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'La crisi cinese e la ''stagnazione secolare''. Intervista a J. Halevi'

'L''economista Joseph Halevi guarda al mondo da un angolo visuale opposto alla ristretta visuale europea e italiana. Nessuno spazio per idee consolatorie [da Contropiano]'

'La crisi cinese e la ''stagnazione secolare''. Intervista a J. Halevi'
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24 Settembre 2015 - 21.26


ATF

da
Contropiano
.


Guardare
le cose dalla ristretta visuale europea, o peggio ancora italiana, impedisce di
cogliere le dinamiche globali, nascondendo molto di quel che avviene – di
vitale – sul piano macro.

Questa
intervista con Joseph Halevi, docente di economia all”università di Sidney fin
dal 1978, consente invece di guardare al mondo da un angolo visuale
diametralmente opposto. Spiazzando molte delle visioni consolatorie che girano
nel dibattito pubblico, italiano e non. Una visione marxista nei fondamenti
teorici, ma soprattutto una “analisi concreta della situazione
concreta” che non concede nulla alla falsa coscienza.

Buona
lettura.

*****

Proviamo
a ragionare sulla partita crescita dopo che per sette anni si era retta –
livello globale – soltanto sulla Cina e i paesi emergenti. E invece esplode il
caso cinese…

La
crescita cinese e quella dei paesi emergenti non sono compatibili, nel senso
che era la Cina a trainare la loro crescita. Io non vedrei la Cina come un
paese “emergente”. E” un paese con un processo di accumulazione di tipo
capitalistico-statalista, con le multinazionali, ecc. Se prendiamo ad esempio
l”Argentina, non è mica detto che dopo la crisi del 2001 potesse recuperare
davvero. Certo, riducendo o non pagando il debito, ha ammorbidito o attenuato
di molto gli effetti sociali. Poi è iniziata una crescita stimolata un po”
dall”interno, con maggiore spesa, ecc. Ma la vera dinamica argentina si è
collegata allora all”enorme crescita delle esportazioni verso la Cina, che era
cominciata diventare una grande consumatrice di prodotti agricoli come la soia
– quindi anche argentini o del Brasile. E” vero anche per l”Australia, che
vende alla Cina carbone e minerali di ferro; ed ora sempre più anche prodotti
agricoli. Ma carbone e ferro erano e restano la cosa più importante. Quindi la
crescita cinese, l”uso che fanno di queste materie prime, ha trainato
Argentina, Australia, parte degli stessi Stati Uniti. Durante il grande boom
delle materie prime, prima della grande crisi del 2007-08, intere zone
minerarie degli Usa, cadute in disuso perché l”estrazione dei minerali era
diventata troppo costosa, soprattutto in zone montuose, sono state rimesse in
attività perché il prezzo era cresciuto enormemente.

Questo è
l”effetto dell”economia cinese sugli emergenti, ma la
Cina non è un paese emergente. Ora li sta involontariamente affondando. Quindi
non sono “compatibili”, non sono simili quanto a dinamica economica. Il
meccanismo di rallentamento della crescita cinese è interno alla Cina, ossia
nei rapporti tra l”accumulazione interna e con l”economia mondiale.

Si è
detto per anni che il modello cinese era orientato alle esportazioni. È vero o
no?

Secondo
me si è esagerato. C”è stato un periodo in cui questo era vero. Nel senso che
per un periodo la Cina ha cercato, attraverso i rapporti con le multinazionali
– non avevano quasi nulla di esportazioni proprie, come oggi con Huawei e
simili – ovvero attraverso delocalizzazioni, outsourcing, e poi via, verso i
paesi dove le multinazionali vendevano quanto prodotto in Cina. Questo è stato
importante, oltre che quantitativamente, perché permetteva di importare
tecnologie. Allo scoppio della crisi, erano arrivati a circa iil 10-12% di
esportazioni nette sul Pil, un numero incredibili. Quindi, sì, erano trainati
in parte dalle esportazioni. Quando poi la crisi esplode, l”atteggiamento
economico della dirigenza cinese fu quello di emettere una quantità enorme di
liquidità e rilanciare completamente la crescita del mercato interno e dunque
delle importazioni, più che delle esportazioni. Cominciarono a importare
massicciamente, per ulteriori sviluppi tecnologici. Soprattutto dall”Europa,
dalla Germania, ma anche dalla Corea e altri paesi vicini. La Germania ha avuto
un vero boom di esportazioni pesanti, centrali intere, ecc, non solo o non
tanto modelli di Mercedes. Roba Siemens, roba grossa in beni capitale. Anche
l””Italia – direttamente o tramite imprese legate alla filiera tedesca – ha
avuto un grande balzo delle esportazioni verso la Cina. In genere il surplus
cinese cala moltissimo, cӏ la rivalutazione del renminbi, e si attesta intorno
al 2%.

