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L”età della depressione/La miscela
esplosiva contemporanea: un modello che mescola declino economico e
speculazioni della finanza, una produzione ridotta all”osso controllata
dalle grandi imprese, una società disuguale, frammentata e disorientata.
Pubblichiamo stralci della lezione di Joseph Stiglitz tenutasi alla
Camera il 23 settembre
Non ho bisogno spiegare quanto sia drammatica la
situazione economica in Europa, e in Italia in particolare. L”Europa è
in quella che può definirsi una «triple dip recession», con il reddito
che è caduto non una, ma tre volte in pochi anni, una recessione
veramente inusuale. Così l”Europa ha perso la metà di un decennio: in
molti paesi il livello del Pil pro capite è inferiore a quello del 2008,
prima della crisi; se si estrapola la serie del Pil europeo sulla base
del tasso di crescita dei decenni passati, oggi il Pil sarebbe del 17%
più alto: l”Europa sta perdendo 2000 miliardi di dollari l”anno rispetto
al proprio potenziale di crescita.
Oggi abbiamo a disposizione
una grande quantità di dati sull”impatto delle politiche di austerità in
Europa. I paesi che hanno adottato le misure più dure, ad esempio chi
ha introdotto i maggiori tagli al proprio bilancio pubblico, hanno avuto
le performance peggiori.
Non solo in termini di Pil, ma anche in
termini di deficit e debito pubblico. Era un esito previsto e
prevedibile: se il Pil decresce anche le entrate fiscali si riducono e
questo non può far altro che peggiorare la posizione debitoria degli
stati.
Tutto ciò avviene non perché questi paesi non abbiano
realizzato politiche di austerità , ma proprio perché le hanno seguite.
In molti paesi europei siamo di fronte non a una recessione, ma a una
depressione.
La Spagna, ad esempio, può essere descritta come un
paese in depressione se si guardano gli impressionanti dati sulla
disoccupazione giovanile di quel paese. La disoccupazione media è al 25%
e non ci sono prospettive di miglioramento per il prossimo futuro
(…).
Quali sono le cause? Devo dirlo con molta franchezza:
l”errore dell”Europa è stato l”euro. Quando faccio questa affermazione
voglio dire che l”Euro è stato un progetto politico, un progetto voluto
dalla politica. Robert Mundell, premio Nobel per l”economia, sosteneva
fin dall”inizio che l”Europa non presentava le caratteristiche di
un”«area valutaria ottimale», adatta all”introduzione di un”unica moneta
per più paesi. Ma a livello politico si riteneva che la moneta unica
avrebbe reso l”Europa più coesa, favorendo l”emergere delle
caratteristiche proprie di un area valutaria ottimale. Questo non è
successo; l”euro, al contrario, ha contribuito a dividere e frammentare
l”Europa.
Gli errori concettuali
Vediamo gli errori
concettuali alla base del progetto dell”euro (…). Quando si crea
un”area monetaria si vanno ad eliminare due meccanismi di aggiustamento,
i tassi di cambio e i tassi di interesse. Gli shock sono inevitabili e
in assenza di meccanismi di aggiustamento si va incontro a lunghi
periodi di disoccupazione. I 50 stati federati degli Usa hanno un
bilancio unitario a livello federale e due terzi della spesa pubblica
negli Stati Uniti sono a livello federale. Quando uno stato come la
California ha un problema, può contare ad esempio sull”assicurazione
pubblica contro la disoccupazione, che è finanziata da fondi federali.
Se una banca in California è in crisi, viene attivato un fondo di
emergenza anch”esso dotato di risorse federali. Un”altra differenza di
fondo tra gli stati che compongo gli Usa e quelli dell”Unione Europea è
che nessuno negli Stati Uniti si preoccuperebbe per lo spopolamento del
Sud Dakota a seguito di una crisi occupazionale, anzi, l”emigrazione è
vista come un meccanismo fisiologico. Ma in Europa un”emigrazione come
quella che ha caratterizzato la componente più giovane e istruita della
popolazione del sud Europa – dove la disoccupazione giovanile è a
livelli elevatissimi ha effetti negativi di impoverimento di quei paesi,
con tensioni sociali e frantumazione delle famiglie. Sono costi sociali
che non sono calcolati dal Pil. Tutto ciò era stato in qualche modo
previsto nel momento in cui si è deciso di introdurre l”euro (…).
