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Con #latrattativa raccontiamo la Storia per capire il presente

'Sabina Guzzanti presenta il suo film e spiega: la parola ''Trattativa'' farebbe pensare a un tentativo, mentre è coinvolta una cerchia più ampia dentro le istituzioni'

Con #latrattativa raccontiamo la Storia per capire il presente
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11 Settembre 2014 - 07.44


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Il film di Sabina Guzzanti oltre le polemiche

di Aaron Pettinari.

Che
vi sarebbero state polemiche per un film che parla di un tema come la
trattativa tra Stato e mafia era abbastanza scontato. Del resto se
l”iter per la realizzazione è stato irto di ostacoli anche la fase
successiva, ovvero la visione nelle sale (che prenderà il via ad
ottobre) dopo la presentazione ufficiale fuori concorso alla Mostra del
Cinema di Venezia, non poteva essere una semplice passeggiata. Ciò che
Sabina Guzzanti forse non si aspettava è che a muovere una delle prime
critiche sarebbe stato l”ex procuratore Gian Carlo Caselli, che a
Palermo è stato sette anni nel tempo immediatamente successivo alle
stragi.

“Chiariamo subito una cosa – dice la Guzzanti – i meriti
dell’ex procuratore di Palermo non sono minimamente messi in discussione
nel film ed è proprio per questo motivo che la critica mossa da Caselli
è stata tanto inattesa. Ciò che gli ha dato fastidio, da quel che ho
potuto leggere nella sua lettera, è il modo in cui è stata raccontata,
usando le stesse parole dell”ex pm, “una pagina grave e oscura come la
mancata perquisizione del covo”. Non si contesta l”episodio anche perché
è basato su quanto da lui raccontato sia in Tribunale che per telefono.
Dice che nella rappresentazione ho usato una “tecnica da cabaret” e
certo non è la prima volta che mi capita di ricevere lezioni non
richieste su cosa sia la “vera satira” e quali siano i suoi presunti
limiti. Ma ovviamente non mi aspettavo che anche il dottor Caselli si
risentisse in questa maniera. Del resto se ho realizzato questo film è
anche grazie all”esempio di figure come la sua”.

Se da una parte c”è chi critica dall”altra arrivano anche tanti
complimenti. Sia dopo la conferenza stampa di presentazione che alla
prima assoluta della scorsa settimana vi sono stati quasi dieci minuti
di applausi.

In realtà erano anche di più e sono finiti soltanto
perché ci siamo alzati noi. A Venezia c”è sempre questa “gara” su quale
film è stato più applaudito, anche se io non vedo troppo queste
competizioni. Da parte mia posso dire che è stato sicuramente un momento
molto bello. Abbiamo capito che al pubblico è piaciuto quel che abbiamo
realizzato e, tra l”altro, una conferma ce l”hanno data i numeri. In
quattro proiezioni in un giorno e mezzo hanno visto il film più di
quattromila persone. Di questo non possiamo che essere contenti.

Questi applausi possono essere una sorta di rivincita sul
Ministero che le ha negato il finanziamento che lei aveva richiesto
oltre al riconoscimento non oneroso di film “d’interesse culturale”?

Di
questa storia si è parlato tanto. Certo mi ha fatto arrabbiare ma
sinceramente spero che questo film rappresenti una rivincita per cose
più importanti che non per la Commissione del Ministero.

Come nasce l’idea di fare questo film su un tema così delicato come la trattativa?

È
un tema delicato, ma se ne parla da tanto tempo e nessuno ci ha capito
niente, me per prima. Io ho cominciato da quello che sapevo traendo
spunto dai giornali e dalla tv.

Quando ho cominciato a leggere dei
libri, a studiare, ho scoperto delle cose che non sapevo affatto, ma non
è tanto che non sai questo o quell’episodio, il fatto è che spesso non
si riesce a capire in che modo sono collegati tra loro, o potrebbero
essere collegati tra loro, e soprattutto
qual è l’importanza di questi episodi, perché noi siamo bombardati da
notizie continuamente. Un momento ci parlano del terremoto nelle
Filippine e poi di altre mille cose che accadono, ma le notizie prese
così non significano proprio nulla. Quindi dobbiamo approfondire. Perché
si parla si trattativa? Ci sono ogni tanto delle polemiche, ogni tanto
se ne riparla, ogni tanto si dice che si è messo in piedi un processo
inutile, che non arriverà mai da nessuna parte. Così fosse non sarebbe
una novità, perché da noi i processi sulle stragi non vanno da nessuna
parte, ma che l’opinione pubblica possa capire quali sono i dubbi e le
accuse che queste inchieste, nel corso di vent’anni, hanno prodotto
resta comunque un fatto importante. Del resto quando noi diciamo nel
titolo “#latrattativa”, non è che parliamo di un film che si basa sul
processo di Palermo, è un film che mette insieme un insieme di
accadimenti, su cui hanno investigato nel corso di vent’anni tre diverse
Procure o anche non hanno investigato in alcuni casi, oppure hanno
investigato molto, molto tardi. Quindi ho fatto questo film perché mi
sembrava appassionante come racconto, e credo sia molto utile, perché dà
delle spiegazioni a tante domande che ci siamo fatti in questi anni e,
soprattutto, mette chiunque in condizione di capire di che cosa si
parla, anche alle persone che non leggono i saggi specialistici o anche
quelli che non leggono proprio il giornale.

