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Toglietemi Tardelli, ma non quella frase

"E sorridevano. Ma proprio uno di quei sorrisi New Age, il sorriso di chi ha fatto una scoperta e vuole condividerla. Un sorriso del cazzo, insomma".

Toglietemi Tardelli, ma non quella frase
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16 Giugno 2013 - 02.18


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di Celestino Tabasso.

Cominciarono a dirla molto negli anni Novanta, questa cosa delle emozioni.

Ti guardavano negli occhi, facevano la voce suadente e dicevano : “Non
sprecare mai le emozioni, e non dimenticarle man mano che le vivi.
Le emozioni sono la forza che muove il mondo. Non c’è fonte di energia
più potente. Non c’è nucleare, non c’è carbone, non c’è esplosione che
possa muovere le montagne e fermare il sole e fargli baciare la luna
quanto le emozioni”.
E sorridevano.
Ma proprio uno di quei
sorrisi New Age, il sorriso di chi ha fatto una scoperta e vuole
condividerla. Il sorriso di chi ha un messaggio.
Un sorriso del cazzo, insomma.
 

Che poi, a parte il sorriso, era tutto vero.
Negli anni Duemila se ne parlava anche di più e negli anni Dieci, quelli della Grande Crisi, diventò quasi un’ossessione.
Poi arrivarono gli anni Venti, e con loro la Catastrofe.


A quel punto si smise di parlarne.
Mentre intorno a noi il carbone finiva, il nucleare esplodeva e il solare diventava un’ipotesi pallida, si cominciò a studiare.
E si scoprì che era vero: le emozioni sono una fonte immensa di energia.
Negli anni Trenta cominciammo a estrarla.
 

Non ci voleva poi moltissimo, una volta messi a punto un paio di
meccanismi neurobiologici. Servivano un cavo robusto, due elettrodi, una
manciata di psicofarmaci, un accumulatore abbastanza simile a una
batteria per auto.
E un donatore.
 

All’inizio lo fecero in
segreto e i donatori li prendevano dai detenuti del braccio della morte,
quelli che aspettavano la lapidazione per aver ucciso, o per aver riso o
cantato nei tre giorni prima e dopo l’anniversario della Catastrofe.
Poi continuarono a farlo, ma non era più un segreto e lo facevano su tutti i detenuti, anche per peccati minori.
Alla fine non si parlò più di donatori ma di venditori. Chi voleva poteva mettere sul mercato la propria energia.
 

Chi voleva o meglio chi non poteva farne a meno, chi era in un
disperato in stato di necessità. Il che equivaleva a dire il 96,8 % per
cento della popolazione nazionale, secondo l’ultima rilevazione
effettuata dall’Istat prima che venisse soppressa e la sede saccheggiata
dai ladri di rame e dai cacciatori di legno, plastica e altri
combustibili.
 

L’estrazione si sbrigava in 7-8 minuti e quando il
donatore si alzava dal lettino non stava peggio né meglio di prima,
fisicamente. Ma gli mancava un pezzo. Il neurologo dell’agenzia delle
entrate gli aveva succhiato via (“accreditato”, si diceva) l’emozione
che il contribuente aveva deciso di monetizzare. A quel punto si poteva
passare in cassa e prendere i crediti. Cioè quelli che avanzavano una
volta devoluto il valore dell’emozione al pagamento delle imposte nuove e
di quelle arretrate. Spesso erano pochi spiccioli, ma potevano bastare
per tirare avanti qualche settimana.


Un tempo lo sapevano solo gli
spacciatori e gli impiegati del monte di pietà: quando hai finito tutto
qualcosa da vendere la trovi ancora, se sei abbastanza fuori di testa.
Io lo sono.
Mai stato così fuori di testa in vita mia.

Così fuori di testa che sorrido, mentre sto in fila davanti all’Ente
Estrazione Energie Emotive. Il vecchio davanti a me è così vecchio che
prima della Catastrofe era già nella merda e si era venduto la fede
nuziale. Oggi è venuto a vendere i ricordi del matrimonio.
 

Sul
lettino intanto c’è un prete. È venuto a vendersi un pompinetto. Il
primo. Glielo volevano pagare 10 crediti, ma quando ha spiegato che era
stato lui a farlo, sono saliti a 15: è sempre un’emozione forte, specie
per un sacerdote.
Dietro di me c’è una donna sui 30.
E dietro ancora un vecchio vecchissimissimo.
Piangono entrambi,
Lei venderà la nascita del figlio.
Lui lo scudetto del Cagliari. Quel giorno fece l’amore per la prima volta.


Intanto il prete è uscito e ha una faccia vuota e serena. Sembra che gliel’abbiano fatto a lui, questa volta, il coso.
E ha finito pure il vecchio che si è smemorato del matrimonio.


Tocca a me. E sorrido più che mai. Perché ho capito.


Pigliatevi tutto.
Prendetevi l’odore degli zampironi che babbo accendeva in terrazzo d’estate contro le zanzare.
Pigliatevi i mondiali dell’82.
Però l’urlo di Tardelli me lo pagate a parte.


Pigliatevi le interrogazioni.
Pigliatevi la prima sbronza.
Pigliatevi il primo schiaffo, l’odore dell’erba, il mare fuori stagione.
Pigliatevi i racconti della mia famiglia.
La Nutella.
Il pane frattau.
L’odore del burro cacao quando mi sono avvicinato alle sue labbra e mi ha detto di chiudere gli occhi.
Pigliatevi le bandiere e i fischietti, le lavagne e i gessetti, le corse in motorino. Gli scherzi. E i dispetti.


Vi sbanco, porca puttana, oggi vi sbanco.


Con quel che vendo mi resterà abbastanza per comprare tutto quello che mi serve.


Un fucile vecchio.
Una cartina dei boschi che sono ricresciuti qua attorno.
L’ultima copia dell’Isola del tesoro.
Ricomincio da qua.


Perché vi vendo tutta la mia paura.


Pigliatevi i pianti e la tosse, le corse, le masse.
Il solletico. 


Pigliatevi tutta la letteratura russa, da oggi me ne basta solo una riga.
L’ha scritta una pelato col pizzetto e mentre il cavo succhia già non ricordo più il nome.
La sua frase però mi resta.
Quella non ve la do perché è lei che mi fa sorridere da un’ora.


“Sarà il capitalismo a venderci la corda che useremo per impiccarlo”.
Succhiate tutto.
Da oggi sono un uomo libero.

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