La Cina
meno della Germania?

Anche in
assoluto la Germania realizza un surplus maggiore della Cina, basta leggersi la
tabellina dell”Economist che dà le posizioni di conto corrente. Con il
rilancio del ”99-2005 la Cina diventa una forte importatrice e le esportazioni
non sono state più il volano della crescita cinese. Ovviamente sono importanti,
per loro, nel senso che è il meccanismo che garantisce loro l”arrivo di
tecnologie, per esempio in campo automobilistico, dove sono ancora in una
posizione arretrata, perché ammettono normative che non permettono esportazione
verso altri paesi. Cӏ una forte produzione Рoltre venti milioni di auto
l”anno – ma non c”è quasi esportazione di marchi cinesi. Forse qualcosa in
paesi come la Turchia, ora.

Loro
hanno ora un grande problema con la crescita, che è diventata destabilizzante:
l”uso delle risorse. Ad esempio con l”acqua e complessivamente con l”ambiente.
Non in senso semplicemente “ambientalista”, ma come riproduzione materiale,
fisica. 
La
situazione ambientale influisce sulle condizioni di riproduzione economica
Quando sparisce,
più volte, l”acqua in un fiume di 5.000 chilometri come il Fiume Giallo, è una
cosa molto grossa. Lì arrivano navi oceaniche, in porti fluviali gradi come
quelli marittimi. Perché accade? Perché la parte orientale della Cina è in
realtà un grande delta, col Fiume Giallo e lo Yangze, che vanno verso il mar
della Cina; è una zona molto mobile, anche come movimento dei terreni. Lì c”è
un grandissimo uso del suolo per motivi agricoli, industriali e urbanistici. Il
fabbisogno di acqua è altissimo, hanno creato canali che spostano l”acqua da
una parte all”altra. Ma hanno anche cominciato a usare i pozzi artesiani,
sfruttando le falde acquifere. Ma, come raccontano i miei studenti cinesi a
Sidney che studiavano 
soil
science
, in questo modo l”acqua scende al di sotto di un certo livello dove si
trova unla roccia granitica, impermeabile. Le piogge, a quel punto, non
riescono più ad arricchire le falde finite sotto quel livello e fluisce
direttamente verso il mare. Costruiscono altri canali per intercettarla, ma il
risultato non è particolarmente efficiente, né sufficiente. La situazione, con
gli ultimi progetti, è tale che pensano di fare mega-canali per portare al nord
l”acqua che scende dall”Himalaya, a migliaia di chilometri di distanza. Hanno
veramente grosse difficoltà. C”è un conflitto tra condizioni fisiche e necessità
di riproduzione dell”accumulazione
. Non possono mollare sulla
crescita, altrimenti gli saltano gli equilibri sociali, in modo anche grave,
perché debbono espandere la middle class e, con una crescita del 5%, non gli
può riuscire.

Quanto
pesano i problemi di crescita cinese sull”economia globale?

Globalmente,
pesano innanzitutto le aspettattive – “ce la faranno, non ce la faranno, ecc”.
Quello che pesa più di tutto è il sistema finanziario internazionale, non tanto
quello interno; ovvero i prodotti derivati, strutturati, collegati in qualche
modo con le passività cinesi… A quel punto scattano tutti gli effetti
negativi

Quali
sono questi prodotti derivati?

