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'Natura in bancarotta: un''altra economia nell'era dell'Antropocene'

Un quadro delle idee per salvare il pianeta con un nuovo approccio scientifico interdisciplinare, oltre il mito della crescita infinita [Gianfranco Bologna]

'Natura in bancarotta: un''altra economia nell'era dell'Antropocene'
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16 Maggio 2014 - 01.03


ATF

di Gianfranco Bologna.

La
messa a punto dei nuovi obiettivi per lo sviluppo sostenibile –
Sustainable Development Goals
(SDGs), che nell’agenda internazionale
sullo sviluppo prenderanno entro il 2015 il testimone dei Millennium
Development Goals (MDGs), sta avendo luogo in un momento storico
particolarmente significativo. La grave crisi economico-finanziaria che
dal 2008 sta attanagliando tanti paesi nel mondo e i cui effetti si
stanno riverberando praticamente ovunque dimostra che è molto difficile
mantenere, in un’ottica BAU (Business As Usual), l’attuale sistema
economico finanziario senza avviare rapidamente fondamentali correzioni
di rotta per migliorare il benessere e l’equità delle società umane.

Inoltre oggi, come abbiamo sempre documentato nelle pagine di questa
rubrica, le ricerche scientifiche sul cambiamento ambientale globale ci
dimostranoche le funzioni dei sistemi biofisici della Terra sono ormai
profondamentemodificate dalle attività umane a un livello tale che,
oltre ad essere paragonabili alle forze geofisiche che sin qui hanno
modificato l’evoluzione del nostro pianeta, stanno ponendo il nostro
pianeta addirittura in una nuova epoca della scala geocronologia (il
Geological Time Scale), l’Antropocene.

Da decenni la comunità scientifica internazionale che si occupa dei
cambiamenti globali e dei loro effetti sulle società umane stimola il
mondo politico ed economico affinché si agisca con urgenza per avviare
il mondo e i nostri modelli di sviluppo sulla strada di una
sostenibilità globale, che dovrebbe essere indicata già dagli SDGs.

Negli anni ‘80 del secolo scorso si sono andati strutturando
autorevolissimi programmi internazionali di ricerca dedicati proprio
all’analisi del citato Global Environmental Change (Gec), il cambiamento
ambientale globale, cioè lo studio della variabilità naturale che è la
base dei continui cambiamenti che hanno luogo nei sistemi naturali e
l’analisi del ruolo che il nostro intervento esercita su di essi.

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Queste
ricerche individuano le basi scientifiche necessarie a discernere la
variabilità indotta dall’intervento umano rispetto a quella esistente a
livello naturale.

Già nel 2001, con il patrocinio dell’ICSU
(International Council for Science, ICSU) i programmi di ricerca
internazionali sul cambiamento globale
, e cioè l’International Geosphere
Biosphere Programme (IGBP), l’International Human Dimensions of Global
Environmental Change Programme (IHDP), il World Climate Research
Programme (WCRP) e l’International Programme on Biodiversity Science
(definito Diversitas), nati più o meno tutti nell’arco degli anni
Ottanta, si sono riuniti in uno straordinario partenariato, l’Earth
System Science Partnership
(Essp), con l’obiettivo di coordinare le
ricerche dei migliori scienziati del mondo che si dedicano alle scienze
del sistema terra.

La crescente consapevolezza esistente sul cambiamento ambientale
globale ha condotto la più grande e autorevole organizzazione
scientifica mondiale, la già citata International Council for Science,
in collaborazione con l’International Social Science Council – che
riunisce gli studiosi di scienze sociali – ad avviare un programma
planetario di sostenibilità globale, definito Future Earth: research for global sustainability (che ha sostituito il programma Earth System Science Partnership e che è entrato nel vivo proprio nei primi mesi del 2014).

L’Aurelio Peccei Lecture 2014, organizzata dal Wwf e dal Club di
Roma, tenutasi lo scorso 29 aprile 2014, ha visto protagonisti Johan
Rockstrom
, uno degli scienziati più autorevoli sulle tematiche
dell’Earth System Science e Global Sustainability, lead author dei paper
sui Planetary Boundaries, direttore dello Stockholm Resilience Centre,
professore di Environmental Science all’Università di Stoccolma e Anders
Wijkman
, copresidente del Club di Roma, senior advisor dello Stockholm
Environment Institute e a lungo parlamentare europeo e già Policy
Director dell’United Nations Development Programme (UNDP).

