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Grande scacchiera a prova di Russia: che succede nell'Unione Eurasiatica?

Pur percepita come costola di Mosca, da 2 anni in qua la Bielorussia ha cercato un ruolo di mediatore fra Russia, Ucraina e Occidente. Un avvicinamento a Bruxelles

Grande scacchiera a prova di Russia: che succede nell'Unione Eurasiatica?
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3 Marzo 2016 - 22.26


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di Dario Citati.

24/02/2016


La
settimana scorsa i Ministri degli Esteri dell’Unione Europea hanno
deciso di revocare parte delle sanzioni contro la Bielorussia, togliendo
il divieto di visto a 170 cittadini, fra cui lo stesso Presidente
Aleksandr Lukašenko, e facilitando l’accesso a finanziamenti europei per
le aziende del paese (resta in vigore, invece, l’embargo sulle armi). 

Nessun cambiamento in tema di diritti e democrazia è avvenuto in quella
che fu definita con spregio «l’ultima dittatura d’Europa»: sulla
decisione è stato invece determinante l’atteggiamento tenuto dal
Presidente bielorusso nella crisi ucraina. Tradizionalmente percepita
come una costola di Mosca, da due anni a questa parte la Bielorussia ha
cercato infatti di porsi – o sicuramente è riuscita a farsi percepire –
come un possibile mediatore fra Russia, Ucraina e Occidente, ospitando i
colloqui negoziali a Minsk e iniziando un percorso di avvicinamento con
Bruxelles.

La scelta dell’UE non giunge dunque
inaspettata perché da tempo si registrava un disgelo con Lukašenko,
divenuto più palpabile negli ultimi mesi. Proprio quando, tuttavia, i mass media
occidentali hanno invece iniziato una serie di virulenti attacchi alla
persona di Vladimir Putin: dapprima additato da un tribunale del Regno
Unito come il «probabile» mandante dell’omicidio Litvinenko
avvenuto a Londra dieci anni fa – un giudizio sferzante basato su
ipotesi senza prove che non fa certo onore alla grande tradizione
giuridica britannica – poi accusato sulla stampa internazionale di
essere un «corrotto» e detenere inestimabili ricchezze sparse per il
mondo.

Si tratta già del secondo caso in un
breve lasso di tempo in cui lo scontro politico-mediatico dell’Occidente
con la Russia si accompagna in modo discreto ad una distensione con i partner
più stretti di Mosca. Il 21 dicembre 2015, cioè esattamente nello
stesso giorno in cui il Consiglio d’Europa rinnovava per altri sei mesi
le sanzioni contro la Federazione Russa, l’Alto Rappresentante UE Federica Mogherini siglava ad Astana un importante Accordo di Partenariato e Cooperazione con il Kazakhstan

Proprio come nel più recente caso bielorusso, anche qui si è dunque
assistito ad una partita giocata in parallelo: mentre la tensione con la
Russia resta alta, vengono offerte concrete sponde di cooperazione ai
suoi alleati storici. Pur se messi in ombra dalle grandi questioni della
Siria e dell’Ucraina, questi fatti sono molto importanti per delineare
il futuro della politica estera russa in Eurasia. D’altronde,
contrariamente a quanto spesso si sente dire, né la crisi siriana né
quella ucraina hanno infatti veramente «isolato» la Federazione Russa.

Mentre i rapporti con la Russia restano tesi, l’Occidente
tende la mano agli alleati di Mosca, revocando le sanzioni alla
Bielorussia e stringendo accordi di cooperazione con il Kazakhstan.

Con l’azione militare in Vicino Oriente,
Putin ha acquisito infatti un certo prestigio presso l’opinione
pubblica europea, ponendosi mediaticamente come il capofila della lotta
allo Stato Islamico e dimostrando che la Russia sarà, nel bene e nel
male, un attore ineludibile per decidere il futuro della Siria. E se con
il valzer di sanzioni e controsanzioni i rapporti con Europa e Stati
Uniti sono fortemente peggiorati soprattutto sul versante economico,
oggi il disastro tutto interno all’Ucraina riorienta lievemente gli
equilibri in favore di Mosca. 

Il 16 febbraio il Presidente Petro
Porošenko ha chiesto le dimissioni del Primo Ministro Jacenjuk, aprendo
una crisi politica che si somma al dissesto finanziario in cui versa il
paese, proprio quando le tensioni con i separatisti del Donbass si erano
affievolite da mesi e il governo di Kiev aveva teoricamente la
possibilità di beneficiare degli aiuti occidentali.

Dopo l’EuroMaidan alcuni singoli paesi
NATO (vedi la stessa Italia), avevano aderito con riluttanza alla
strategia di sostegno incondizionato all’Ucraina. Oggi, con una
corruzione e un’inflazione a livelli stellari e un’instabilità che
impedisce qualsiasi proiezione strategica del paese, gli stessi USA e UE cominciano a dubitare che valga la pena continuare a sostenere Kiev a fondo perduto.
Sia chi credeva di poter usare l’Ucraina contro la Russia, sia chi
appoggiava Kiev convinto sinceramente di assistere a una rivoluzione
democratica soffocata da Mosca, è tentato insomma di ricredersi (paure e
pressioni baltico-polacche permettendo).

