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Geopolitica dei trattati di libero asservimento

La prima globalizzazione è finita. Gli scambi non hanno funzionato come voleva il principale promoter, gli USA. Ecco in dettaglio i nuovi trattati [Pierluigi Fagan]

Geopolitica dei trattati di libero asservimento
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31 Ottobre 2014 - 22.05


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di Pierluigi Fagan.

La prima globalizzazione è finita.
Scambi e flussi di tutti con tutti non hanno funzionato come dovevano,
almeno secondo le intenzioni del principale promoter, gli USA. Si è
trattato di un’enorme trasferimento di ricchezza dai paesi ricchi a
quelli poveri ma contemporaneamente, nei paesi ricchi già provati
dall’emorragia verso quelli emergenti, si è creata una dinamica di
trasferimento di ricchezza dalle classi povere e medie a quelle già
ricche, diventate super-ricche.

Così
in ogni comparto produttivo, dalle imprese piccole e medie a quelle
grandi e grandissime e a livello di settori dall’economia,
dall’industria ai servizi e più in generale, dalla produzione e scambio
alla banco-finanza. Queste élite (super-ricchi, multinazionali,
banco-finanza) si sono strette in una cerchia mondiale di detentori di
capitali che succhiano valore dalle comunità, dalla natura e dal
risparmio e poi si trasferiscono denaro l’un l’altro, all’interno del
vorticoso circolo della nuova finanza, borse e paradisi fiscali. Una
circolazione di ricchezza per lo più apparente, alimentata dalla
continua immissione di dollari nel circuito, ad opera della banca
centrale americana e da tutti i potenziali creatori di debito (titoli,
emissioni speciali, obbligazioni, derivati, prestiti al consumo, carte
di credito etc.).

Ma non è questo che non ha funzionato
poiché questo era proprio il preciso obiettivo della strategia
sottostante, il problema principale della prima globalizzazione, è stato
quello di aver allevato dei minacciosi competitor, inizialmente
economici, poi finanziari, poi valutari, poi politici. Poiché lo
scenario di competizione è il Mondo, il competitor politico è
geo-politico e dall’economia, dalla finanza, dalla politica, ora il
confronto, ad esempio con Russia e Cina, rischia di trascendere sul
piano addirittura militare. Inizia quindi una fase di lotta non più per
l’egemonia del Tutto per via diretta , ma per via indiretta, creando
schieramenti e sistemi contrapposti ed attraverso il controllo di
questi, tentare il controllo del Tutto. Questi sistemi che vanno a
sostituire il WTO, sono le cerchie dei paesi invitati a sottoscrivere
con gli USA, una serie di trattati multilaterali. Da tutti e tre i
trattati di cui parleremo, TTIP – TPP – TISA, sono rigidamente esclusi
proprio i principali nuovi competitor: Brasile, Russia, India, Cina e
Sud Africa.

  1. IL TTIP.

L’amministrazione Obama già da tempo ha
annunciato il ri-orientamento strategico della propria politica
internazionale. L’intenzione è ricostruire il bastione occidentale, riannettendosi l’Europa come cinquantunesimo stato dell’Unione.

Questa
intenzione ha un argomento attivo poiché USA + EU, sono il 46,98% del
Pil mondiale, mentre NAFTA (USA/CAN/MEX) + EU sono il 50.25% su dati FMI
2013, ovvero creare un sistema centrale del mondo dei flussi e degli
scambi economici che, in virtù della propria massa, possa determinare
gli standard globali. E’ questa la strategia sottostante il TTIP. Gli
USA controllerebbero questa cerchia che controllerebbe per via del suo
peso ed estensione, il resto del sistema globale. Ma vi è anche il
riflesso passivo di questa strategia. Ostracizzare e disincentivare ogni
forma di scambio tra Europa e paesi emersi o emergenti. Europa infatti,
sarebbe un omologo degli USA ad esempio per quanto attiene molte
capacità tecnologiche, mentre com’è noto, Europa è ben mancante di
materie prime di cui sono invece eccedenti gli emersi e gli emergenti.
In teoria, questo sarebbe lo scambio perfetto, quello basato
sulla reciproca compensazione delle eccedenze e della mancanze. Ma
questo scambio perfetto potenzierebbe ulteriormente il progresso
tecnico-produttivo dei competitor geopolitici (Cina e Russia in primis),
creerebbe una circolazione attiva di valute disparate (yen, yuan,
rubli, euro, rupie), finirebbe con l’emarginare gli USA che non hanno
alcuna intenzione di commerciare liberamente con coloro che vedono come
rivali geopolitici esiziali e che temono la relativizzazione del dollaro
più di ogni altra cosa al mondo, poiché e sul dominio assoluto di
questo che si basa la loro forza finanziaria, quindi, economica, quindi
politica, coadiuvata da quella militare e condita da quella culturale.