Quali
altri errori sono stati compiuti? Innanzi tutto l”idea che le cose si
sarebbero risolte se i paesi avessero mantenuto un basso rapporto tra
deficit o debito pubblico e Pil. È l”idea che sta dietro al Fiscal
compact. Ma non cӏ nulla nella teoria economica che offra un sostegno
ai criteri di convergenza adottati in Europa. Anzi, la realtà ci mostra
come quei criteri fossero sbagliati: Spagna e Irlanda avevano un
bilancio pubblico in avanzo prima del 2009, non avevano sprecato
risorse. Eppure hanno avuto delle crisi gravissime. Il debito ed il
disavanzo di questi paesi si sono creati successivamente, per effetto
della crisi, e non viceversa. Il fatto di aver introdotto un Fiscal
compact che impone vincoli ferrei al disavanzo e al debito non risolverÃ
i problemi, né aiuterà a prevenire la prossima crisi.
Un altro
elemento che non è stato valutato appieno è che quando un paese si
indebita in euro, piuttosto che in una moneta emessa dal paese che
contrae il debito, si creano automaticamente le condizioni per una crisi
del debito sovrano. Il rapporto debito/Pil negli Stati Uniti è analogo a
quello europeo ma gli Usa non avranno mai una crisi del debito sovrano
come quella che ha investito l”Europa. Perché? Perché l”America si
indebita in dollari, e quei dollari verranno sempre rimborsati perché il
governo degli Stati Uniti può stampare i propri dollari. La crisi che
ha colpito i debiti sovrani di numerosi paesi europei negli ultimi anni è
simile a quanto ho visto molte volte quando ero capo economista della
Banca Mondiale: paesi come l”Argentina o l”Indonesia hanno vissuto
profonde crisi causate proprio dal fatto che si erano indebitati in
valute che non potevano controllare. Quando questo avviene cӏ sempre il
rischio di una crisi del debito, e in Europa le condizioni per questo
tipo di crisi sono state create con l”introduzione dell”euro. L”unica
soluzione possibile nell”attuale situazione europea è piuttosto semplice
e si chiama Eurobond. Tuttavia, sembrano esserci ostacoli politici a
questa soluzione che la rendono impraticabile, ma questa sembra l”unica
via d”uscita logica.
Inoltre, con l”euro si è creato un sistema
fondamentalmente instabile. L”obiettivo iniziale era quello di favorire
la convergenza tra gli stati europei, attraverso la disciplina fiscale
dei paesi membri. Il sistema che è stato creato in realtà produce
divergenza. Il mercato unico, la libera circolazione dei capitali in
Europa sembrava essere la strada verso una maggiore efficienza
economica. Ma non ci si rese conto del fatto che i mercati non sono
perfetti. Negli anni ottanta c”erano alcuni economisti convinti del
perfetto funzionamento dei mercati, mentre oggi siamo consapevoli delle
innumerevoli imperfezioni che li caratterizzano. Ci sono imperfezioni da
lato della concorrenza, imperfezioni sul versante del rischio e
dell”informazione. I mercati non sono quelli descritti dai modelli
economici semplificati (…).
L”insistenza sulle riforme strutturali
Oggi
si insiste molto sulle riforme strutturali che i singoli stati
dovrebbero introdurre (…) Quando si sente la parola riforma si è
portati a pensare a qualcosa dagli esisti sicuramente positivi, ma sotto
quest”etichetta possono nascondersi misure dagli esiti profondamente
negativi. Le riforme strutturali in realtà sono quasi tutte viste dal
lato dell”offerta, con obiettivi come l”aumento dell”offerta o della
produttività . Ma, è realmente questo il problema dell”Europa e
dell”economia globale? No. I problemi oggi sono legati a una debolezza
della domanda, non dell”offerta. Le riforme strutturali sbagliate
aggraveranno, attraverso la riduzione dei salari o l”indebolimento degli
ammortizzatori sociali, la debolezza della domanda aggregata, con ovvie
conseguenze su disoccupazione e dinamica macroeconomica. E” necessario
anche riflettere sul momento in cui si possono adottare tali riforme.