La scelta usata per effettuare questo racconto è stata
quella se si vuole “inusuale” dell”impostazione teatrale ma molto
efficace. E” uno degli aspetti più apprezzati dal pubblico.

Sì,
in realtà è stato un processo piuttosto lungo, in cui mentre studiavo,
naturalmente, dicevo: “Dio mio come la possa raccontare tutta questa
quantità di avvenimenti che si svolgono nell’arco di tanti anni?”, ho
escluso subito di poterla raccontare con un documentario, perché sarebbe
venuta una cosa noiosissima, che non ha niente a che fare con un film,
ho provato a raccontarla soltanto con la finzione, ma anche in quel caso
ci sono cose che non si possono proprio raccontare. In quella maniera
sarebbe venuto un lavoro anche molto tradizionale, che non mi
appartiene. Finché poi ho trovato questa formula, che ha veramente tanti
vantaggi, perché appunto si può mettere in contatto la finzione con il
materiale di repertorio e con le interviste, senza che sembri che si
stanno mescolando più cose diverse.

Un’altra tecnica che non manca è l”uso dell”ironia, come
in tutti i suoi film, non solo nelle mini scene recitate ma anche nelle
interviste come ad esempio quella all”ex ministro Mancino.

A
dire il vero in quell”intervista non era più lui ad essere ironico, nel
senso che comunque Mancino, a parte gli scherzi, nel film risponde
quello che ha risposto in Tribunale. Del resto non è che poteva
rispondere una cosa diversa, essendo imputato. Questa è la sua versione
dei fatti. Però è vero che per uno spettatore che non sa niente sembra
che le sue siano risposte assurde, quasi una presa in giro (ad esempio
quando dice di non sapere chi fosse Borsellino prima di avergli stretto
la mano, ndr). Personalmente credo che questo sia un film che fa venire
molta voglia di approfondire.

Lei, anche nel film, dice che non serve la verità
processuale per farsi un”idea di un fatto che poi è accaduto. Può il
cinema o comunque un”opera come la sua colmare il vuoto che troppo
spesso lascia l”informazione nel racconto di certe storie?

Io direi che nel nostro Paese ad essere svuotata è proprio la democrazia e l’informazione, in quanto è parte di essa,
è svuotata a sua volta.

Troppo spesso cambia segno per ragioni
squisitamente nazionali, ma anche per ragioni globali. Diciamo che
stiamo vivendo una fase di de-democratizzazione in cui la democrazia è
una parola veramente vuota c’è rimasto solo il voto e anche quello sta
diventando, con queste riforme, sempre più inutile, questo film è un
gesto di democrazia, innanzitutto mettere tutti in grado di capire di
che si parla, e poi di discutere senza dover aspettare la conclusione
dei processi, cioè uno degli slogan da cui siamo stati perseguitati in
questi anni è “finché non c’è la sentenza definitiva non si può
giudicare”. Io mi chiedo: “perché?” La sentenza definitiva riguarda
soltanto la responsabilità penale, però qua stiamo parlando di fatti che
sono realmente accaduti, al di là di chi siano i responsabili, comunque
responsabili di questi fatti sono per forza all’interno delle
istituzioni, perché si parla di fatti che non sarebbero potuti avvenire
se non ci fossero stati dei complici nelle istituzioni. E se questi
complici non fossero stati tanti e anche molto importanti, quindi,
perché non dobbiamo ragionare su queste cose, visto che quello che è
successo in quegli anni, a mio giudizio, a giudizio di tanti altri, ha
cambiato il corso della nostra democrazia?

In che modo sarebbe cambiato?