Quelli
legati alle materie prime; carbone e ferro, in primo luogo. Sul petrolio ci
sono anche altri problemi, come la battaglia tra Arabia Saudita, Russia e Stati
Uniti, sul fracking e dintorni. Ovviamente c”entra anche la Cina, ma è una
dinamica differente. Siccome il valore dei prodotti derivati sono gonfiati dal
valore di altri, collegati, si mette in moto una dinamica accelerata. È una
tipica situazione di non linearità. Basta un calo dello 0,5%, subito qualcuno
grida “ah, sta calando” e scatta un meccanismo di leva finanziaria al contrario.
L”effetto finanziario sui mercati è molto superiore all”effetto reale. Così sta
succedendo ora. L”effetto sull”economia reale in Cina non è drammatico, ma la
volatilità è altissima. Tutto si collega alla percezione della situazione
finanziaria cinese. In fondo, non c”era motivo per scatenare tutto quel panico
sulla caduta della borsa di Shangai. Transazioni internazionali, in Cina, non
ce ne sono. Il mercato finanziario non entra nella struttura di portafoglio
delle imprese cinesi. Il mercato di Shangai è un po” surrettizio, come un
grande casinò… Perché il governo cinese ha permesso ad operatori di Hong Kong
di investire su Shangai in quelle dimensioni (prima era molto più limitato)?
Certo, c”è stato un effetto “bolla”, con una crescita del 150%, causata dai
grandi afflussi di capitali. Poi è ovviamente esplosa, anche se il livello
attuale è ancora superiore a quello precedente questo afflusso. Però, quando
tutto funziona in negativo, si ripercuote globalmente, anche se quei mercati lì
non hanno un grande influenza. Secondo me una parte di questa crisi finanziaria
è voluta dal governo cinese, anche se non so dire da quale frazione del
governo, non faccio il sinologo…

La
dirigenza cinese vuole razionalizzare molto, creare società finanziarie, non vuole
il mercato delle tre carte, il casinò… Società che crescono, magari crollano,
ma poi c”è il consolidamento. È anche un ragionamento un po” marxista, da
questo punto di vista: favorisco la concentrazione del capitale, anche nei
settori produttivi – come l”auto, dove hanno più di cento produttori.. Insomma
creare delle società multinazionali proprie, che ancora non hanno, a parte
Heawei e qualcos”altro – e fare un consolidamento finanziario, con grandi
società in grado di agire internazionalmente, ma con la potenza economica della
Cina dietro. Su questo piano sono oggi ancora più deboli di Singapore o Hong
Kong.

Secondo
me questo è uno dei loro obiettivi. E quindi anche “il crollo” seleziona e
consolida. Hanno anche detto che tutte queste operazioni, come sui tassi di
cambio, ecc, sono procedure per aumentare la flessibilità dei mercati. E non
avevano torto. Solo che poi devono intervenire perché le turbolenze e il panico
rischiano di uscir fuori di controllo.

Quanto
pesa nelle decisioni cinesi anche il fatto che gli Stati Uniti stanno per
rialzare i tassi di interesse?

Cӏ un
aspetto positivo che consiste nel rilancio delle sportazioni. Loro vogliono
rilanciarle, anche se continueranno a passare attraverso le multinazionali
altrui, perché un modello fondato soprattutto sulle importazioni alla lunga non
regge. Quattro o cinque anni fa, ad esempio con Airbus, stipularono un grande
contratto, con cui acquistavano circa 500 aerei civili, ma 300 li avrebbero
fabbricati in Cina, con una società statale cinese in società con Airbus.
L”aumento dei tassi di interesse e una rivalutazione del dollaro possono
certamente far ripartire le esportazioni…

Ma fa
anche ripartire capitali verso gli Stati Uniti…

Esatto. E
loro non vorrebbero vederlo accadere. Ma questa è la loro problematica, oltre
quella ambientale. Comunque, al di là dei problemi ambientali, che pure
costituiscono un problema strutturale, loro debbono rilanciare la crescita. È
anche la tesi di Michael Pettis, abbastanza simile a quella di Minsky, sul cosiddetto
inverted balance… Quando l”economia cresce, le passività diminuiscono e si
abbasssa il debito. Nei paesi in via di sviluppo, l”aumento rapido del tasso di
crescita riduce il debito. Se il debito iniziale è grande, con la crescita si
riduce, è vero; però partono da un debito grande, quindi c’è sempre il problema
di che cosa succede se il tasso di crescita non…

Non è abbastanza alto…

Allora
c’è il l”inverted balance; insomma, a quel punto va un po’ tutto
indietro, un po’ come nei mercati finanziari, e ci si trova in una situazione
in cui il debito cresce. Pettis sostiene che la Cina è in questa situazione. Il
debito interno cinese è esplosivo perché le liabilities – le passività –
diventano determinanti e vincolano le scelte. Pettis sostiene che non ci sono
stati casi dove si sia potuto riformare un sistema con grandi passività. Non
c’è una strada di riforme possibili; non puoi trovare una strada efficiente di
riforme quando hai tutte queste passività addosso. Se ne può uscire se fai
bancarotta, non paghi…

Se ristrutturi il debito…

Esatto.
Se no non ce la fai ad uscire.