Senza scendere nel merito delle riforme del mercato del lavoro nei
diversi paesi europei, vorrei farvi notare che i paesi caratterizzati da
un mercato del lavoro fortemente flessibile non hanno evitato le gravi
conseguenze della crisi. Gli Stati uniti erano apparentemente il paese
con il mercato del lavoro più flessibile, ma hanno avuto una
disoccupazione al 10%. E anche oggi, quando viene propagandata la grande
ripresa dell”economia statunitense, con una disoccupazione ridotta al
6%, bisogna pensare che cӏ una fetta della popolazione americana
sfiduciata al punto tale da aver smesso di cercare un”occupazione. Il
tasso di disoccupazione reale degli Stati Uniti è attorno al 10% (…).
Che
cosa dovrebbe dunque fare l”Europa? Sembra veramente difficile che si
possa risolvere la crisi intervenendo con riforme nei singoli paesi
senza riformare la struttura dell”eurozona nel suo complesso. Su alcuni
di questi interventi strutturali sembrerebbe esserci un discreto
consenso.
In primo luogo, una vera Unione bancaria, fatta di
vigilanza e di assicurazione comune sui depositi, faciliterebbe la
risoluzione congiunta delle crisi. Si tratta di misure urgenti, e
l”urgenza è data dai numerosi fallimenti di imprese e banche, che
possono danneggiare seriamente le prospettive di crescita future.
In
secondo luogo, è necessario un meccanismo federale di bilancio in
Europa che potrebbe prendere, ad esempio, la forma degli Eurobond, una
soluzione pratica e facile che consentirebbe all”Europa di utilizzare il
debito in funzione anticiclica, come hanno fatto gli Stati Uniti in
questi anni. Se l”Europa potesse indebitarsi a tassi di interesse
negativi come stanno facendo gli Stati Uniti potrebbe stimolare molti
investimenti utili, rafforzare l”economia e creare occupazione. E i
soldi che oggi vengono spesi per il servizio del debito dei singoli
paesi potrebbero essere utilizzati per politiche di stimolo alla
crescita.
In terzo luogo, l”austerità va abbandonata e va
adottata una strategia articolata di crescita. I paesi europei sono
molto diversi tra loro, ad esempio in termini di produttività . Sono
dunque necessarie politiche industriali che favoriscano la crescita
della produttività nei paesi più deboli, ma tali politiche sono precluse
dai vincoli di bilancio imposti agli stati membri. Un ostacolo
ulteriore è rappresentato dalla politica monetaria. Negli Stati Uniti la
Federal Reserve ha un mandato articolato su quattro obiettivi:
occupazione, inflazione, crescita e stabilità finanziaria. Oggi il
principale obiettivo della Federal Reserve è l”occupazione, non
l”inflazione. Al contrario la Banca Centrale Europea ha come unico
mandato l”inflazione, si concentra unicamente sull”inflazione. Questo
viene da un”idea che era molto di moda, benché non comprovata da alcuna
teoria economica, quando lo Statuto della BCE è stato redatto. L”idea
consisteva nel considerare la bassa inflazione come l”elemento di traino
fondamentale e quasi esclusivo per la crescita economica. Nemmeno il
Fondo Monetario Internazionale condivide più questa convinzione, ma
l”Europa non sembra in grado di abbandonarla. Questa politica monetaria
sbagliata, può produrre e sta producendo conseguenze economiche gravi.
Se gli Stati Uniti mantengono bassi i loro tassi di interesse per
stimolare la creazione di nuovi posti di lavoro, mentre in Europa i
tassi continuano a mantenersi più elevati, in una logica
anti-inflazionistica, questo favorisce l”afflusso di capitali e
l”apprezzamento dell”euro. E questo, ovviamente, rende ancora più
difficile esportare le merci europee con un evidente impatto negativo
sulla crescita. Quando gli Stati uniti hanno cominciato ad adottare un
politica monetaria fortemente espansiva ricorrendo al «Quantitative
easing», l”esito positivo di questa politica è stato facilitato dal
fatto che l”Europa non ha fatto lo stesso.
