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Il triste destino della pedina che si credeva re

Sembra che il precario ordine internazionale stia cominciando a stufarsi di Turchia ed Arabia Saudita, due agitatori inconcludenti.

Il triste destino della pedina che si credeva re
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31 Marzo 2016 - 20.10


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 di Pierluigi Fagan

Improvvisamente, appaiono numerosi
articoli internazionali che ipotizzano cambio di regime in Turchia e
crisi ontologica dell’Arabia Saudita. Sembra che il precario ordine
internazionale stia cominciando a stufarsi di questi due agitatori
inconcludenti. L’insofferenza non è tanto verso gli agitatori, verso i
quali se non si è avuta connivenza si è applicato il laissez faire, ma
verso la loro inconcludenza. Avessero portato qualche vantaggio,
sarebbero stati gli eroi della partita ma visto che la partita ora va
diversamente, gli aspiranti eroi ora debbono esser sacrificati. 

 I turchi non sono un buon cliente per i
progetti cinesi di Via della Seta che proprio sulla penisola dovrebbe
avere il suo passaggio ferroviario strategico e non lo sono anche per
l’utilizzo poco amichevole che fanno dei legami di parentela con gli
uiguri ed alcune repubbliche centro asiatiche la cui stabilità è
altrettanto strategica per le nuove vie commerciali dei cinesi (qui).

 Ancormeno lo sono per i russi, non solo per le ben note contrapposizioni
sulla Siria, ma per l’ancora non ben spiegabile voltafaccia strategico
che ha mandato a monte contratti miliardari e passaggi di oleodotti già
pianificati. Naturalmente non lo sono per gli iraniani con i quali
alternano prudenti visite di amicizia e pressioni militari sul confine
curdo-iracheno. Non lo sono ovviamente per i curdi i quali però hanno
ultimamente ben due padrini, gli americani ed i russi. All’Unione
europea hanno sottratto 3 + 3 miliardi col ricatto. In questi casi,
realismo impone sottostare ma poi si scrive la partita sul taccuino che
ha già altre note dolenti come l’utilizzo dei profughi,
l’impresentabilità del regime, le astruse richieste imperative di esser
accettati nell’UE, le pubbliche lezioncine su come si combatte il
terrorismo (vedi Belgio) già poco gradite in sé ma ancormeno considerato
il pulpito. Lezioncine non richieste che possono anche attivare qualche
sospetto.

 E’ di questi giorni la scoperta fatta dai curdi delle bolle
di consegna del traffico petrolifero già noto, tra Isis e turchi (qui). Si sono adirati addirittura i giordani, solitamente low profile (qui). Assad, dall’alto delle riconquistate rovine di Palmira, ha ripreso voce e non fa sconti (qui)
provocando “imbarazzo” a francesi e britannici. Gli americani sono
seccati oltre che per le questioni coi curdi, per il tentativo di
trascinare la NATO in operazioni improvvisate anti-russe che era forse
il retro-pensiero che ha portato Erdogan a dare l’ordine di abbattimento
del jet russo. Ecco allora che il Newsweek (qui) rilancia un articolo dell’American Enterprise Institute (commento in italiano, qui)
che ipotizza lo sgretolamento del potere di un regime che internamente,
comincia ad avere contro, oltre ai curdi, le élite laiche ed
occidentaliste, una parte del sistema economico e forse l’esercito.
Erdogan ha cambiato più volte le élite dell’esercito ma l’esercito in
Turchia ha una storia particolare ed è molto dubbio che Erdogan sia
riuscito a cambiarne la natura profonda. Qualche settimana fa sono
uscite anche notizie di rifiuti aperti che gli alti vertici militari
avrebbero opposto alla volontà del presidente di operare ulteriori
provocazioni verso i russi.  Queste tensioni si rinforzano
vicendevolmente ed il neo-sultano sembra andare viepiù nel panico, e la
pedina nel panico diventa un rischio da evitare. Il sacrificio di pedina
s’impone visto che la partita non è quella che la pedina si era
immaginata dal suo locale punto di vista…