L’isteria americana sulla questione
ucraina va quindi letta in questo senso, separare da subito Europa e
Russia (tecnologia e competenze vs energia) per poi ostacolare anche le
relazioni Europa – Cina.

La Cina è, per ammissione esplicita
dell’amministrazione americana, il main competitor globale. Ed infatti
il ri-orientamento della politica strategica statunitense ha titolo
“pivot to Asia”, perno sull’Asia. E’ stato già riassortito il peso della
marina militare USA da 60%-40% Atlantico-Pacifico, all’inverso.

Obama
ha compiuto diversi viaggi di corteggiamento e amicizia in Asia, in
tutti i paesi confinanti con la Cina, paesi che vivono o sono invitati a
vivere, la crescita cinese potenzialmente come minacciosa. Diversi
incidenti nel Mar della Cina hanno infiammato le relazioni dei paesi
costieri poiché ognuno sta correndo a ridefinire confini marittimi  che
in passato non avevano nessun preciso significato ma che oggi con il
traffico dei cargo e petroliere, nonché per le promesse di sotterranei
giacimenti di energia, diventano luoghi di aspra contesa. Sono numerose
le provocazioni esplicite ed implicite (da satelliti ed aerei spia
buttati giù senza troppi riguardi dai cinesi, alla questione del Tibet,
al rinnovamento delle basi militari USA del Pacifico, al recente
tentativo di destabilizzazione ad Hong Kong etc.) compiute ai danni dei
cinesi che per altro non se ne sono stati con le mani in mano. Poco
osservato è stato il primo tentativo di creare una rotta di
circumnavigazione polare che dalla Cina, arrivi nel Baltico e nel Mare
del Nord, cargo scortati da rompighiaccio russi. Altresì, i cinesi,
stanno aprendo porti e stendendo binari per creare la famosa “Nuova Via
della Seta” che colleghi l’Asia con l’Europa. Restrizioni su Internet o
meglio creazione di una propria rete e servizi, apertura planetaria di
molti centri Confucio, acquisto di porti, aeroporti ed aziende
occidentali, land grabbing in Africa condiscono la strategia di
“sviluppo armonioso” del gigante cinese che per molto tempo ancora,
baserà la sua crescita sull’export. Ma fino ad ora ha prevalso una certa
prudenza, un punzecchiarsi reciproco, non ancora divenuta aperta sfida
come è invece avvenuto con la Russia, dichiarata da Obama all’ONU, una
delle tre minacce principali planetarie, assieme ad ebola e prima ancora
dell’Isis.

  1. IL TPP.

 

L’area
Ovest degli USA, il Pacifico-Asia è destinazione di un altro trattato
gemello del TTIP, il TPP – Trans Pacific Partnership. Nato nel 2005 per
costruire un’area di libero scambio merci – servizi – finanza tra Nuova
Zelanda – Cile – Sultanato del Brunei (Borneo) e Singapore, il trattato
originario si chiamava Pacific Four = P4, e mostrava perfettamente la
logica naturale dei trattati veramente basati su interessi puramente
economici. I quattro paesi infatti sono perfettamente complementari:
Singapore è una città stato che non produce nulla se non investimenti e
servizi avanzati, il Brunei è un paesino di meno di 400.000 abitanti
sprovvisto di tutto ma ricco di petrolio, Nuova Zelanda e Cile sono
paesi con territorio e produzioni complementari. La Nuova Zelanda è
praticamente priva di minerali, lì dove primeggia il Cile. Questa è
logica naturale di trattati di libero scambio basati sulle compensazioni
tra eccedenze e mancanze strutturali, una circolazione di energia,
finanza, materie prime ed industria e servizi che dota tutti di ciò che
manca, scambiandolo con ciò che eccede.