Patologie Usa e Ue
Se
l”Europa avesse abbassato i propri tassi di interesse nello stesso modo
in cui l”ha fatto la Federal Reserve, la ripresa negli Stati Uniti
sarebbe arrivata molto più lentamente. Il paradosso, dunque, è che gli
Stati Uniti dovrebbero ringraziare l”Europa per aver aiutato la ripresa
dell”economia americana tramite le sue politiche monetarie sbagliate. Ci
sono altri aspetti da considerare. Viviamo oggi in un economia
fortemente legata all”innovazione tecnologica e alla conoscenza. Ma per
favorire l”innovazione sono necessari investimenti costanti e di grandi
dimensioni in comparti come l”istruzione e le infrastrutture. Si tende a
pensare agli Stati Uniti come a un”economia innovativa. Questo è vero,
ma è necessario ricordare negli Stati Uniti le innovazioni più
importanti, come Internet ad esempio, sono state sostenute e finanziate
attivamente dal governo. C”è stata una politica attiva dell”innovazione.
Quando ero a capo del Gruppo dei consiglieri economici della Casa
bianca, verificammo che i benefici degli investimenti pubblici in
innovazione erano superiori a quelli prodotti dagli investimenti
privati. Si tratta di esempi di politiche attive per la crescita che
avrebbero effetti molto positivi e che vanno in una direzione opposta a
quella del rigore che sta strangolando l”Europa.
Infine, dobbiamo
renderci conto che sia l”economia europea che quella statunitense erano
affette da un patologia ancor prima dell”esplosione della crisi. Fino
al 2008 l”economia europea e quella americana erano sostenute da una
bolla speculativa che interessava principalmente il settore immobiliare.
In assenza di quella bolla si sarebbero visti tassi di disoccupazione
molto più elevati. Ovviamente non vogliamo tornare a una crescita
fondata su bolle speculative (…). È necessario comprendere, dunque,
quali sono i problemi di fondo che colpivano le nostre economie giÃ
prima della crisi e che, oltre a non essere stati affrontati sino ad
oggi, sono peggiorati durante la recessione. Il primo problema sono le
disuguaglianze crescenti nelle nostre società . La crisi ha contribuito
ad aumentarle ovunque, negli Stati uniti i benefici della ripresa sono
andati quasi completamente all”1% più ricco della popolazione. Negli Usa
il valore del reddito mediano (quello che vede metà degli americani con
redditi più alti e l”altra metà con redditi inferiori) al netto
dell”inflazione è oggi più basso di 25 anni fa. Questo fa sì che la
famiglia americana media non abbia soldi da spendere e, di conseguenza,
la domanda aggregata rimane debole. Il secondo elemento è legato alla
necessità di una trasformazione strutturale verso l”economia della
conoscenza. Una trasformazione che i mercati non sono in grado di
gestire. Il ruolo di guida e di stimolo di tali trasformazioni
dev”essere esercitato dei governi i quali, a causa della crisi attuale,
non hanno in alcun modo svolto questo compito (…)
La politica
industriale sarà senz”altro uno degli strumenti fondamentali per uscire
da questa situazione. È necessario un Fondo europeo per la
disoccupazione e un Fondo europeo per le piccole imprese, investimenti
che vadano molto oltre quello che fa oggi la Banca europea degli
investimenti.
Oltre alle cose che andrebbero fatte vi sono, però,
anche cose che non vanno fatte. Per quanto riguarda il mercato del
lavoro, ho già detto che maggiore flessibilità non aiuterà a risolvere i
problemi attuali, anzi li aggraverà aumentando le disuguaglianze e
deprimendo ulteriormente la domanda. La situazione italiana, ad esempio,
vede già presente un elevato grado di flessibilità ; aumentarla ancora
indebolirebbe l”economia senza portare vantaggi. Bisogna essere molo
cauti.