Il tema della Lecture è stato “Natura in bancarotta, che è
anche il titolo del nuovo rapporto al Club di Roma, patrocinato dal Wwf,
di cui è stata presentata l’edizione italiana (a mia cura, pubblicata
da Edizioni Ambiente).

Herman E. Daly, professore emerito, Università
del Maryland, tra i fondatori e maggiori esperti mondiali di Ecological
Economics così si esprime su questo interessantissimo volume:

«La
crescita ha spinto la scala fisica dell’economia oltre i confini
planetari, diventando antieconomica, ossia una crescita che aumenta i
costi ambientali e sociali più velocemente di quanto aumenti i benefici,
rendendoci quindi più poveri, non più ricchi. Questo libro aiuterà i
cittadini, e forse anche i politici e gli economisti, a capire cosa sta
succedendo».

Johan Rockström e Anders Wijkman riprendono nel volume il concetto
dei “Planetary Boundaries” (i confini planetari al quale abbiamo
dedicato molti articoli su questa rubrica), che lo stesso Rockstrom con
altri 28 scienziati – tra i quali il premio Nobel per la chimica Paul
Crutzen
– ha individuato in apposite ricerche pubblicate sin dal 2009 e
nell’ambito del quale sono stati individuati i nove sistemi principali
che consentono al nostro pianeta di funzionare e sostentarci
, e per
ognuno di questi sistemi propongono un “confine” da non superare
rispetto alla pressione umana, se non vogliamo innescare retroazioni
pericolose.

I nove confini planetari sono rappresentati dal cambiamento
climatico
, dal tasso di perdita di biodiversità, dalla modificazione dei
cicli biogeochimici dell’azoto e del fosforo
, dalla riduzione della
fascia di ozono
stratosferico, dall’acidificazione degli oceani,
dall’uso globale di acqua dolce, dal cambiamento dell’uso dei suoli, dal
carico delle particelle atmosferiche di aerosol, dall’inquinamento
chimico
.

Purtroppo abbiamo già superato diversi questi confini
(cambiamento climatico, tasso di perdita di biodiversità e modificazione
dei cicli biogeochimici dell’azoto e del fosforo) ed è quindi urgente
una radicale trasformazione del sistema economico e produttivo.

L’obiettivo di questa trasformazione è quello di rafforzare la
resilienza
del pianeta
e la sua abilità nel continuare a garantirci uno
“spazio sicuro” (“a safe space”) per il benessere e lo sviluppo umano.

La sfida della sostenibilità non può essere risolta pensando
semplicemente nei limiti dell’attuale sistema economico.

Servono modelli
di business alternativi
e un’economia circolare che disaccoppi la
ricchezza e il benessere dal consumo delle risorse, e che assegni un
valore al capitale naturale affinché il deprezzamento delle risorse
della Terra e la perdita della biodiversità vengano tenute in conto nei
bilanci nazionali.

Serve un’economia circolare che sia basata sul risparmio, riuso,
riutilizzo
e riciclo e che si indirizzi verso l’eliminazione
dell’utilizzo dei combustibili fossili e promuova modelli economici che
incrementino le tasse sull’uso delle risorse sottraendole alla pressione
sul lavoro.

In numerosi settori i modelli di business devono passare dalla
vendita di prodotti all’offerta di servizi
.

Ci sono molti modi per
avviare la transizione globale verso la sostenibilità, ma queste azioni,
da sole, non bastano.

Nell’Antropocene, il periodo geologico nel quale
gli esseri umani sono diventati la forza geofisica più importante sulla
Terra (e che si ritiene sia stato avviato dalla Rivoluzione industriale
ad oggi quindi da meno di tre secoli fa, un vero e proprio battito di
ciglia nella storia del nostro pianeta che data ben 4.6 miliardi di
anni), dobbiamo adottare strategie di “custodia del pianeta” che si
costruiscono tanto lasciando spazio alle iniziative “dal basso” quanto
attraverso un’efficace governance “dall’alto”.

Si tratta di una combinazione necessaria che è anche il solo possibile percorso verso il futuro.