E’ una Grecia un bel po’ più grande…

Beh, solo
sul piano interno, però. Pettis dice che a questo punto le operazioni della
banca centrale per finanziare le attività diventano spuntate. Le iniezioni di
liquidità non bastano si limitano a dare soldi a entità finanziarie che sono
già oberate da debiti. Questo non ti risolve il problema, non ti rilancia la
crescita.

Ma permette almeno di assestare i conti dei
soggetti finanziari?

No,
Pettis dice di no, perché c’è sempre il l”inverted balance che va giù e
ricomincia da capo… Se questo è vero, la situazione cinese va vista molto
negativamente…

Però non ci sono altri motori manifatturieri in
giro per il mondo…

No.

Gli americani avevano cominciato timidamente a fare
un po’ di reinternalizzazione…

Sì, ma
poca roba…

Poca roba, ma quella più legata ai settori
strategici…

Sì,
appunto. E questo va collegato anche alla bassa crescita extracinese, che non
permette alla Cina di avere una dinamica export sostenuta. Perché l’economia
mondiale non tira…

Infatti
sia Larry Summers, qualche tempo fa, sia il Centro studi di Confindustria nei
giorni scorsi, hanno tirato fuori il termine 
stagnazione
secolare

Larry
Summers ne parla da parecchio tempo, Confindustria ci ha messo almeno due anni
ad accorgersene…

Il concetto sembra: se si ferma la Cina, nessuno
può sostituirla su quel piano?

No, la
Cina non è sostituibile.

La
dinamica finanziaria sembra molto indipendente dall”andamento dell”economia
reale; la quale, a questo punto, mostra una dinamica decrescente. Quanto
diventa concreto il concetto di stagnazione secolare?

Se la
Cina si ferma, significa che all’interno della Cina ci dovranno essere delle
grosse ristrutturazioni, quindi anche disoccupazione… Socialmente è un bel
casino… Diventerà un po’ come la Germania, che non è che cresca poi tanto,
sul lungo periodo. Secondo me in Cina può succedere questo: ho notato di
recente, quando si è parlato di ripresa indiana, circa il 7%, si è detto anche
che sta crescendo più della Cina, ecc. Ma se uno ha una visione un po’ fisica dell’economia,
ovvero non si ferma solo ai numeri del pil, ma giuarda a quanto acciaio
produce, quante macchine, automobili, di cose fisiche, beh… l’India è
infinitamente indietro rispetto alla Cina, sul piano quantitativo.

Può crescere anche a tassi alti ma parte da livelli
tali che sono fisicamente poca cosa?

Ma sì…
La produzione di automobili in India sarà sui 2-3 milioni, in Cina sta a 20
milioni. Un’altra cosa. La produzione di acciaio cinese sta arrivando a 800
milioni di tonnellate, forse anche di più, tra 800 e 900 milioni. La produzione
di acciaio indiana è 150 …

Arcelor-Mittal, questi qui?

Mittal è
un grosso produttore perché non ha tanto spazio di sviluppo in Cina. Però
possiede molta liquidità, è una conglomerata oligo-monopolistica; quindi fa
soldi, accumula rendite… Ma non in Cina, in India, e poi investe fuori. I
miei calcoli sulle produzioni fisiche mi dicono che, bene che vada, l”India non
arriva neanche al 20% della produzione cinese, sta èiù vicina al 15… Quindi
se la Cina cresce del 7%, l’India fisicamente cresce del 5. In assoluto la Cina
continua a crescere di più. L’India non può rimpiazzare la Cina. E non può
farlo nessun altro paese… L”Indonesia e altri . hanno sviluppato molte
manifatture, molte industrie, ma non hanno la base, la potenza espansiva verso
l’estero, l”integrazione internazionale, le produzioni e le esportazioni che ci
sono in Cina. La base manifatturiera mondiale è la Cina.

