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Craig Roberts: Trump si è arreso, il prossimo sarà Putin?

Hanno lasciato nell’amministrazione Trump sionisti estremisti e generali impazziti che vogliono la guerra. E non c’è nessuno capace di fermarli, alla Casa Bianca

Craig Roberts: Trump si è arreso, il prossimo sarà Putin?
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10 Aprile 2017 - 16.08


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da Libreidee.

«Trump si è
arreso. Il prossimo sarà Putin?». Se lo domanda Paul Craig Roberts, uno dei più
autorevoli osservatori indipendenti della scena internazionale, all’indomani
del raid missilistico sulla Siria ordinato dal capo della Casa Bianca senza
prima acquisire prove sulle responsabilità di Assad nell’attacco a Idlib con il
gas Sarin. «L’establishment di Washington ha ripreso il controllo», scrive sul suo blog l’ex viceministro di
Ronald Reagan. «Prima Flynn e ora Bannon», via le “colombe” che avevano
trainato la campagna elettorale di Trump, lasciando intravedere il disgelo col
resto del mondo. «Tutto ciò che hanno lasciato nell’amministrazione Trump –
afferma Roberts – sono i sionisti e i generali impazziti che vogliono la guerra
con la Russia, la Cina, l’Iran, la Siria e la Corea del Nord. E non c’è
nessuno, alla Casa Bianca, capace di fermarli». 

Questo è il
«bacio d’addio alla normalizzazione delle relazioni con la Russia: il conflitto
siriano è impostato per essere riaperto». Incidente gravissimo, strategico:
data «l’assenza di qualsiasi prova» sulle responsabilità di Assad, «è del tutto
evidente che l’attacco chimico è un evento orchestrato da Washington». 

 Il
segretario di Stato americano Rex Tillerson ha messo in guardia la Russia: è
scattata l’operazione per rimuovere Assad, e purtroppo Trump è d’accordo,
continua Craig Roberts. Conseguenza: «La rimozione di Assad permette a
Washington di imporre un altro burattino americano su popoli musulmani».
Obiettivo sostanziale:«Rimuovere un altro governo arabo con una politica
indipendente da Washington, per eliminare un altro governo che si oppone al
furto di Israele della Palestina». 

Per
Tillerson, storico patron della Exxon, far cadere il governo siriano significa
anche «tagliare il gas russo destinato all’Europa con un gasdotto controllato
degli Stati Uniti, che dal Qatar raggiunga l’Europa attraverso la Siria».
Brutte notizie per Mosca, che – combattendo seriamente contro l’Isis – sperava
davvero, con Trump, di raggiungere una partnership con Washington attraverso
uno sforzo comune contro il terrorismo. Speranze che Craig Roberts oggi
definisce «del tutto irrealistiche». Un’idea addirittura «ridicola», visto che
«il terrorismo è l’arma di Washington». Un’accusa frontale, dunque: sono gli
Usa i mandanti diretti dell’Isis, accusa l’ex stratega di Reagan.

Una volta
messa fuori gioco la Russia, continua Craig Roberts, «il terrorismo verrà poi
diretto contro l’Iran su larga scala». E quando l’Iran dovesse a sua volta
cadere, sempre il terrorismo “amico” della Cia, quello che oggi è targato Isis,
«inizierà a lavorare sulla Federazione Russa e con la provincia cinese che
confina con il Kazakhstan». 

Possibile?
Senz’altro: «Washington ha già dato alla Russia un assaggio del terrorismo
sostenuto dagli Usa in Cecenia. E il più è deve ancora arrivare». Craig Roberts
rimprovera ai russi una sorta di fatale ingenuità: speravano, davvero in Donald
Trump. Per questo, sostiene, hanno evitato di stravincere, dopo aver
conquistato il cruciale ovest della Siria, paese che oggi è invece, ancora, a
rischio di spartizione, dopo la brutale defenestrazione di Assad. 

I russi,
«ipnotizzati dal sogno di cooperare con Washington, hanno messo la Siria (e se
stessi) in una posizione difficile». Avevano «sorpreso il mondo», accettando di
difendere la Siria dall’Isis, e allora «Washington era impotente». In pochi
mesi, l’intervento russo ha sbaragliato l’Isis. «Poi, all’improvviso, Putin si
è fermato: ha annunciato il ritiro, affermando, come Bush sulla portaerei:
missione compiuta».

Ma la
missione non era compiuta, sottolinea Craig Roberts: la Russia è stata
costretta a tornare in campo, «nella vana convinzione che Washington si sarebbe
messa finalmente a collaborare con la Russia per eliminare l’ultima roccaforte
Isis». Al contrario, invece, «gli Stati Uniti hanno inviato forze militari per
bloccare i progressi russi sulla scena siriana». Il ministro degli esteri
Lavrov ha protestato, ma – ancora una volta – la Russia «non ha usato il suo
potere superiore sulla scena per battere le forze americane e portare a termine
il conflitto». 

Ora
Washington dà “avvertimenti” a Mosca, a suon di missili: riuscirà il Cremlino a
capire che può scordarsi ogni cooperazione e, semmai, prenotarsi per un ruolo
di vassallo? Si avvicina una trappola pericolosa, continua Craig Roberts: «La
Russia non permetterà a Washington di rimuovere Assad», ma a Mosca esiste una
“quinta colonna” «che è alleata con l’Occidente». 

Per Putin e
l’indipendenza della Russia come potenza sovrana, si tratta del pericolo più
insidioso, tale da metter fine al ruolo di Mosca come attore euroasiatico
capace di imporre stabilità geopolitica, a cavallo dei due continenti.

Collaboratori
infedeli: spesso si è accennato, in quei termini, al gruppo che fa capo all’ex
presidente Dmitrij Medvedev. Questa “quinta colonna”, sostiene Craig Roberts,
«insisterà dicendo che la Russia potrà finalmente ottenere la collaborazione di
Washington solo se “sacrificherà” Assad». Sarebbe un suicidio: l’acquiescenza
di Putin «distruggerebbe l’immagine del potere russo», e sarebbe utilizzata
«per privare la Russia di valuta estera dalle vendite di gas naturale verso
l’Europa». 

Putin ha
detto che la Russia non può fidarsi di Washington? «Si tratta di una deduzione
corretta dai fatti», conclude Craig Roberts. E quindi, perché mai la Russia
dovrebbe cedere, in cambio del miraggio della mitica cooperazione con
Washington, cioè con il potere che sostiene sottobanco i terroristi
dell’Isis? 

«La
cooperazione ha un solo significato: significa arrendersi a Washington». Per il
grande analista americano, Putin ha “ripulito” la Russia solo in parte: «Il
paese rimane pieno di agenti americani, ed è straordinario vedere quanto poco,
i media russi, capiscono il pericolo nel quale la Russia si trova». E dunque:
«Sarà Putin il prossimo a cadere vittima dell’establishment di Washington, come
è appena accaduto a Trump?».

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