Non migliore, anzi peggiore, comincia ad
essere la situazione dell’Arabia Saudita. La politica del prezzo del
greggio fa piacere solo ai cinesi ma non certo ai russi, iraniani,
tutti i produttori OPEC ed anche l’intera economia mondiale. Ma in
particolare dispiace agli americani, che vedono prossimo il fallimento
in sequenza di molte compagnie di shale, con possibili effetti sistemici
sulla borsa e ritorno alla dipendenza dalle esportazioni, il che
sbilancerebbe tutta la geopolitica USA. Non a caso, Trump, dopo aver
minacciato -se eletto- di render pubbliche le famose 28 pagine secretate
nel Rapporto 11/9 del Congresso americano (che pare indichino il ruolo
dei servizi segreti sauditi nell’operazione) ed essersi preso
pubblicamente a male parole con un principino saudita, nell’ultima
intervista al NYT ha dichiarato che gli USA non compreranno più petrolio
saudita (e ritireranno la copertura militare) fintanto che i sauditi
non mostrino di impegnarsi seriamente a combattere per proprio conto
l’Isis. Grande sdegno sta provocando negli USA il filmato Saudi Arabia
Uncovered  â€“qui– (che abbiamo postato alla fine del nostro recente articolo, qui) ed i sauditi rinforzano le attività di lobbying sulla stampa americana per ammorbidire le critiche (qui).

 Intanto, Standard & Poors ha downgradato i CDS sauditi, prima da
AA- ad A+ (Giappone), poi dopo appena quattro mesi da A+ ad A-
(Malesia), tre livelli sopra la spazzatura. I sauditi hanno dovuto
rivedere la propria generosa politica di welfare e di tassazione interna
per far fronte al crollo delle entrate derivate dal dumping forzoso del
prezzo del greggio ed il loro deficit viaggia al 15% del Pil. Intanto
continuano a sparire principi sauditi appena un po’ meno allineati al
delirio della casa regnante (qui e qui).
Forse anche i pakistani, dopo esser stati coinvolti a loro insaputa
nella cosiddetta NATO arabica promossa da Ryiad, progetto a cui invero
non hanno aderito, e dopo esser stati coinvolti nella delicata faccenda
della ipotetica fornitura di armi atomiche che, nota da tempo a pochi,
ora sta diventando questione nota ai più e tutt’altro che rassicurante
per i delicati equilibri atomici planetari, si sono seccati per
l’attentato di Lahore (qui). 

 Così gli indiani i cui equilibri di convivenza tra la minoranza
musulmana e la maggioranza indu, sono stati scossi da recenti operazioni
terroristiche (qui).
Anche Hollande non deve aver gradito la richiesta esplicita di farsi
dare la Legion straniera ma sopratutto il fatto che, tenuta segreta
dall’Eliseo, è stata invece pubblicizzata dall’agenzia di stampa saudita
(qui).
Ecco allora che ci si comincia a preparare  il campo della crisi
ontologica di questo gruppo di beduini scalmanati, “unfit” per la
complessità del mondo nuovo (qui),
si comincia a parlare apertamente di collasso saudita e si lanciano
messaggi ai sauditi sul fatto che debbono farsene una ragione degli
accordi tra americani ed iraniani (qui). Altrimenti, anche la pedina con il ghutra a scacchetti bianchi e rossi, potrebbe saltare.

Insomma, l’operazione Siria è andata, non
ha funzionato, si sbaracca l’impianto e ci si avvia ad un qualche
accordo spartitorio che non incontra i favori di Ryiad. Del terrorismo
saudita-wahhabita, i più e le loro opinioni pubbliche, si sono stancati.
Della disinvoltura ricattatoria saudita ancora di più , stante che il
gerontocomio degli al Saud ha messo troppi obiettivi contemporaneamente
in target, una strategia irrealistica e presuntuosa, geopoliticamente
insostenibile. Così, della disinvolta intraprendenza di Erdogan.

Destino delle pedine è l’esser
sacrificate poiché le pedine leggono solo lo scontro intorno alle loro 8
caselle mentre la scacchiera, di caselle, ne ha 64.

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