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Gli Usa vogliono affossare l'Argentina

'Scontro giudiziario esemplare fra il diritto argentino e il diritto USA che sostiene la finanza speculativa internazionale. All''esito guarda il mondo intero'

Gli Usa vogliono affossare l'Argentina
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20 Giugno 2014 - 11.25


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di Alessia Lai.

Non stupisce la decisione, presa
lunedì dalla Corte Suprema statunitense, di respingere il ricorso del
governo di Buenos Aires contro una sentenza che imponeva il pagamento di
1,3 miliardi di dollari più interessi agli obbligazionisti non
ristrutturati, quelli cioè che non avevano accettato i termini della
ristrutturazione del debito argentino del 2005 e del 2010. Si tratta,
infatti, di creditori che avevano speculato sul default argentino del
2001, i cosiddetti “fondi avvoltoio” che acquistarono a prezzi
stracciati i titoli di stato di Buenos Aires rastrellandoli a cifre
irrisorie.

Parliamo non di piccoli risparmiatori, che in grandissima parte hanno
accettato le due ristrutturazioni proposte da Buenos Aires, ma di fondi
speculativi che hanno messo in atto un’operazione già andata in porto
in altre occasioni. Il fondo NML Capital del miliardario statunitense
Paul Singer cerca di ottenere un risultato simile a quelli raggiunti
anni addietro in Perù e in Congo. Nel primo caso, per alcuni buoni in
default acquisiti per 11,4 milioni, il fondo ottenne 58 milioni e per
quanto riguarda il paese africano riuscì a convertire – mediante forti
pressioni – un debito comprato a 20 milioni di dollari in un pagamento
di 90 milioni.

L’Argentina non intende fare lo stesso, lo ha detto e ribadito in una
lotta che va avanti da 12 anni. Dopo la sentenza di lunedì, il caso
tornerà in tribunale e, soprattutto, tornerà nelle mani di Thomas
Griesa, giudice che ha già condannato due volte l’Argentina a pagare
quanto richiesto dai fondi speculativi statunitensi. La “presidenta”
argentina, Cristina Fernandez de Kirchner, ha definito «un’estorsione»
l’annuncio della Corte Suprema americana e, a caldo, ha ribadito che il
governo porterà avanti «tutte le strategie necessarie affinché chi ha
avuto fiducia nel paese riceva i propri soldi», riferendosi a quel 92,4
percento dei creditori post default che hanno accettato la
rinegoziazione dei tango bond.

Tuttavia le notizie che sono arrivate qualche giorno dopo, mercoledì,
delineano un quadro complicato: il Ministero dell’Economia argentino ha
rilasciato infatti una dichiarazione in cui si afferma che è
«impossibile» effettuare il pagamento del debito relativo al 30 giugno –
tranche destinata ai creditori che hanno accettato la ristrutturazione –
in quanto la Corte statunitense ha revocato la misura precauzionale che
aveva permesso al governo argentino di non compiere i pagamenti in
sospeso ai “fondi avvoltoio” che non avevano accettato le
ristrutturazioni offerte nel 2005 e nel 2010. Questo perché non sono
state accolte le due istanze presentate da Buenos Aires alla Corte
Suprema Usa: la prima sosteneva che non si può considerare un paese
colpevole di non ottemperare alla clausola del pari passu – che
richiede la parità di trattamento dei creditori – se questo effettua
periodici pagamenti degli interessi a coloro che hanno accettato la
ristrutturazione mentre non paga nulla a coloro che l’hanno respinta
(dalla prima ristrutturazione, nel 2005, l’Argentina ha sempre onorato i
suoi impegni con coloro che hanno accettato il cambio).

La seconda istanza contestava la possibilità per un tribunale
distrettuale come la corte di New York, di ordinare la disponibilità di
beni di un paese quando questi sono coperti dalla legge di immunità
sovrana. Thomas Griesa, infatti, aveva ordinato che il denaro usato da
Buenos Aires per pagare gli obbligazionisti che avevano accettato la
ristrutturazione venissero sequestrati e girati ai fondi creditori.

Ora, con il rifiuto della Corte di accogliere il ricorso argentino, è
stata di fatto accolta la sentenza che ha beneficiato i “fondi
avvoltoio” e questo significa che entra in vigore l’ordine di pagamento
ai fondi speculativi disposta da Griesa. Il Ministero dell’Economia ha
ribadito che l’Argentina è disposta a cancellare un debito ristrutturato
in linea con le norme del diritto argentino, tuttavia, la decisione
statunitense impedisce di farlo senza pagare anche i creditori
“avvoltoio”. La conferma è arrivata dal capo di gabinetto argentino,
Jorge Capitanich, il quale ha affermato che: «La revoca della
sospensione pone un problema in quanto impedisce all’Argentina di
eseguire il pagamento della prossima trance di debito, il 30 giugno, a
meno che non vengano pagati contemporaneamente anche i “fondi
avvoltoio”». Capitanich ha aggiunto che il giudice americano Thomas
Griesa, con la sua decisione introduce un’alterazione di tutte le
condizioni di ristrutturazione, generando profitti fino al 608.000 per
cento a un creditore che non era titolare del debito originario, ma il
pericolo più grande sarebbe in realtà la richiesta di trattamento
paritario, che potrebbe raggiungere i 30 miliardi di dollari, da parte
del resto degli obbligazionisti: il 93% dei creditori, quelli che hanno
accettato la conversione del debito, potrebbe infatti rivendicare il
pieno pagamento sulle sue obbligazioni in virtù della clausola di pari passu.
Da anni, il governo argentino continua a esplorare tutte le istanze
giudiziali possibili mentre, parallelamente, continua a proporre la
rinegoziazione cercando di ottenere il rientro dei bond oggi in mano
agli speculatori. Nel maggio del 2013 la procuratrice generale
dell’Argentina, Alejandra Gils Carbó, aveva raccomandato alla Corte
Suprema argentina di respingere la sentenza del giudice statunitense
Thomas Griesa in base alle norme del diritto argentino.