Cosa non bisogna fare
Un”altra cosa che
l”Europa non deve fare è sottoscrivere il Trattato transatlantico sul
commercio e gli investimenti (Ttip). Un accordo di questo tipo potrebbe
rivelarsi molto negativo per l”Europa. Gli Stati Uniti, in realtà , non
vogliono un accordo di libero scambio, vogliono un accordo di gestione
del commercio che favorisca alcuni specifici interessi economici. Il
Dipartimento del Commercio sta negoziando in assoluta segretezza senza
informare nemmeno i membri del Congresso americano. La posta in gioco
non sono le tariffe sulle importazioni tra Europa e Stati uniti, che
sono già molto basse. La vera posta in gioco sono le norme per la
sicurezza alimentare, per la tutela dell”ambiente e dei consumatori in
genere. Ciò che si vuole ottenere con questo accordo non è un
miglioramento del sistema di regole e di scambi positivo per i cittadini
americani ed europei, ma si vuole garantire campo libero a imprese
protagoniste di attività economiche nocive per l”ambiente e per la
salute umana. La Philip Morris ha fatto causa contro l”Uruguay perché
l”Uruguay vuol difendere i propri cittadini dalle sigarette tossiche. La
Philip Morris nel tentativo di contrastare le misure adottate in
Uruguay per tutelare i minori o i malati dai rischi del fumo si è
appellata proprio ai quei principi di libero scambio che si vorrebbero
introdurre con il Ttip. Sottoscrivendo un accordo simile l”Europa
perderebbe la possibilità di proteggere i propri cittadini. Questo tipo
di accordi, inoltre aggravano le disuguaglianze e, in una situazione
come quella europea, rischierebbero di approfondire la recessione.
Si può ancora aspettare?
L”Europa
può ancora permettersi di aspettare? Se non si cambia la struttura
dell”eurozona, se l”Europa continua sulla strada attuale, si candida a
perdere un quarto di secolo, dovete esserne consapevoli. Quando eravamo
nel mezzo della Grande Depressione degli anni trenta, non si sapeva
quanto sarebbe durata, ed è finita solo con la seconda guerra mondiale e
la massiccia spesa pubblica che l”ha accompagnata. Non dobbiamo
augurarci che l”attuale crisi venga risolta allo stesso modo, ma oggi
l”Europa ha le mani legate.
Infine, la questione della
democrazia. C”è un deficit di democrazia creato dall”introduzione
dell”euro. Gli elettori votano a favore di un cambiamento delle
politiche, poi arriva un nuovo governo che dice «ho le mani legate, devo
seguire le stesse politiche europee». Questo compromette la fiducia
nella democrazia. Oltre alle argomentazioni economiche che rendono
necessario un cambiamento cӏ questa disaffezione nei confronti della
politica, che porta al rafforzamento delle forze estremiste. Non è
soltanto l”economia che è in gioco, la posta in gioco è la natura delle
società europe.
(traduzione del Servizio interpreti della Camera dei Deputati, trascrizione e revisione di Dario Guarascio).
La registrazione della lezione e del dibattito è disponibile sulla webtv della Camera: webtv.camera.it/archivio.
L”AUTORE
Dalla Banca Mondiale al Nobel per l”economia
Joseph Stiglitz è
professore alla Columbia University di New York, è stato capo
economista della Banca Mondiale fino al 2000 e ha ricevuto il premio
Nobel per l”economia nel 2001. Il suo ultimo libro è “Creating a
learning society: a new approach to growth, development, and social
progress” scritto con Bruce Greenwald e pubblicato nel giugno scorso da
Columbia University Press. In italiano il lavoro più recente è “Il
prezzo della disuguaglianza” sui rischi di un”economia sempre più
polarizzata, pubblicato (come i precedenti) da Einaudi nel 2013. La
crisi del 2008 è stata analizzata in “Bancarotta. L”economia globale in
caduta libera” (2010). La critica della guerra in Iraq era stata al
centro di “La guerra da 3000 miliardi di dollari” (2009). “La
globalizzazione e i suoi oppositori” (2005) e “La globalizzazione che
funziona” (2007) sono stati i suoi lavori critici su e delle politiche
di liberalizzazione. Con Amartya Sen e Jean Paul Fitoussi, Stiglitz ha
realizzato il rapporto “La misura sbagliata delle nostre vite” (Etas,
2010) sulla critica al Pil come indicatore economico e con Giovanni Dosi
e Mario Cimoli ha curato “Industrial policy and development” (Oxford
University Press, 2009).
“La crisi dell”euro: cause e rimedi” è stato il
titolo della sua lezione alla Camera del 23 settembre 2014, promossa da
Giulio Marcon, deputato indipendente di Sel, che – dopo il saluto della
presidente della Camera Laura Boldrini – ha introdotto l”incontro. Alla
discussione hanno partecipato Giorgio Airaudo, Francesco Boccia, Laura
Castelli, Stefano Fassina, Giulio Tremonti, Giovanni Dosi, Mauro
Gallegati e Mario Pianta.
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