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Da Nizza alla Turchia. Fatti che attendono parole

'Incanalano piani pensati in autonomia da altri''? Chiudono strade, ne aprono altre, come a dirigere il traffico. Chi dirige il traffico non conduce le auto [Piotr]'

Da Nizza alla Turchia. Fatti che attendono parole
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20 Luglio 2016 - 05.12


ATF

di Piotr.

Essendo ogni
atto di terrorismo, per definizione, una “operazione segreta”, dopo una strage
come quella di Nizza si può solamente navigare da un’ipotesi all’altra.

Noi Italiani
dovremmo saperlo bene. Nel nostro paese fra la strage del 1969 di Piazza
Fontana a Milano e quella alla stazione di Bologna del 1980 abbiamo avuto un
decennio abbondante di attentati, che misteriosi rimangono sotto molteplici
aspetti anche dopo decine d’anni d’inchieste, controinchieste, rivelazioni e
processi.

All’epoca la
strage di Piazza Fontana fu “svelata” grazie al Movimento Studentesco
milanese e poi a Lotta Continua. Il Movimento intuì subito che era una “strage
di Stato”. Intuizione giustissima anche se capimmo solo una parte delle sue
implicazioni
.

Qualcuno
recentemente per arginare democraticamente il terrorismo ha proposto di
riappropriarsi della cultura politica di Longo e Berlinguer. Non voglio
intervenire più di tanto in questo dibattito, ma devo ricordare che il termine
“strage di Stato” fu sempre considerato una sorta di bestemmia dal PCI.
L’avvocato Alberto Malagugini, deputato comunista e difensore di Pietro
Valpreda, la “belva umana”, l’anarchico che fu subito indicato da Polizia e
mass media come l’autore della strage, ragionando sui documenti processuali
scrisse nell’aprile 1976 un articolo su “Rinascita”, la prestigiosa rivista del
PCI, intitolato proprio “Dunque la strage era di Stato”. Non lo avesse mai
fatto. Fu giubilato dal suo partito, mandato via dal Parlamento e messo in
naftalina alla Corte Costituzionale.

Durante le
assemblee per mettere in crisi gli oratori del PCI ci bastava una domanda, una
domanda trabocchetto che tenevamo in serbo alla fine dei loro interventi: “Ma
Valpreda è innocente, sì o no?”. L’imbarazzo era assicurato e questo imbarazzo,
con le sue opacità, non contribuiva certamente alla difesa partecipata e
militante della democrazia.

Il Movimento
svelò dunque, letteralmente contro tutto e contro tutti (compresi duri scontri con
la polizia a cadenza quasi settimanale) molto di ciò che stava dietro la prima
strage italiana del dopoguerra. Tuttavia ne fu svelata solo una parte,
quella di “classe”
, che era il nostro quasi unico orizzonte di riferimento,
semplice e adamantino. 

La sera
stessa della strage, in Statale fu convocata un’assemblea dove immediatamente si
parlò di provocazione padronale e di destra. Bisogna ricordare che nemmeno un
mese prima davanti al Teatro Lirico, a pochissima distanza da Piazza Fontana e
dalla Statale, la polizia aveva aggredito gli operai che uscivano da
un’assembla sindacale. Il Movimento Studentesco era corso in aiuto degli operai
e ne erano nati furiosi scontri nei quali morì l’agente Annarumma. Si seppe poi
che morì incidentalmente, ma per anni si insistette sulla tesi di un palo lanciato
da un manifestante (in realtà i medici legali capirono subito che non era vero,
ma parlarono pubblicamente solo anni dopo).

Questo era
il clima politico e militante di quegli anni e quella dunque, per molti anni a
venire, fu la nostra interpretazione di quell’attentato stragista: un
attacco alle lotte popolari e operaie
iniziate nel 1968-1969.

Che ci fosse
Gladio, non lo sapevamo. Intuivamo ideologicamente che il capitalismo italiano
era legato subalternamente a quello imperiale statunitense, che all’epoca
conduceva la guerra nel Vietnam, ma non avevamo in realtà una vera idea degli
interessi geopolitici in gioco.

Certo,
sapevamo, o per lo meno ci immaginavamo, che le lotte avrebbero potuto portare il
PCI alla maggioranza e che questo non era ammissibile per gli Usa e per la
Nato. Ma consideravamo l’Unione Sovietica “revisionista” se non addirittura
“social-imperialista”. Il nostro cuore batteva per la Cina della Rivoluzione
Culturale, per Ho Chi Minh (che però amava molto più la Russia della Cina) e
per i Vietcong. Per una “questione di classe”. Che dal punto di vista
geostrategico degli Stati Uniti il nostro “tifo ideologico internazionale”
fosse del tutto irrilevante e incoerente se non ridicolo, non ci passava per la
testa. Pensavamo seriamente che il loro unico obiettivo era come sfruttare
meglio i popoli, una semplice estensione del conflitto lavoro-capitale.