Poco dopo la sua prima elezione, nel
2009, il presidente degli Stati Uniti B. Obama, dichiara il suo vivo
interesse a formare intorno al P4 una più larga cerchia che diventerà
TPP: NAFTA (USA + Canada + Messico) + Perù e Cile + Australia e Nuova
Zelanda + Brunei, Singapore, Malaysia, Vietnam e Giappone. Un cerchia a
12. I due paesi sud americani romperebbero l’egemonia sud continentale
dei paesi socialisti – socialdemocratici – nazionalistici che hanno di
fatto espulso gli USA dal ruolo di Gran Protettore del sud continente
americano. I due paesi oceanici sono storicamente anglosassoni e quindi
della ricostituenda famiglia “occidentale”. 

I
paesi asiatici formano una prima cintura intorno alla Cina. Si tenga
conto che la Cina ha molto sviluppato la propria presenza verso il
proprio Est, quindi verso il Pacifico. Cina è come partner export ed
import, tra i primi tre (in 10 casi primo, 10 secondo e 3 casi terzo)
per tutti i 12 eventuali contraenti il trattato (l’unica mancanza è tra i
primi tre partner dell’export del Brunei, ovvero il Brunei non vende
energia ai cinesi, dati CIA World Factbook). Anche qui quindi, ci
sarebbe un valore attivo ed uno passivo. Quello passivo sarebbe
ovviamente scalzare la Cina da questa preminenza nelle referenze degli
scambi. Ma anche qui, più che il valore commerciale e finanziario
dell’operazione, vale l’obiettivo di mantenere la preminenza del dollaro
negli scambi (dollaro che può al massimo sopportare la parziale
convivenza con l’euro, stante che sul futuro dell’euro gli americani per
primi, sicuramente non scommettono) ed accerchiare la Cina con paesi
chiusi all’interrelazione economico-finanziaria ma aperti alla
collaborazione militare con gli USA.

Chi valuta il TTIP non è portato a
considerare il TPP ma ciò è un errore. Vale infatti il valore di
concorrenza sul mercato americano. Gli Stati Uniti ad esempio, non si
aprono solo all’agroalimentare europeo, ma anche a quello cileno,
oceanico, malese e vietnamita. I vini italiani competerebbero non solo
con quelli californiani ma anche coi cileni e neozelandesi (tra l’altro
con altre valute che in molti casi asiatici hanno un vantaggio
inarrivabile). I servizi banco-finanziari con quelli di Singapore e di
Tokio, le tecnologie con quelle del Giappone, le delocalizzazioni con il
Vietnam e Malaysia, il turismo con l’Oceania ed il Sud America etc. .
 Poiché l’intento geopolitico del TPP (al pari di quello del TTIP) è ben
chiaro, una volta firmato, si deve prevedere anche un successivo
allargamento, forse a più d’uno tra Thailandia, Filippine, Cambogia,
Myanmar, Taiwan e chissà chi altro ed  quali condizioni di
arrendevolezza e sudditanza (quindi di vantaggio comparato per gli USA).
L’elenco dei paesi di cui parleremo successivamente trattando il terzo
accordo, il TISA, dà l’idea dell’effettiva estensione finale della aree
che potrebbero essere unificate da vari accordi che hanno gli USA come
perno centrale.