Ma si
crea un problema, a questo punto. Un sistema che o cresce o crepa può
affrontare una stagnazione secolare? Ormai siamo all”ottavo anno di crisi
globale…

E infatti
la tesi di Larry Summers è: siamo in una stagnazione secolare come linea di
tendenza, quindi dobbiamo sviluppare le bolle finanziarie. Questa è la sua
tesi. È l’unica soluzione alla stagnazione che riesce a vedere. Se continuiamo
così noi piombiamo nella stagnazione secolare e non se ne esce, quindi noi (le
banche centrali di tutto il mondo, a partire dalla Fed, ndr) dobbiamo
cercare di creare altre bolle. Che poi esplodono, però…

Va bene, però questa non è una crescita…

No, non è
una crescita. Però l’idea è questa: le bolle americane sono finanziarie, certo,
ma anche reali; nel senso che comunque qualcuno si indebita di più per
produrre.

Per
esempio, finanzi il fracking…

Sì.Però
adesso il fracking sta calando rapidamente, perché a questi prezzi si vende
sottocosto. Cisono molte piccole società che si sono molto indebitate per
fare fracking. E adesso il debito è diventato molto vincolante… perché il
prezzo del petrolio non giustifica il fracking. Questi ora devono pagare.

E anche gli interessi, devono pagare…

Sì. Poi
ci sono alcuni aspetti difficilmente comprensibili. Gli Stati Uniti non stanno
litigando con l’Arabia Saudita. Del resto l’Arabia Saudita non ha autonomia
rispetto agli Stati uniti, però sta conducemdo la battaglia contro il
fracking…

Siamo sicuri che l’Arabia Saudita non abbia qualche
autonomia rispetto agli Usa?

Tutto il
sistema finanziario dell’Arabia Saudita è americano, è petrodollari, è in
America. Quello che non capisco è perché l’Arabia Saudita, gli Stati Uniti non
frenino la caduta dei prezzi. Gli Stati uniti saranno anche interessati al
crollo del prezzo del petrolio per colpire la Russia, ma queste sono cose
contingenti, non strutturali.

Di sicuro
le hanno fatto male; la Russia avrà quest’anno tra il 4 e il 4,5 in meno di Pil
a ausa del crollo del prezzo del petrolio.

Però le società del fracking sono
società americane, che agiscono quasi soltanto in territorio
statunitense. 
C’è stato un po’ di fracking in Australia,
però non ha funzionato. Ci sono state delle rivolte perché si sono visti
l’acqua di casa che prendeva fuoco (per le infiltrazioni gas nelle falde, ndr).
Fra l’altro in zone rurali abitate dal ceto medio, gente che si era fatta la
casa e in zone che eleggono conservatori. Quindi il fracking in Australia si è
bloccato. In America no, perché l’hanno messo in Pennysilvania, in posti
abitati da popolazioni di cui non tengono per nulla conto.

Però, così, non si vedono prospettive di
grande ripresa globale…

No,
l’unica ripresa è questo meccanismo americano. Aumenteranno i tassi di
interesse, ricomincerà l’indebitamento… L”America cresce forse del 2%, però
bisogna considerare che negli Usa cresce anche la popolazione, dell’1% e
spiccioli; quindi la crescita pro-capite americana non è affatto alta.

Mi sembra
anche che i posti di lavoro creati non siano particolarmente qualificati.

No. Però almeno c’è un briciolo
crescita. Mentre il Giappone è rientrato in recessione el
’Europa
è completamente ferma. E la felicità inglese è completamente collegata
alla City. No, ripresa vera non ne vedo. Nell’ambito dell’economia e anche
della politica mondiale, c’è una zona che gli americani sono stati lasciati
scappare: le ex zone sovietiche dell’Asia centrale. Per esempio, il Kazakistan
è un grosso produttore di gas, petrolio, ecc. Su quell”area c’era inizialmente
una idea russo-tedesco-cinese. Quella di costruire un grande asse
Germania-Russia-Kazakistan e Cina. Qualche mese fa c’è stato il primo treno
merci partito dalla Cina e arrivato a Duisburg…