Non ci
veniva in mente che l’accumulazione capitalistica e i rapporti di classe
fossero qualcosa di molto, di immensamente più complesso
, e implicavano
alleanze, disalleanze, incontri e scontri internazionali, col loro corredo di
contraddizioni, di cose poco chiare, di processi opachi. Col senno di poi era però
ben strano che si pensasse che Marx ed Engels avessero scritto migliaia e
migliaia di pagine, alcune veramente complicate, solo per dire che alla fine
l’unica cosa che contava e a cui pensare era il conflitto operaio-padrone.

Ad ogni modo
ci pensò Enrico Berlinguer nel 1976 a farci capire che la nostra era solo
immaginazione, con la sua famosa apertura alla Nato. Questa apertura avvenne
proprio nel bel mezzo del decennio della “strategia della tensione” (e tre anni
dopo il golpe in Cile).

Due anni più
tardi venne rapito Aldo Moro. Iniziò un nuovo mistero e nuove ipotesi videro la
luce: chi erano le Brigate Rosse? Erano genuine? Erano manovrate? O le loro
azioni erano semplicemente sfruttate politicamente da altri?

E, di nuovo,
nel bel mezzo del sequestro Moro ecco che Giorgio Napolitano è invitato a
tenere conferenze in prestigiose università degli Stati Uniti, in quanto
responsabile economico del PCI. Oggi si sa che negli States fece anche
dell’altro, cioè iniziò a tessere la tela per accreditare il PCI come
attendibile ricambio politico in Italia.

Otto anni
dopo, il “favourite communist” di Henry Kissinger fece passare nel PCI
la linea della “piena fedeltà e lealtà agli Usa e alla Nato”. Nel frattempo era
scoppiata la guerra civile in Afghanistan con successivo intervento sovietico.

Di tutte
queste vicende noi, come si è detto, vedevamo prevalentemente i risvolti e
le ricadute “di classe”
. Le manovre geopolitiche ci importavano poco e
solo fino a un certo punto
. Oggi sappiamo che sotto c’era invece molto di
più. C’erano ad esempio Gladio, i rapporti internazionali, gli scontri
geopolitici che la crisi sistemica stava facendo maturare. Tutta una realtà
connessa ai processi di accumulazione del capitale
da numerosi e
intrecciati fili che non credo siano stati nemmeno adesso dipanati. Anche
perché per dipanarli occorre tenere metodologicamente distinti il Potere
Politico Territoriale e il Potere Economico, i loro obiettivi, i loro strumenti
e le loro logiche. Una distinzione che non è mai entrata nella testa della
stragrande maggioranza dei marxisti. Curiosamente, perché Marx fa coincidere la
nascita del modo di produzione capitalistico, in contrasto con quello feudale,
proprio dalla scissione tra Potere del Territorio e Potere Economico (detto
incidentalmente, una versione artificiale e opportunistica di quella
distinzione, che è scientifica, fu in quegli anni la teoria della “autonomia
del politico” che doveva fungere da viatico teorico del Compromesso Storico,
che abortì in un battibaleno).

Tornando a
Nizza, un effetto di quella strage può sicuramente essere il tentativo di
assopire le lotte popolari conto la Loi Travail e aumentare la dose di
“stato di sicurezza”. Ma non sono per nulla sicuro che questo sia stato
l’obiettivo principale dell’attentato, come alcuni sostengono.

Purtroppo non
abbiamo mai messo a punto una griglia metodologica
che ci permetta di
spuntare ciò che è certo, ciò che è probabile e infine ciò che è ipotizzabile e
i conflitti tra le ipotesi plausibili.

Ad esempio,
occorre distinguere tra “possibilità di sfruttamento politico” di un evento e
il suo “accadimento”. Chi programma un evento può non coincidere con chi lo
sfrutta
.

Non solo, le
élite non sono compatte, né all’interno di una nazione né rispetto ai
loro punti di riferimento internazionali. E può capitare che la forza di un
movimento popolare possa ampliare differenze, rancori, gelosie, sospetti.

Si pensi
ancora alla sequenza di eventi della fine del 1969 a Milano.

L’allora
presidente della Repubblica, il socialdemocratico Giuseppe Saragat, già
elemento di spicco della Resistenza e del Partito Socialista assieme a Nenni e
Pertini, in combutta con ambienti atlantici voleva sfruttare quella sequenza
per proclamare lo Stato di Emergenza. Fu bloccato dal Presidente del Consiglio,
Mariano Rumor, un democristiano antifascista di centro (un “doroteo”), che
saggiamente temeva che con un partito comunista fortissimo, sindacati
riunificati e sul piede di guerra e un movimento studentesco montante, lo Stato
di Emergenza avrebbe potuto scatenare una guerra civile.