  1. IL TISA.

Oltre al TTIP ed al TPP, un altro
trattato è in ancora più segreta discussione, il TISA. Il TISA è un
trattato relativo ai servizi (Trade In Services Agreement) che ha un
allegato specifico su i servizi finanziari. Si tenga conto che oggi i
servizi, soprattutto nelle economie più avanzate, sono il comparto (vs
industria ed agricoltura) di gran lunga dominante (79% del Pil USA, 72%
del Pil Mondo, dati 2013 The Economist).

Il
trattato include tutti i membri TTIP e quelli TPP ad eccezione del
Brunei, Malaysia e Vietnam (insignificanti quanto a servizi). A questi
si aggiungono: Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera in Europa;
Turchia ed Israele; Taiwan, Hong Kong, Pakistan e Sud Corea in Asia;
Colombia, Costa Rica, Panama, Paraguay in Centro e Sud America. Si noti
l’esclusione in via di principio dei BRICS. I colloqui si svolgono a
Ginevra e sono presieduti a turno da Stati Uniti, UE ed Australia ed a
fine anno 2014, giungeranno al 10° round.  La secretazione del TISA ha
dell’incredibile prevedendo la pubblicizzazione solo cinque anni dopo
sia che sia, sia che non sia entrato in vigore. L’unico squarcio di
informazione si deve ad un documento apparso su Wikileaks anche se solo
riferito all’appendice relativa ai servizi finanziari.

Si punterebbe ad una ulteriore e
definitiva deregolamentazione finanziaria, accelerazioni delle
liberalizzazioni e privatizzazioni, perdita ulteriore di controllo e
stoccaggio dati per gli stati con espansione de-territorializzata delle
transazioni on line totalmente prive di controllo , sovra giurisdizione
delle norme indifferenti ed invulnerabili a quelle nazionali. I punti
relativi ai servizi non finanziari punterebbero alla conversione
privatistica dei settori dell’educazione, della sanità, della difesa. Il
trattato è ovviamente sospinto da lobbies tra cui il Team Tisa che
riunisce 57 multinazionali, tutte americane.

  1. ELEMENTI GENERALI DI VALUTAZIONE DEI TRATTATI.

Le discussioni su TPP e TTIP hanno
sedimentato una serie di punti controversi su cui occorre riflettere in
generale, oltre alle ben note questioni sulla segretezza ed opacità dei
contenuti, i polli al cloro, la carne agli ormoni, gli OGM, le
esternalità ambientali e il negativo impatto occupazionale.

