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“F35, giustizia e Kazakhstan: lo Stato è umiliato”

Siccome i “maltrattamenti” alla Carta costituzionale continuano, è utile sentire vedere cosa ne pensa il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky.

“F35, giustizia e Kazakhstan: lo Stato è umiliato”
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18 Luglio 2013 - 21.59


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Intervista
di Silvia Truzzi al costituzionalista  Gustavo Zagrebelsky.

Siccome i
“maltrattamenti” alla Carta continuano, ci tocca disturbare di nuovo – a poche
settimane dall’ultima volta – Gustavo Zagrebelsky.

Professore, negli ultimi tempi abbiamo assistito
a numerosi episodi di natura politica e costituzionale che hanno suscitato discussioni
e polemiche. Lei che ne pensa?

Prima che
dagli episodi, iniziamo da un dubbio, da un interrogativo di portata generale,
di cui vorremmo non si dovesse parlare. E, invece, dobbiamo.  

Cosa intende?

Una cosa
angosciante. Si tratta solo di singoli episodi, oppure di manifestazioni di
qualcosa di più profondo, che non riusciamo a vedere e definire con chiarezza,
ma avvertiamo come incombente e minaccioso? Qualcosa in cui quelli che
altrimenti sarebbero appunto solo episodi isolati, assumono un significato
comune. Li dobbiamo trattare isolatamente o come sintomi d’un generale e
pericoloso malessere?

Dica lei.

Guardi: può
darsi ch’io pecchi in pessimismo. Mi sembra che sulla vita politica, nel nostro
Paese, in questo momento, gravi un “non detto” che spiegherebbe molte cose. Si
fa finta di vivere nella normalità della vita democratica, ma non è così. È
come se una rete invisibile avvolgesse le istituzioni politiche
fossilizzandole; imponesse agli attori politici azioni e omissioni altrimenti assurdi
e inspiegabili; mirasse a impedire che qualunque cosa nuova avvenga. Questa è
stasi, situazione pericolosa. Se qualche episodio, anche grave o gravissimo,
sfugge alla rete, l’imperativo è sopire, normalizzare. Ciò che accade sulla
scena politica sembra una messinscena. Ci si agita per nulla concludere. Ma la
democrazia, così, muore. Lo spettacolo cui assistiamo sembra un gioco delle
parti, oltretutto di livello infimo. Il numero degli appassionati sta
diminuendo velocemente. L’umore è sempre più cupo. Bastava guardare i volti e
udire il tono di alcuni che hanno preso la parola nel dibattito sulla vicenda
della “rendition” kazaka. Sembravano
tanti “cavalieri dalla trista figura”. Non si respirava il “fresco profumo
della libertà”, di cui ha scritto ieri Barbara Spinelli. Né v’era traccia di
quella “felicità” che è l’humus della democrazia, di cui abbiamo ragionato Ezio
Mauro e io, in contrasto con l’atmosfera stagnante dei regimi del sospetto,
dell’intrigo, della libertà negata.

Si riferisce alla maggioranza modello “larghe
intese”?

Innanzitutto:
è una maggioranza contro natura; contraria alle promesse elettorali e quindi
democraticamente illegittima, anche se legale; che pretende di fare cose per le
quali non ha ricevuto alcun mandato. Ricorderà che è stata formata
pensando a poche e chiare misure da prendere insieme: governo “di scopo”
(come se possa esistere un governo senza scopi!), “di servizio” (come se ci
possa essere un governo per i fatti suoi!) e, poi, “di necessità”. Ora, sembra
un governo marmorizzato il cui scopo necessario sia durare, irretito in un
gioco più grande di lui. La riforma elettorale, bando alle ciance, non si fa,
perché in fondo, oltre che essere nell’interesse di molti, nel frattempo, con
l’attuale, non si può tornare a votare. Perfino l’abnorme procedimento di
revisione della Costituzione è stato pensato a questo scopo, come si ammette
anche da diversi “saggi” che pur si sono lasciati coinvolgere. E, in attesa che
la si cambi, la si viola.

Così arriviamo agli episodi. Il caso F-35?