E” sotto
gli occhi di tutti che da quei fatti, di quegli anni, questo Paese è
paralizzato. Siamo rimasti sempre allo stesso punto, discutiamo degli
stessi fatti e abbiamo gli stessi problemi, economici, di corruzione, di
capitalismo corrotto e inetto, di mancanza di meritocrazia, che
tradotto significa di clientela, perché qua non è tanto la meritocrazia
quanto il fatto che, appunto, passano soltanto quelli che appartengono a
dei clan. E chi non appartiene a dei clan e non si impegna anche a
mantenere in salute il clan non ha nessuna possibilità di futuro in
questo Paese.

Il vostro racconto inizia con il pentimento di Spatuzza
nel 2008, però forse il personaggio di cui parlate in forma quasi
inedita è il testimone Luigi Ilardo.

Nell”inchiesta
che ho condotto sicuramente Ilardo è una delle figure che più mi ha
colpito. Nella sua storia ritrovo un paradosso della nostra
informazione. Si è parlato abbastanza del processo Mori – Obinu, che si è
concluso di recente con una assoluzione in primo grado, ma nessuno sa
che il processo Mori – Obinu si fonda sulla testimonianza e comincia con
la testimonianza del colonnello Riccio e di questo rapporto con questo
infiltrato che poi sarebbe dovuto diventare un collaboratore di
giustizia. Tra l’altro tutti i verbali e il racconto di Riccio li ho
trovati su Antimafia Duemila, in cui ci sono anche le registrazioni che
Riccio faceva durante questi incontri. Nel film questi incontri vengono
sintetizzati ma credo sia importante approfondire, capire anche lì
perché questo generale Mori sta sotto processo da tantissimi anni,
sapere almeno perché, che cosa gli si contesta.

Lei che idea si è fatta della trattativa tra Stato e
mafia? Dopo tanti anni ancora non si è arrivati ad una verità così come è
accaduto per tanti altri fatti e misteri che si sono avuti in Italia.
Alcuni li accennate anche nel film come la sparizione dell”agenda rossa o
il riferimento a Portella della Ginestra.

Esatto.
Partiamo da un aspetto. Quando si parla di trattativa innanzitutto
dobbiamo considerare la parola come un titolo giornalistico, come dire
tangentopoli, che forse non è calzantissimo come esempio, dentro cui ci
sono tanti episodi e tanti scandali. Ecco con questa parola si fa
riferimento a tante cose. Spesso l’opinione pubblica è convinta che
quando si parla di trattativa si parli di un tentativo, da parte di
alcune mele marce o alcuni servitori dello Stato, a seconda di come la
si vuol pensare, di scendere a patti con Cosa Nostra allo scopo di
fermare le stragi e che in cambio della cessazione delle stragi sia
stato concesso ad alcuni boss mafiosi di non essere più sottoposti a
regime di carcere speciale che è il 41 bis. L’idea che mi sono fatta io
invece, senza entrare nel merito del processo in corso a Palermo, è che
tutti questi fatti messi insieme in realtà sollevano dei dubbi molto più
pesanti e d’altra parte molto più utili per capire il presente. Ovvero,
che le stragi stesse siano state concepite all’interno delle
istituzioni. Naturalmente non da tutte. Si scorge la presenza di servizi
segreti deviati e poi ci sono anche personaggi che stanno a metà.
Possono esserci magistrati, che poi sono anche massoni, quindi se sono
massoni sono gli stessi che magari hanno storicamente partecipato a dei
tentativi di colpi di Stato. Comunque parliamo di una cerchia abbastanza
ampia di persone, che ha sempre reagito in questo modo di fronte alla
possibilità di cambiamento. Non dimentichiamo il contesto storico di
quegli anni in cui l’Italia sembrava che stesse cambiando, perché era
caduto il Muro di Berlino, perché c’era tangentopoli, perché la
coscienza dell’opinione pubblica era più forte, perché c’erano tanti
magistrati che finalmente erano liberi di investigare.

C’era Falcone che
era riuscito a condannare tanti boss all’ergastolo, per la prima volta
nella storia, a dimostrazione che un patto fra lo Stato e mafia
c’è sempre stato. Questo cambiamento viene bloccato dalle stragi e
questo conflitto si risolve con un patto politico. Perché di fatto da
quegli anni la politica italiana cambia completamente faccia, non solo
perché nasce un partito di centrodestra con delle caratteristiche che in
questo Paese non si erano mai viste e nasce dal nulla, ma anche perché
cambia faccia l’opposizione, che da quel momento in poi non solo non
farà opposizione, ma quando si alternerà nei governi di centrosinistra
porterà avanti le stesse riforme, lo stesso identico progetto.

E la società viene influenzata da questo cambiamento?

