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Contratti derivati, un segreto di Stato

Il Ministero dell’Economia nega consegna e diffusione di copia dei contratti derivati tra lo Stato italiano e alcune banche d’affari internazionali. [Francesco Bochicchio]

Contratti derivati, un segreto di Stato
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24 Febbraio 2016 - 05.26


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di Francesco Bochicchio

In queste settimane di turbolenze bancarie appare evidente che il governo ha qualche problema a confrontarsi in maniera adeguata con il settore e i temi finanziari. Può essere utile, a questo proposito, ricordare un altro episodio che rimonta a sole alcune settimane fa e che è passato quasi inosservato.

Il Ministero dell’Economia, di fronte alle pressanti richieste di alcuni settori dell’opinione pubblica, del Movimento5Stelle, di alcune associazioni di consumatori, di trasmissioni televisive e di alcune testate giornalistiche, ha negato la consegna e la diffusione di copia dei contratti derivati tra lo Stato italiano e alcune banche d’affari internazionali.

Gli aspetti tecnici dei derivati con lo Stato

Si tratta di un diniego del tutto surreale ed in contrasto con la normativa. L’offerta al pubblico di strumenti derivati è un’attività di servizi di investimento in strumenti finanziari, riservata a banche e S.I.M. e soggetta a particolari controlli di stabilità, trasparenza e correttezza, controlli affidati alla Consob. In tale ottica, il contratto deve rispondere a certi principi e criteri e, anche quando sviluppato con clienti esenti da alcune particolari esigenze di tutela, in particolare con clienti istituzionali come lo Stato italiano, deve sempre essere finalizzato all’interesse dei clienti.

E ciò appare inevitabile ed è una caratteristica essenziale degli investimenti in strumenti finanziari: basti pensare, al contrario, ai depositi bancari, nei quali la somma di denaro passa di proprietà della banca, obbligata a restituire l’importo ricevuto, maggiorato di interessi ad un tasso predeterminato. Il cliente è sicuro di avere indietro la somma, oltre gli interessi, tranne che in caso di dissesto della banca debitrice, la quale impiega comunque le somme ricevute a proprio beneficio e rischio, in fidi ed in operazioni di tesoreria. Oltre ai controlli di stabilità, non vi sono altri controlli a tutela dei risparmiatori, se non quelli di trasparenza sulle condizioni economiche praticate dalla banca. Controlli sui crediti, oltre ai profili di stabilità, non sono a tutela dei risparmiatori, in quanto i crediti incidono solo sull’interesse della banca.

Nei servizi di investimento, al contrario, le somme investite restano di proprietà dei risparmiatori, che corrono il rischio e beneficiano degli utili, mentre l’intermediario che cura gli investimenti, eseguendoli od addirittura scegliendoli, ha l’unico interesse ad una commissione predeterminata e non può avere altro interesse che si ponga in contrasto, anche potenziale, con quello del cliente ad un mix ottimale del nesso rischio/beneficio.

Negli investimenti in conto proprio –negoziazione in conto proprio, forma questa in cui sono conclusi i derivati, collocamento con preventiva sottoscrizione od acquisto a fermo-, dove l’intermediario è controparte del cliente, l’interesse dell’intermediario autonomo rispetto a quello del cliente ed addirittura in contrasto con esso è inevitabile, ma la circostanza che l’intermediario investe sempre per conto del cliente obbliga il primo a soddisfare il proprio interesse senza trascurare quello del secondo. Sono pertanto richieste una serie di condizioni circa la liquidabilità e l’oggettività del prezzo del titolo, ed in ogni caso l’intermediario deve contemperare tra di loro i due interessi in partenza contrapposti.

Il ruolo della Consob

Proprio l’imperatività della tutela del cliente comporta il controllo della Consob sui contratti: il controllo di tale Autorità pubblica è di natura pubblicistica ed è inderogabile. Una rinunzia del cliente a perseguire i propri interessi, configurabile in ambito ristretto, non avrebbe valore per i controlli pubblici. Pertanto, la Consob ha il potere di esercitare i controlli sui contratti dello Stato con le banche internazionali, anche in caso di remora dello stesso Stato a provvedere alla propria tutela. La sovranità statale non può infatti concretizzarsi nella rinunzia alla propria tutela, poiché una rinunzia può investire i valori privatistici dello Stato, ma non i principi ed i valori essenziali, quale quello a (il controllo su) un corretto esercizio dell’attività dei servizi di investimento sul proprio territorio.

La consegna del contratto dello Stato con le banche internazionali non può pertanto essere negata in seguito ad una richiesta della Consob: tale richiesta, obbligatoria in presenza di seri dubbi quali quelli prospettati, ha come destinatarie le banche internazionali.

Una volta ottenuta la copia, se emergono gravi dubbi di illecito, la Consob ha l’obbligo di avviare un procedimento sanzionatorio nei confronti delle banche, sottoposto ai profili di trasparenza propri dei procedimenti dell’ente.

Nel caso di sanzione della Consob nei confronti delle banche estere, si porrebbe certamente il problema politico del perché lo Stato non abbia attivato autonomamente il procedimento avviato dall’Organo di controllo e non abbia provveduto alla propria tutela. Le risposte sarebbero imbarazzanti e getterebbero luci inquietanti sugli aspetti giuridici ed istituzionali del (la fase del dominio del) capitale finanziario. Ma di questo imbarazzo non si può evidentemente far carico la Consob, tenuta per legge ad attivare detti controlli.

Non risulta peraltro che la Consob abbia presentato al Ministero dell’Economia tale richiesta, ed è – quanto meno – dubbio che lo faccia nel futuro, vista l’estrema timidezza mostrata da tale Autorità nelle attività e nei prodotti più rischiosi – derivati, obbligazioni subordinate, etc -: ebbene, tale omissione è del tutto inammissibile ed in contrasto con la legge.

(23 febbraio 2016)

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