Incominciamo
da qui. Il Parlamento è stato esautorato quando il Consiglio supremo di difesa
ha scritto che i “provvedimenti tecnici e le decisioni operative, per loro
natura, rientrano tra le responsabilità costituzionali dell’esecutivo”,
sottintendendo: “responsabilità esclusive”. Chissà chi sono i consulenti
giuridici che hanno avallato queste affermazioni, che svuotano i compiti del
Parlamento in materia di sicurezza e politica estera? Un regresso di due
secoli, a quando tali questioni erano prerogativa regia. Del resto, lei sa che
cosa è questo Consiglio? Qualcuno si è ricordato che la sua natura è stata
definita nel 1988 da una relazione della Commissione presieduta da un grande
giurista, Livio Paladin, istituita dal presidente Cossiga per fare chiarezza su
un organo ambiguo (ministri, generali, presidente della Repubblica)? Fu
chiarito allora che si tratta di un organo di consulenza e informazione del
presidente, senza poteri di direttiva. D’altra parte, chi stabilisce se certi
provvedimenti e certe decisioni sono solo tecniche e operative, e non hanno
carattere politico? I sistemi d’arma, l’uso di certi mezzi o di altri non sono
questioni politiche? Chi decide? Il Parlamento, in un regime parlamentare.
Forse che si sia entrati in un altro regime?

L’affaire kazako è una “brutta figura internazionale”
o una violazione dei diritti umani?

Una cosa e
l’altra. Ma non solo: è l’umiliazione dello Stato. Ammettiamo che nessun
ministro ne sapesse qualcosa. Sarebbe per questo meno grave? Lo sarebbe perfino
di più. Vorrebbe dire che le istituzioni non controllano quello che accade nel
retrobottega e che il nostro Paese è terreno di scorribande di apparati dello
Stato collusi con altri apparati, come già avvenuto nel caso simile di Abu
Omar, rapito dai “servizi” americani con la collaborazione di quelli
italiani e trasportato in Egitto: un caso in cui s’è fatta valere pesantemente
la “ragion di Stato”. Non basta, in questi casi, la responsabilità dei
funzionari. L’art. 95 della Carta dice che i ministri, ciascuno personalmente,
portano la responsabilità degli atti dei loro dicasteri. Se, sotto di loro, si
formano gruppi che agiscono in segreto, per conto loro o in combutta con poteri
estranei o stranieri, il ministro non risponderà penalmente di quello che gli
passa sotto il naso senza che se ne accorga. Ma politicamente ne è pienamente
responsabile. Troppo comodo il “non sapevo”. Chi ci governa, per prima cosa,
“deve sapere”. Se no, dove va a finire la nostra sovranità? Chi, dovendola
difendere, in questa circostanza, non l’ha difesa?

Che dire del blocco del Parlamento decretato per
protesta contro l’Autorità giudiziaria?

Che, anche
questa, come la manifestazione di decine di parlamentari scalpitanti dentro e
fuori il Tribunale di Milano, è una vicenda inconcepibile. Altrettanto
inconcepibile è che l’una e l’altra non siano state oggetto di puntuale e
precisa condanna. Anche qui: ammettiamo per carità di Patria che l’una sia
stata una normale sospensione tecnica e l’altra una visita guidata a un palazzo
pubblico. Non basta, però, averli “derubricati”, per poter dire che non è
successo nulla. La questione è che non s’è detto autorevolmente che l’intento e
i mezzi immaginati sono, sempre e comunque, inammissibili perché contro lo
Stato di diritto.

C’è una logica che spiega i singoli episodi?

Potrei
sbagliare, ma a me pare che su tutto domini la difesa dello status quo e del
governo che lo garantisce. In stato di necessità, si passa sopra a tutto il
resto. L’impressione, poi, è che in quella rete invisibile di connivenze, di
cui parlavo all’inizio, si finisca per attribuire a un partito e al suo leader
un plusvalore che non corrisponde al loro consenso elettorale e alla
rappresentanza in Parlamento. Come se toccarne gli interessi possa determinare
una catastrofe generale. Sembra che tutti siano utili, ma qualcuno sia
necessario e, per questo, si debbano tollerare da lui cose che, altrimenti,
sarebbero intollerabili.

Così si è corrivi nei confronti di una parte
politica, anche se c’è di mezzo la Costituzione. A chi spetta difenderla?

In
democrazia, a tutti i cittadini, che nella Costituzione si riconoscono. Poi, a
chi occupa posti nelle istituzioni, subordinatamente a un giuramento di
fedeltà. Infine, salendo più su, a colui che ricopre il ruolo comprensivamente
detto di “garante della Costituzione”, il presidente della Repubblica.

Fonte:  Il Fatto Quotidiano, 18 luglio2013, pag. 5.
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