Assolutamente.
Cambia completamente la cultura di questo Paese, quelli che erano
considerati valori improvvisamente vengono derisi e divengono disvalori,
cambia la televisione, cambia la comunicazione, cambia il rapporto tra
cittadini e istituzioni. Cambia l’Italia, nel senso che rimane bloccata
da una parte mentre la corruzione aumenta ancora. Quando è scoppiato lo
scandalo di tangentopoli sembrava che i livelli di corruzione fossero
già molto alti e invece si sono alzati ancora di più. Il sistema
corrotto che c’era continua ad essere corrotto e continua ad esserlo in
modo ancora più sfrontato. La corruzione non è più vista come un
problema, visto che quelli che vengono beccati con le mani nel sacco non
si dimettono. Basta osservare quello che abbiamo vissuto in questi
anni. Per questo mi sembrava importante fare questo film.

Lei ha definito questo lavoro come un “film di smisurato
ottimismo”. Cosa vuole dire? Che si arriverà alla verità su questi
fatti?

La verità è ragionare, non è che esiste un’altra
verità al di fuori del ragionamento. Sono sicura che questo film metta
in moto dei pensieri e quindi che liberi delle energie, non è che si
arriva alla verità. Si arriva ad un cambiamento nel momento in cui nasce
una coscienza politica e una cultura politica che abbiamo perso
completamente, cioè nel momento in cui riusciamo a essere uniti e a fare
delle battaglie politiche, cosa che non riusciamo a fare. Però voglio
anche dire che finché non si arriva a una verità condivisa su dei fatti
come questi è impossibile anche richiamare all’unità nazionale, ai
sacrifici e a qualsiasi cosa, perché come facciamo a sentirci un popolo
nel momento in cui una bella fetta di italiani, comunque la metà, è
convinta che queste cose siano accadute?

Perché noi, anche se appunto queste cose non si sanno, però se tu
chiedi a chiunque per strada che cosa è la trattativa Stato – mafia ti
risponde: “Che non lo sai?”, che lo Stato e la mafia vanno a braccetto è
una notizia? Dove sta il film e qual è la questione, cioè una cosa di
cui siamo convinti tutti, siamo convinti e siamo terrorizzati, cioè
un’altra prova che viviamo in uno stato di mafia è quella, cioè non è
che gli italiani non reagiscono, gli italiani hanno paura e hanno paura a
ragione perché chiunque dica una parola fuori posto perde il posto,
perché comunque soltanto se stai dentro quelle regole vai avanti,
altrimenti no. Quindi per spezzare questa paura bisogna unirsi, non c’è
un’altra possibilità, non c’è nessun gesto individuale, nemmeno questo
film, che possa risolvere i nostri problemi.

Quanto le dà fastidio, se le dà fastidio, il fatto che le
prime cose che in molti hanno fatto notare sono il riferimento critico
rispetto a Napolitano e al “solito” Berlusconi?

A dire
il vero io non sono una che guarda a queste cose. Parlano di Napolitano
perché comunque sanno che è una cosa che fa polemica, ma Napolitano in
realtà nel film c’è molto poco, viene contestato al Capo dello Stato un
fatto acclarato ed eclatante. Napolitano in quegli anni era il
Presidente della Camera, ed a prescindere da questo ruolo istituzionale
che aveva all”epoca l’atteggiamento che ha avuto nei confronti del
processo in corso a Palermo non ci fa pensare che la posizione di
Napolitano sia davvero quella di voler favorire le indagini perché si
arrivi alla verità. Mi sembra che sia piuttosto esplicitamente convinto
che invece queste indagini non vadano fatte e francamente non si capisce
perché. E” un dato di fatto che se queste indagini non fossero state
fatte tutte queste cose che si raccontano nel film non le sapremmo.
Personalmente credo che anche se, come dice qualcuno, avessero soltanto
un valore storico e dal punto di vista invece processuale fossero del
tutto infondate, il fatto che abbiano un valore storico resta un valore
preziosissimo. Non c’è un altro modo che questo per capire come sono
andate le cose.

E sulla questione di Berlusconi?

Naturalmente mi aspettavo questa obiezione ma questo non è un film su Berlusconi. Nel racconto si parla di Forza
Italia come soluzione politica e Berlusconi giustamente cӏ ma non si
parla solo di lui. L”ex premier è una comparsa nel film ed è
probabilmente quello che è in questa storia, uno che comunque, come
sappiamo, ha dovuto fare quello che ha dovuto fare. Questo invece è un
film sullo Stato e sulle relazioni tra lo Stato e la mafia laddove per
mafia non parliamo di una cosca, si parla di un sistema che coinvolge i
livelli più alti della nostra classe dirigente.

IL TRAILER:

Fonte: http://www.antimafiaduemila.com/2014091051197/primo-piano/con-latrattativa-raccontiamo-la-storia-per-capire-il-presente.html.

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