto è costretto a scontrarsi con un
apparato di manipolazione più poderoso che mai. Sappiamo dai nostri
classici che la piccola produzione è il terreno sul quale attecchisce
l’anarchismo.
Gli odierni sviluppi della comunicazione digitale
comportano di fatto un forte rilancio della piccola produzione
intellettuale. Ed ecco che, nel clima venutosi a creare in seguito alla
sconfitta del 1989-1991 e al connesso impoverimento etico-politico, non
pochi intellettuali anche di orientamento comunista tendono a
rinchiudersi ciascuno nel suo blog e nel suo sito. In questo blog e in
questo sito il singolo intellettuale ha da misurarsi solo con se stesso,
senza imbattersi nelle contraddizioni e nei conflitti che sono propri
dell’agire politico in quanto agire associato.
Abbiamo allora
blog e siti di orientamento comunista, non poche volte pregevoli e
talvolta assai pregevoli, ma assai spesso in misura diversa affetti da
quella vecchia malattia che è l’anarchismo da gran signore, resa più
acuta e più difficilmente curabile dall’impoverimento etico-politico cui
ho accennato, e ora in grado di manifestarsi senza più ostacoli grazie
ai miracoli della comunicazione digitale. Per ognuno di questi
intellettuali il proprio blog e il proprio sito sono al tempo stesso il
partito e il giornale in quanto tali. E questi intellettuali si
atteggiano in tal modo per il fatto che – essi lamentano – mancano il
partito e il giornale.
Soprattutto per quanto riguarda il primo
punto, ai lettori di questo blog sono già note le mie prese di posizione
pubblica, che qui non ho bisogno di ribadire. Voglio aggiungere solo
un’osservazione. Se i diversi siti e blog di cui ho parlato
s’impegnassero a condurre la campagna «No Guerra No Nato. Per un paese
sovrano e neutrale», denunciando giorno dopo giorno i piani di
espansione e di guerra della Nato e le sue manovre per destabilizzare
con ogni mezzo (anche facendo ricorso all’ISIS) i paesi che a tutto ciò
si oppongono, allora sì che avremmo compiuto un passo concreto e
importante in direzione della fondazione di un giornale nazionale (nel
senso leninista e gramsciano del termine). E se nel corso di questa
campagna un numero considerevole di intellettuali e di militanti
riscoprisse la voglia e il senso dell’agire politico, che è sempre un
agire associato soprattutto quando persegue obiettivi di trasformazione
radicale della realtà politico-sociale, allora avremmo fatto un passo
concreto e importante in direzione della soluzione del problema del
partito per la quale tutti siamo chiamati a impegnarci.
Fonte: http://domenicolosurdo.blogspot.it/2015/05/perche-e-urgente-lottare-contro-la-nato.html.
Comitato promotore della campagna #NO GUERRA #NO NATO