La novità critica per la Russia è invece
proprio questo relativo raffreddamento con gli alleati tradizionali,
nella fattispecie Bielorussia e Kazakhstan. In primo luogo, la crisi
ucraina e soprattutto la questione della Crimea hanno ridestato in
taluni ambienti il fantasma dell’imperialismo grande-russo. 

Sul piano
pratico, Minsk e Astana sono invece spesso costretti a incassare con
malumore decisioni unilaterali di Mosca che influiscono sul mercato
comune sorto con l’unione tariffaria doganale e divenuto nel 2015
l’Unione Economica Eurasiatica (UEE). 

Ad esempio, l’embargo di prodotti
europei e il crollo del rublo hanno avuto un impatto molto negativo per
il Kazakhstan, che si è trovato alle prese con un surplus di
prodotti russi nel proprio mercato interno, procedendo a sua volta alla
svalutazione della moneta locale, il tenge. Anche le sanzioni russe
contro la Turchia, proprio come quelle contro l’Europa, ostacolano gli
scambi commerciali con il Kazakhstan attraverso il territorio russo,
creando difficoltà ad Astana che oggi chiede a Mosca di tenere in maggior conto gli interessi nazionali kazaki.

La revoca delle sanzioni alla
Bielorussia, con cui Mosca ha legami senz’altro forti, potrebbe invece
aprire uno scenario paradossale: come il Kazakhstan che sigla accordi
strategici con l’UE, Minsk si troverebbe favorita nel commercio con
l’Europa a detrimento della Russia stessa (ancora sotto sanzioni), e
senza avere neppure la distanza geografica che separa Europa e
Kazahstan. Non a caso, l’Ambasciatore russo a Minsk ha recentemente
dichiarato in un’intervista che la legittima volontà bielorussa di avvicinarsi all’Europa non deve però compromettere le relazioni con la «sorella Russia».
Nella stessa direzione può essere interpretata la notizia che sarà
presto elaborata una nuova dottrina militare russo-bielorussa: un
annuncio fatto all’indomani della revoca delle sanzioni a Minsk, quasi a
rassicurare sé stessi e gli altri che in ogni caso la Bielorussia
resterà saldamente nell’orbita del Cremlino.

La crisi ucraina non ha isolato la Russia come si crede,
ma ha generato malumori all’interno dell’Unione Eurasiatica che Mosca
deve gestire evitando il nazionalismo estremo e le prove di forza.

Dal punto di vista strettamente
geopolitico, nell’immediato questi malumori non sono in grado di
impensierire la Russia. La storia recente insegna tuttavia che proprio
le trattative per il Partenariato orientale e l’Accordo di associazione
con l’UE hanno fatto da casus belli per l’EuroMaidan, da cui
sono scaturite la guerra civile ucraina e poi l’annessione della Crimea. 

 In altri termini, già il solo avvicinamento economico delle repubbliche
ex sovietiche a Europa e Stati Uniti può incrinare pericolosamente il
rapporto della Russia con il proprio «estero vicino», dove essa intende
mantenere una robusta influenza per ragioni insieme economiche,
geostrategiche e psicologiche. E dove peraltro vivono, come nel Nord del
Kazakhstan, importanti e consistenti comunità russe.

Per Mosca sarebbe tuttavia un errore
rispondere a questi segnali con la retorica del complotto occidentale
mirante ad insinuarsi nella propria sfera d’influenza. Perché se è
indubbio che esiste una strategia che punta a balcanizzare l’estero
vicino della Russia, è anche vero che l’attrattiva esercitata
dall’Occidente in questi paesi si deve al fatto che la transizione ad
un’economia di mercato avanzata si sta rivelando troppo lunga e non
viene certo aiutata dalla dipendenza da gas e petrolio che ancora limita
la capacità d’attrazione della Russia. 

Per il Cremlino sarà dunque
fondamentale gestire questa fase con le armi della diplomazia, del soft power
e del coinvolgimento degli alleati, rinunciando ad eccessi di
nazionalismo che potrebbero peggiorare i rapporti nel breve periodo. E
che sul lungo sarebbero assai rischiosi, soprattutto nell’ipotesi di
voler difendere con la forza altre caselle della scacchiera eurasiatica
minacciate dai miraggi di sviluppo dell’Occidente.

NOTA:


Dario Citati è Direttore del Programma di ricerca «Eurasia» dell’IsAG.

Fonte: http://www.geopolitica-rivista.org/31363/la-grande-scacchiera-a-prova-di-russia-che-succede-nellunione-eurasiatica.html.

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