Passando per la Russia…

Ed anche
per l’Ucraina. Questa idea costituiva la nuova frontiera dell’industria
meccanica pesante tedesca, perché per realizzarla bisogna ristrutturare
gran parte dell’industria russa, ristrutturare il sistema ferroviario del
Kazakistan, ecc. E c’è in effetti una società legata alle ferrovie tedesche che
si occupa delle ferrovie kazake. E poi bisogna costruire un collegamento
Kazakistan-Cina, cioè fare degli assi strutturati lungo i quali ci sono città,
ecc. Non è solo un asse di trasporto. È un po’ come lo sviluppo delle ferrovie
da costa a costa negli Stati uniti, alla fine dell”800: lungo le ferrovie si
creavano delle città, alcune morivano, altre no.

Questo si
incontra con la strategia cinese, le nuove vie della seta…

Questo
era il grande progetto. Non so se avevano fatto i conti in termini di bilanci e
di pagamenti, però c’è il surplus cinese, ancora; è ridotto ma c’è.

Cӏ anche
un forte surplus tedesco…

C’è il
surplus cinese, il surplus tedesco, c’è il surplus russo e c’è anche il surplus
kazako. Quindi tutti questi surplus potevano mettere insieme dei capitali,
usarli per fare queste cose e dare impulso alle esportazioni tedesche. L’idea
era della Germania… Però secondo me è saltata con l’Ucraina. Ed è stata una
scelta americana. Che ha detto alla Germania: io ad est non ti ci faccio
andare…

Comunque
impediscono una saldatura, la costituzione di quell’asse, che è tedesco ma
anche cinese e russo…

Gli americani non sono più in
Kirghizistan e in altre
 zone dove ci sono giacimenti di gas. Strano,
perché erano in Afghanistan, quindi… Gran parte delle loro
operazioni in Afghanistaneranogestite su basi russe che stavano in
Kirghizistan. Ora invece non ci sono proprio, non
hannoalcun impatto geopolitico, geoeconomico, su quell”area. Però con
l’Ucraina sono riusciti a bloccare tutto, a mettere in crisi la
Germania. Qui c’è la vera debolezza della Germania. Quando
scoppiò la crisi ucraina il quotidiano economico tedesco Handelsblatt era contro il conflitto con la Russia. Però una parte del governo tedesco,
come “la baronessa”, la ministra della difesa tedesca Ursula von der
Leyen, era completamente a favore di un “ruolo dinamico della
Germania nei confronti dell’Ucraina”, cioè di appoggio all’Ucraina. E anche
Schaeubleera favorevole a dare alla Germania una funzione di punta nella
situazione Ucraina.

Due idee
diverse che si scontrano in Germania, allora. Tra una espansione tipo classico,
un”area di influenza che si allarga, e un’altra che dice: usiamo il surplus per
costruire un legame solido e costante di relativa indipendenza…

La via di
von der Layen e Schaeuble è conflittuale con gli stessi interessi
tedeschi. Un economista conservatore come Hans Werner Sinn, l’anno scorso, l”ha
detto papale papale: “noi non dobbiamo scontrarci con i russi”.

E lo stesso che diceva: facciamo l’Euro del nord?

Sì. Sulla
vicenda dell’Ucraina, secondo me, dietro c”è anche la Francia, che ha interesse
a mettere i bastoni tra le ruote alla Germania.

Però
aveva anche interesse ad avere un asse a est…

Sì, però
loro hanno appoggiato molto l’Ucraina, nei fatti. L’articolazione era Stati
Uniti-Nato-Polonia. In quella partita la Polonia ha giocato un ruolo molto
importante, perché praticamente ha trasformato la parte non orientale
dell’Ucraina in un protettorato polacco. E dietro c’era la Francia che ha
appoggiato, mentre la Germania è entrata in difficoltà. Ma questo ti fa saltare
una grande strategia…

Ed anche
un asse di sviluppo possibile, perché quel disegno lì danneggia la Cina,
danneggia la Germania e la Russia… Però era anche l’unica idea dinamica di
uscita dalla crisi…

Sì. Oltre
al collegamento con la Cina attraverso Ucraina, Russia e Kazakistan,
avevano in progetto anche un asse meridionale con Turchia e Iran.

A quanto
pare non sono rimaste né zone, né idee, né progetti…

No, niente.




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