Insomma, al di là delle risoluzioni adottate dalle Corti
nordamericane, la giustizia argentina e in particolare la Corte suprema,
ha gli strumenti per affiancare la strategia di rinegoziazione del
debito del governo. «Così come stabilito dal nostro ordinamento,
così come nei trattati internazionali e nel diritto comparato, il
giudice nazionale può controllare che la decisione straniera non metta a
repentaglio l’ordine pubblico
», aveva affermato la Carbó citando
l’articolo 517 del CPCC, Código Procesal Civil y Comercial de la Nación,
il quale stabilisce che il riconoscimento della forza esecutiva di una
sentenza straniera è subordinato al fatto che questa «non pregiudichi i principi dell’ordine pubblico del diritto argentino». Per la procuratrice, insomma, «la
prerogativa del governo argentino di ristrutturare il suo debito di
fronte ad una situazione di emergenza estrema attiene all’ordine
pubblico locale e alla sovranità dello Stato: sono gli organi
rappresentativi del Governo designato per la Costituzione Nazionale – e
non un creditore individuale, o un tribunale straniero – a stabilire le
politiche pubbliche
». Un concetto ribadito a distanza di un anno da
Jorge Capitanich, che ha notato come «il provvedimento del giudice
Griesa, tecnicamente incorre nei limiti dello Stato argentino».
Capitanich ha aggiunto che l’Argentina è disposta a cancellare il debito
mantenendo gli impegni assunti con la Banca Interamericana di Sviluppo,
la Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale, e altre agenzie
economiche.

Tuttavia gli attori in campo, in un’economia globale come quella
attuale, sono le grandi entità finanziarie, i fondi speculativi capaci
di mettere in ginocchio intere nazioni con le loro manovre. Entità per
la grande maggioranza statunitensi, che godono di legami stretti con i
governi nordamericani. Occorre ricordare che negli ultimi mesi
l’Argentina, un paese risollevatosi da un default causato dalle
politiche iperliberiste dei governi filo-Usa e che negli anni recenti
aveva registrato una importante crescita economica, è stata vittima di
attacchi speculativi sul peso che hanno indebolito la moneta nazionale e
fatto impennare il valore del dollaro al mercato nero. A fine dello
scorso gennaio il ministro dell’Economia Axel Kicillof, in un’intervista
al quotidiano Pagina 12, denunciava il tentativo di alcuni settori
finanziari e dell’economia argentina che indebolendo la moneta nazionale
cercavano di «destabilizzare il governo». In quegli stessi giorni il
finanziere Paul Singer, il proprietario del fondo avvoltoio MNL Capital
beneficiato lunedì dalla sentenza della Corte Suprema Usa, affermava che
la tempesta finanziaria che si stava abbattendo su Buenos Aires era
frutto delle politiche «orrende» del governo e si augurava che la
situazione imponesse al governo una serie di misure fra cui «l’accordo
con i suoi creditori».

A distanza di pochi mesi, la sentenza statunitense ha l’effetto di
esporre ancora una volta Buenos Aires agli attacchi del mondo
finanziario: il Fondo Monetario Internazionale (Fmi) – liquidato e
cacciato dall’Argentina dal presidente Nestor Kirchner – si è detto
«preoccupato» per le potenziali ripercussioni «maggiori» che la sentenza
potrebbe avere sul sistema finanziario. E puntuale, l’agenzia di rating
Standard & Poor’s ha tagliato il rating dell’Argentina a CCC- da
CCC+ evidenziando, con il downgrade, i maggiori rischi di default sul
debito argentino in valuta estera. Pochi giorni fa, appresa la notizia
della sentenza della Corte statunitense, la “presidenta” Cristina
Kirchner ha affermato di non essere stata sorpresa dalla decisione,
precisando che quello che l’Argentina affronta di questi tempi «non è un
problema finanziario o giuridico, ma riguarda un modello di business a
scala globale» che potrebbe portare a «tragedie inimmaginabili». La
lotta di Buenos Aires contro la finanza speculativa va avanti…

Fonte: http://spondasud.it/2014/06/usa-versus-argentina-disputa-pagamento-dei-fondi-avvoltoio-2608.

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