  1. Questi trattati vengono presentati come
    riferiti a questioni genuinamente economiche, ma la loro ratio
    intrinseca è politica o meglio geo-politica. Si dovrebbe chiarire il
    punto perché essendo quello che muove al processo e non essendo questo
    oggetto di aperto dibattito, si trasforma in formale una questione che
    invece è sostanziale. Inoltre agiscono fattori di logica interna. Se
    veramente la ratio di questi trattati è geopolitica la
    loro “convenienza” reale sarà valutata su quel piano ed è quindi assai
    improbabile che contengano effettivamente le convenienze
    economico-occupazionali che studi commissionati ad hoc, sembrano
    promettere. Questo è un punto di fondamentale ambiguità.
  2.   In linea generale non esiste solo la contrapposizione ideologica “libero scambio vs autarchia”. Esiste invece la contrapposizione realistica  tra libero scambio e scambio ragionevole.
    Tale contrapposizione esiste dai primi del  XIX° secolo. Un economista
    liberale, ma tedesco (non britannico, cioè con logica diversa
    dall’impero allora dominante) F. List, eccepiva che la totale libertà di
    scambio favorisce sempre il più forte. Questo è già presente in molte
    merceologie, ha già realizzato economie di scala e ha più longevi know
    how. List si riferiva a gli stati ma oggi il discorso vale anche per le
    imprese, le multinazionali americane, inglesi, francesi, tedesche,
    olandesi vs la pletora di PMI di cui è ricca l’Europa e l’Italia in
    particolare. In termini di Stato, offrire un settore debole alla
    totalmente libera concorrenza, significa non solo perdere questa o
    quella azienda e la relativa occupazione ma nel medio-lungo periodo,
    l’intero settore. Esistono settori strategici, settori che persi,
    condizionano strutturalmente l’assetto completo del sistema economico e
    finanziario di un paese. Si pensi all’acciaio, ai semilavorati, alla
    diversificazione delle forniture energetiche, alle telecomunicazioni
    etc. . Nella “civiltà dei consumi” poi, il concetto di settore se non
    strategico, “importante”, allargherebbe ulteriormente il discorso.
    Queste perdite strategiche costituiscono la formazione di una dipendenza
    strutturale, di una limitazione forte dei gradi di libertà dei processi
    di sviluppo dei singoli paesi, un condizionamento che nel lungo periodo
    diventa totalmente politico. Know how persi per più di una generazione
    perché quel settore non ha retto la concorrenza, non si riacquisiscono
    facilmente e costituiscono un handicap all’autonomia della nazione. Si
    ricordi che le economie sono nazionali, anche quando sono formate da
    operatori privati, poiché le nazioni si basano su lavoro e tasse e la
    presunta equivalenza benessere dell’economia privata = benessere
    dell’intera comunità nazionale non solo non è mai stata provata, ma si
    hanno molte prove del contrario (risultati stessi della globalizzazione,
    del NAFTA, della recente esplosione della banco finanza e delle
    relative bolle). In Europa, dopo i fallimenti della globalizzazione,
    delle liberalizzazioni e delle privatizzazioni, del delirio
    banco-finanziario e dell’euro, gli stessi e soliti proponenti, giungono
    oggi a proporre nuovi trattati dalle mirabolanti prospettive di
    occupazione e crescita. Sarebbe come un venditore di aspirapolvere che
    per ben quattro volte ci ha rifilato una fregatura ed a cui continuiamo
    ad aprire la porta ben pieni di speranza. Irrazionale.
  3. Il commercio internazionale presenta sempre un irrisolvibile problema sul piano del diritto.
    Gli stati nazione nascono tra l’altro proprio per dare la cornice di
    diritto allo scambio commerciale, all’impresa, a gli standard di
    numero-peso-misura, alla solvenza della valuta, debiti, contrasti, norme
    su i limiti etc. I tribunali sono gli strumenti operativi per il
    funzionamento del regolamento. Quando si fanno trattati bi o
    multilaterali, si stabiliscono una serie di norme-cornice le quali
    dovrebbero regolare il diritto conformemente allo spirito del trattato,
    ma questo spirito del trattato non coincide mai per definizione con lo
    spirito della giurisprudenza nazionale, proprio perché sono due o più
    nazioni a dover fondere le proprie giurisprudenze. Ne
    vengono fuori diversi conflitti di diritto tant’è che i trattati
    internazionali godono spesso di uno speciale statuto di variazione
    costituzionale cioè prefigurano una meta costituzione (che non c’è) che è
    più della somma di quelle dei paesi contraenti. A dire che il diritto
    commerciale non è un di cui estraibile dal diritto generale e
    modificabile in base alle convenienze di un trattato occasionale, perché
    il diritto è un tutt’uno intrecciato e complesso. Questo è vero e