Anders Wijkman scrive:

«La politica continua a essere dominata da
visioni ristrette e miopi
. Dalla mia prospettiva, l’attuale sistema
politico è male equipaggiato per affrontare molti dei problemi complessi
che stanno di fronte alle nostre società. Non è automatico che il
sistema economico, che bene ha fatto negli anni successivi alla Seconda
guerra mondiale, sia adatto per un mondo complesso e globalizzato come
il nostro. La tensione tra lavoro e capitale – la principale divisione
politica nel Novecento – è ancora molto rilevante. Ma sono emerse molte
altre questioni importanti, e i partiti politici si sono dimostrati
spaventosamente incapaci di risolverle. Soprattutto, è carente
l’approccio alle questioni della globalizzazione: il mondo è
strettamente interconnesso, le dipendenze reciproche tra le nazioni si
fanno più profonde. Eppure, in molti paesi il dibattito politico è
dominato dalle questioni nazionali.

È sempre più chiaro che la struttura dello stato-nazione è inadeguata
per gestire un numero crescente di questioni
. […] La deregulation dei
mercati finanziari degli anni Ottanta ha ridotto enormemente il
controllo dei governi sull’economia. Il settore finanziario è gravemente
carente quando si tratta di valutare come viene creato il nuovo credito
e quando deve conteggiare i rischi ambientali del proprio operato. I
rischi vengono scaricati sulla società
: basta guardare a come si sono
svolte le cose in occasione della crisi finanziaria del 2008 e, più di
recente, di quella dell’euro. Un altro fattore è il mito della crescita
infinita
e la riluttanza ad ammettere che dobbiamo ridefinire sia gli
obiettivi dell’economia sia i modi in cui essa è strutturata.

Di solito,
i partiti politici hanno un solo modo di pensare allo sviluppo: la
crescita materiale
. Non vogliono ammettere che a causa del cambiamento
climatico, del degrado ambientale e dell’esaurimento delle risorse, non
potremo continuare a vivere come abbiamo fatto finora. Ma la crescita
infinita non è sostenibile né per il clima né per gli ecosistemi. […]
Ecco allora il dilemma che i partiti politici faticano persino ad
ammettere, figuriamoci a discutere. Oggi nessuno si aspetta una
soluzione, ma il fatto che praticamente non ci sia nessun politico che
nemmeno osa sollevare la questione dà la misura di quanto siano
stagnanti i partiti».

Johan Rockstrom scrive: «Il divario tra ciò che secondo la scienza è
necessario e ciò che la società fa concretamente è
una delle spiegazioni
del mio impegno a comunicare, al meglio delle mie possibilità e a volte
anche con una testardaggine un po’ folle, quello che so dello stato
attuale della conoscenza scientifica sui rischi ambientali a cui siamo
esposti. Talvolta questo atteggiamento viene definito “apocalittico”. Io
la vedo esattamente al contrario, cioè come un fatto estremamente
positivo che, grazie ai progressi scientifici, siamo ora consapevoli
delle molte minacce che il nostro modo di gestire l’economia pone al
nostro benessere. Sappiamo dove sono gli scogli e possiamo evitarli.
Fino a poco tempo fa eravamo come Colombo, ciechi in un oceano infinito e
certi della crescita infinita. Adesso sappiamo che il pianeta è un
arcipelago intricato, dove l’abilità nella navigazione è fondamentale
per non fare affondare la nave.[…] Evidenziare i rischi dei compromessi
tra scienza e società è uno dei cardini del mio lavoro. Non sono però un
ingenuo, e so che il compromesso è la linfa della politica e della
leadership. Detto questo, dobbiamo essere cristallini a proposito dei
rischi
a cui andiamo incontro quando scendiamo a patti con la scienza.

D’accordo, potreste dire, ma la scienza non è mai unanime, e non
sapremo mai in cosa “credere” (come se fosse una questione di fede). È
vero, la scienza non ha e non avrà mai una risposta definitiva su
questioni complesse come la sensitività al raddoppio dei gas serra. È
nella natura dell’impresa scientifica che ci siano incertezze, e che gli
scienziati cerchino costantemente di affinare le proprie conoscenze. Ma
è così che vanno le cose, in qualunque cosa facciamo. Non sappiamo cosa
ci aspetta dietro l’angolo, o come i mercati, gli esseri umani e le
innovazioni tecnologiche risponderanno a una realtà in costante
cambiamento (e che, a loro volta, contribuiscono a modificare).