Non abbiamo
nemmeno una metodologia per inquadrare le ipotesi su chi esegue, come esegue e
perché esegue.

Ci può
essere un rapporto diretto mandante-killer, in cui il mandante può sfruttare
leve diverse (soldi, ideologia, ricatti). Ma in alcuni casi credo che sia
possibile “incanalare” piani pensati in autonomia da altri. Si chiudono alcune strade, se ne aprono
altre, come quando si dirige il traffico. E chi dirige il traffico non è il
conducente: quello pensa di andare dove vuole lui, magari in modo arzigogolato.

Siamo in
un’epoca in cui regna sovrana l’eterogenesi
dei fini, come diceva Giambattista Vico.
Dove varie linee di forza si compongono spesso in una risultante che non era né
prevista né voluta da nessuno e che però tutti vorranno sfruttare, cavalcare.

Il 30 giugno
il Collettivo Pixel aveva scritto su Megachip che dato che il primo ministro
francese Valls dopo la Brexit si era messo decisamente di traverso al Ttip, la Francia rischiava attentati “jihadisti”.

Il 14 luglio
il Collettivo Pixel è stato preso da un doppio shock: per quello che è successo
e per quello che aveva scritto solo due settimane prima.

Era andata
proprio così, come aveva previsto?

Chi cerca di
prevedere cose, spesso (ed è un bene) si spaventa se l’evento previsto si
verifica veramente, e nascono molte  domande.

È stata una
(orrenda) coincidenza? La previsione in oggetto è stata una manifestazione patologica
addirittura di “pre-complottismo”? Oppure il ragionamento era giusto in linea
di principio ma la Francia è stata punita per qualcos’altro che non sappiamo e non
ci immaginiamo? E chi ha punito chi?

Il 14 dicembre
del 2014 Piotr aveva previsto su Megachip la possibilità ravvicinata di attentati
“islamisti” in Europa
. La motivazione era simile: nervosismi europei e
francesi nei confronti della strategia imposta da oltre Atlantico. Poco più di
tre settimane dopo ci fu la strage del Charlie-Hebdo.

Il
Collettivo Pixel e Piotr non sono assolutamente contenti di avere azzeccato le
loro previsioni. Innanzitutto per ciò che è avvenuto. In secondo luogo perché
ammesso che abbiano visto giusto non sono riusciti a far nulla per prevenire i
massacri. Infine, nonostante tutto, non sanno nemmeno di preciso se hanno
veramente azzeccato qualcosa.

Com’è, come
non è, sembra comunque che oggi sia facilissimo prevedere tragedie ma
difficilissimo prevenirle
.

Un
ragionamento simile vale anche per il tentato golpe in Turchia.

Anche in
questo caso Piotr in un articolo su Megachip del 21 marzo scorso scrisse che la Turchia era sull’orlo di un possibile colpo di Stato.
Un’altra previsione “azzeccata”? Sì, sembrerebbe la parola giusta. Ma se se si
giocasse a Tresette.

Ma siccome
non si tratta di un gioco, tutti i dubbi di sopra riemergono: vero golpe? falso
golpe? auto-golpe?

Circolano
frammenti di analisi interessanti, anche su giornali mainstream come Il Sole 24 Ore e Corriere della Sera. Io propendo per la teoria dell’incanalamento, nella sua variante “so e lascio fare fino a un certo punto”.
Una sorta di golpe preventivo monco per evitarne uno vero completo. Ma, lo dico
sinceramente, non chiedetemi le motivazioni e meno che meno la meccanica: vado
a naso cercando di mettere al posto giusto pezzi di un puzzle complicatissimo
dove, tanto per dirne una, si va da un aereo russo abbattuto e l’ipotesi di
guerra con la Russia all’andare in ginocchio al Cremlino a chiedere perdono.

Nemmeno quando
si vedranno gli effetti più solidi e duraturi di questo evento si potrà, a
ritroso, affermare che era andata in un modo o in un altro. Anche gli effetti,
o meglio le forze che sfruttano gli eventi, si compongono e a volte gli effetti
finiscono per essere inintenzionali.

Noi,
tuttavia, capiamo benissimo per lo meno una cosa: che dobbiamo far quadrato
attorno ad alcune roccaforti, come la pace, la giustizia sociale, la democrazia
e la difesa dell’ambiente in cui viviamo.

Infine, io non
vedo altro modo per difenderle che attaccare l’accumulazione infinita di
capitale
. Il resto mi sembra inutile. Ma questa è una considerazione
personale.
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