    dimostrato dall’idea di introdurre tribunali extra-territoriali, ovvero
    tribunali che rispondono alla logica dei trattati e non a quelle delle
    giurisprudenze nazionali. Va da sé che i giudizi così condizionati
    saranno sempre e per forza in favore della logica dei trattati anche
    quando queste sono palesemente fallaci. La logica dell’ asimmetria della
    potenza poi, non prevede di discutere faccende come quelle dello
    spionaggio e stoccaggio di dati sensibili di cui si nutre il sistema
    americano. Che trattati così complessi siano discussi da così poche
    persone e certo non da giudici costituzionali, in gran segreto, per
    motivi geopolitici che hanno una logica del tutto aliena non solo a
    quella intrinsecamente economica, ma anche a quella giuridica, in così
    poco tempo, è la perfetta garanzia di creazione di veri e propri mostri
    di ingiustizia. Ma di una ingiustizia inemendabile, sanzionata da
    tribunali speciali che non hanno alcun livello superiore a cui
    appellarsi. La logica dei trattati, è sempre quella del momento in cui
    sono stati scritti e purtroppo non è flessibile. Non c’è in sostanza
    l’interpretazione, ma la letteralità, come in certe interpretazioni del
    Corano, porta sempre a fondamentalismi, in questo caso, fondamentalismo
    di mercato. Si forma così un prepotente diritto all’ingiustizia
    invulnerabile ad ogni dialettica politica.
  4. Vi è poi una contrapposizione tra i concetti di standard e varietà.
    Questi trattati favoriscono esplicitamente la creazione di standard, di
    unificazioni, di appiattimenti, di dominanti, sono il trionfo della
    quantità sulla qualità. Questo ha un forte impatto culturale. I
    francesi si sono già dichiarati indisponibili ad includere nella
    trattativa i settori produttori di cultura, così in Giappone è sorta
    tutta una questione sui manga e la cultura underground. Ma cultura non è
    solo ciò che ha l’etichetta esplicita di cultura. Come lavoriamo, come
    mangiamo, i valori, la pubblicità, ciò che dice la legge, i
    comportamenti economici che poi diventano sociali, sono tutte componenti
    della “cultura”. Il modello culturale di riferimento dei trattati è
    quello dello standard massificato, che è poi quello americano, peccato
    non sia il nostro e peccato che nell’era della complessità così come è
    negativo eliminare biodiversità, è negativo eliminare diversità
    culturale. Perdere diversità è infatti perdere resilienza, perdere
    libertà e questo si traduce in definitiva in una minorità, in una
    mancanza di alternativa, quindi di flessibilità ovvero in un aumento
    della rigidità. L’esatto contrario di ciò che si prescrive per
    affrontare i complessi tempi futuri. Attraverso degli “innocui” trattati
    infatti, si comincia con il commercio e si finisce con l’omologazione
    strutturale completa, con la colonizzazione strutturale. Questa è
    l’ennesima e non discussa scelta disadattativa alla sempre maggiore
    complessità del mondo.
  5. Un problema ulteriore, mai dichiarato, è
    che l’economia è fatta di merci, servizi, regole di scambio, cornici
    normative certo ma le cose si vendono e comprano con i soldi, ovvero con
    le valute. E’
    noto che il dollaro è gestito da una banca centrale che stampa in
    grande quantità ed all’occorrenza svaluta ed è noto che invece l’euro è gestito da una banca che non stampa a richiesta e non svaluta.
    Nel campo americano inoltre, come abbiamo già indicato, ci si muoverà
    non solo vs la concorrenza indigena, ma anche vs la concorrenza dei
    paesi TPP, molti dei quali hanno una gestione della valuta ancorpiù
    disinvolta. E’ inconcepibile che l’ Europa vada a firmar trattati
    concorrenziali con competitor che possono fare dumping valutario mentre
    lei se lo impedisce a priori (vedi Trattato di Maastricht). Che si pensi
    conveniente per il mercato americano che compra in dollari, merci in
    euro (se si hanno alternative) è puro delirio. Questo è fuori da
    qualsiasi logica.
  6. L’intera logica della strategia dei
    trattati è quella di obbligare i singoli paesi tanto europei, quanto del
    Pacifico, gli attori industriali, agricoli e dei servizi, l’intera
    architettura della banco-finanza a formattarsi secondo gli standard
    americani, cosa che non riuscì per le vie troppo aperte del WTO ovvero
    per l’opposizione dei BRICS che sono specificatamente e serialmente i
    soggetti lasciati fuori da tutti e tre i trattati. All’appello americano
    rispondono eccitate le lobby atlantiste, multinazionali e
    banco-finanziarie europee, lobby che promuovono l’interesse dei Pochi e
    non certo dei Molti, che puntano a barattare i loro vantaggi in cambio
    della nostra integrale colonizzazione strutturale che, una volta operata, sarebbe nei fatti difficilmente reversibile.