Ciononostante, la scienza dipinge un quadro sempre più nitido dei
rischi che abbiamo di fronte. Grazie a valutazioni scientifiche globali,
come quelle fornite dall’IPCC e dal Millennium Ecosystem Assessment,
abbiamo raggiunto un livello di conoscenze tale da supportare le nostre
azioni come abitanti di questo pianeta. Nessuno dovrebbe contestare ciò,
eppure fino a oggi non siamo riusciti a fare ciò che è necessario per
ridurre i rischi; al contrario, abbiamo subito le lusinghe del
compromesso e della visione a breve termine. Mi trovo ad affrontare
questo dilemma ogni volta che parlo con leader politici, uomini
d’affari, i media e le persone comuni. […] La seconda sfida con cui (io e
molti altri miei colleghi) continuiamo a confrontarci è quella
dell’urgente necessità di adottare una prospettiva sistemica e un
approccio integrato per risolvere i complessi problemi che affliggono
oggi l’umanità
. La mia carriera scientifica è cominciata all’Università
della Svezia di Scienze agricole, dove, come studente di agronomia, mi
resi conto che la divisione in compartimenti stagni tra le discipline
scientifiche avrebbe impedito la soluzione dei problemi del mondo reale.
Era (ed è tuttora) il caso dei problemi dell’ambiente.

Per troppo tempo, la sostenibilità è stata considerata materia
esclusiva per ecologi, biologi, botanici, zoologi, con la conseguenza
che le scienze naturali si sono concentrate su un ambito piuttosto
ristretto del complesso – e altamente interconnesso – Sistema Terra. In
più, le ricerche sui sistemi viventi della biosfera sono state separate
da quelle sulle risorse naturali (di cui si occupa la geologia) e da
quelle che cercano di spiegare i meccanismi di funzionamento del pianeta
(come quelle sulla fisica del sistema climatico o quelle sulla chimica
degli oceani, dei suoli e dell’atmosfera). In effetti, ci sono alcuni
approcci interdisciplinari, come quello delle ricerche sulla
biogeochimica, ma ancora non siamo riusciti a comprendere insieme i
processi biologici e fisici del pianeta, che interagiscono tra di loro e
alla fine determinano la stabilità del nostro pianeta. Solo per fare un
esempio: in che modo gli ecosistemi influenzano il clima? Si tratta di
un ostacolo rilevante: abbiamo strutturato la ricerca e le università in
un modo che non corrisponde a quello in cui funziona la realtà. Non
possiamo sperare di risolvere i problemi ambientali come il cambiamento
climatico con un approccio come quello odierno, con discipline
scientifiche frammentate e isolate
. In realtà, le ricerche dovrebbero
mirare a una comprensione sistemica il più ampia possibile.

Ancora peggio, nonostante una conoscenza sempre più approfondita dei
modi in cui funziona il nostro pianeta, non stiamo in realtà facendo
nessun progresso scientifico in direzione di un futuro più sostenibile.
Abbiamo bisogno di una scienza interdisciplinare che si focalizzi sulla
risoluzione dei problemi
. Giorno dopo giorno, ci sono sempre più studi
che cercano di integrare scienze sociali, studi umanistici e scienze
naturali, ma rimane un sacco di lavoro da fare. Dirigo due
organizzazioni di ricerca ambientale multidisciplinare – lo Stockholm
Environment Institute e lo Stockholm Resilience Centre – e in entrambi i
casi devo faticare per trovare e assumere scienziati che comprendano
appieno le dimensioni sociali del loro lavoro, o economisti, politologi,
antropologi, filosofi che capiscano appieno le dinamiche complesse del
sistema biochimico del nostro pianeta. Siamo a un passaggio cruciale
della storia dell’umanità: è ora di ammettere che la scienza, in base
alla quale vengono prese molte delle decisioni che cambieranno il corso
dello sviluppo umano, non si basa su soluzioni sistemiche.

Questo perché la scienza e l’università sono bloccate in uno status quo disciplinare vecchio di secoli e ormai obsoleto».

Fonte: http://www.greenreport.it/news/economia-ecologica/natura-in-bancarotta-verso-nuove-regole-delleconomia-nellera-dellantropocene/.

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