La logica sottostante la strategia dei
trattati è ambigua, irrazionale, ingiusta, disadattativa, illogica,
coloniale. Questo perché, come già detto ma val bene ripeterlo, la
logica non è commerciale, ma geopolitica.

6. CONCLUSIONI.

Il
fine strutturale dei due trattati è creare due comunità economiche
(TTIP e TPP) che sommano al 63% del Pil mondiale, dominate dal leader
mondiale USA che detiene il 22,5% del Pil mondiale e la leadership
assoluta del mercato finanziario, cioè della circolazione dei capitali.
Lo schema è lo stesso delle società quotate in borsa, una minoranza (il
22,5%) controlla una azienda massiccia (il 63% del Pil mondiale) che
controlla l’intero mercato. Le prime dieci compagnie di export USA
controllano il 96% di tutto l’export statunitense (le prime dieci
europee l’85%), loro e la banco-finanza anglo-americana sarebbero i
principali beneficiari del nuovo sistema dal punto di vista economico.

Il fine a breve termine è altresì triplice. Il primo
è potersi permettere di promettere di frenare la contrazione
occidentale insidiata da tutta la pletora delle economie emergenti. Ma
le stime di attribuzione di vantaggi nella riattivazione della crescita
sono del tutto inaffidabili. Il commercio internazionale, ormai quasi
del tutto libero, già esiste. I trattati ovviamente non si curano della
limitazione delle risorse (risorse che in quanto materie prime
rimarrebbero in grande parte nei paesi fuori dei trattati) e della
saturazione dei consumi, né delle diseguaglianze che hanno depauperato i
poteri d’acquisto. Il secondo è porre gli USA come perno centrale della coalizione creata dai due trattati secondo la strategia “hub & spoke”. 

Gli
USA con i suoi 316 milioni di cittadini ed il 35,7% del valore
economico del totale delle due comunità create con i due trattati
sarebbero il sole del nuovo sistema. “Hub & spoke” sta per mozzo e
raggi, come nella ruota della bicicletta, il mozzo sarebbe il luogo
centrale, gli USA, i raggi sarebbero i singoli paesi, la ruota sarebbe
il sistema generale che governa i destini del mondo, l’espressione è
nota in geopolitica come dottrina Kissinger. In termini di complessità,
l’idea ricorrerebbe alla Teoria del caos deterministico con gli USA a
fare da “attrattore” nello spazio delle fasi geopolitiche. Il terzo
è  soffocare l’area di potenziale sviluppo delle nuove economie
emergenti. La strategia ha un corollario di operazioni che verranno
deliberate vs Africa, Sud America ed India, mentre è in corso il
riassestamento del Medio Oriente con la creazione di nuove entità
statali e nuovi confini. La separazione forzata tra Europa e Russia è
già avanzata in seguito all’affaire ucraino. Questo dovrebbe garantire
l’emarginazione totale di Russia e Cina che sono , soprattutto i
secondi, i competitor più temuti. I due trattati puntano a creare un
sistema di lunga durata, basato sull’uniformazione di tutti gli standard
sociali, culturali, normativi, valutari, banco-finanziari ed economici a
quelli vigenti negli Stati Uniti e creante di fatto, una dipendenza di tutti dagli USA ma degli USA con nessuno nello specifico.

Si realizzerebbe così l’obiettivo geopolitico primario: impedire la creazione di un mondo multipolare per rimanere l’unico polo in grado di controllare un mondo sempre più complesso. 

Il
beneficio a lungo termine sarebbe infatti che la struttura
multinazionale e banco-finanziaria anglosassone dominerebbe un mercato
economico che sempre più esautora la politica, la democrazia e la
sovranità delle singole comunità nazionali, garantendo il controllo
diretto ed indiretto della nuova complessità planetaria al sistema
dominante, quello degli Stati Uniti d’America, basato su imprese
multi-trans-nazionali, banco-finanza e dollaro e quando non basta,
l’esercito di gran lunga più potente del pianeta.

Sotto tutto questo, c’è chi pensa di
metterci una firma anche in nome e per conto nostro. Bisognerà fargli
capire che non siamo proprio d’accordo.

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