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Fuori i rossi da Hollywood!

Hollywood come sintomo della ideocrazia imperiale americana. [Antonello Cresti]

Fuori i rossi da Hollywood!
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27 Ottobre 2013 - 14.44


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di Antonello Cresti

Quali sono gli interrogativi che lo spettatore medio si pone quando si reca al cinema? Ovviamente si domanderà se sta per assistere ad un film bello o brutto, che corrisponda alle proprie aspettative. Talvolta, nelle fasce più istruite, si augurerà che il contenuto ideologico del film sia affine col proprio mondo valoriale o comunque che l’opera che si accinge a vedere possa scuoterlo o farlo riflettere.

Potremmo dire che è impressionante come, in gran parte del mondo, spettatori ed autori siano mossi dalle medesime priorità, dubbi ed interrogativi, naturalmente a parti invertite e, in fondo, lo stesso discorso potrebbe esser fatto per i produttori, per i quali però tutto è subordinato alla possibile riuscita del lavoro ultimato. Il responso del pubblico come supremo valore, dunque.

Per la più importante industria cinematografica mondiale, quella statunitense, però, vigono priorità ancora differenti ed il film viene inteso in moltissimi casi come un formidabile mezzo di propaganda attiva, di costruzione valoriale affine al proprio modo di vivere o ancora di riscrittura di episodi di storia passata.

Effettivamente è difficile immaginare un veicolo più forte della cinematografia statunitense, con i suoi “divi di stato”, con i suoi lustrini ed eccessi, ed anche, giusto riconoscerlo, con un livello di tecnica e di professionalità pressoché inarrivabile, per affermare a livello planetario l’“american way of life”… Potremmo dunque affermare che il cinema è stato ed è un mezzo privilegiato per sostenere un paese che adopera tale “propaganda sottile” non come avrebbe fatto un totalitarismo storico né tantomeno come una forma tecnologica di fascismo, bensì come una ideocrazia imperiale.

Il termine ideocrazia, coniato dallo storico Ernst Nolte, è stato applicato alla realtà americana dal filosofo marxista Costanzo Preve e con esso si intende una forma di governo che, piuttosto tautologicamente, si basa sull’idea della diffusione dell’americanismo inteso come dottrina imperiale di riferimento.

Tali riflessioni che spesso, nella migliore delle ipotesi, vengono bollate come “propaganda antimodernista”, “razzismo” o facezie simili, in realtà dimostrano continuamente la loro validità e forse sarebbe bene discuterne con meno pavidità al fine di non stupirsi ogni qualvolta saltano fuori episodi di controllo illegittimo degli U.S.A sugli altri stati (esattamente come in questi giorni…).

È sulla base di questi pensieri che leggere il saggio di Sciltian Gastaldi [url”“Fuori i rossi da Hollywood!””]http://www.lindau.it/schedaLibro.asp?idLibro=1420[/url] (Edizioni Lindau) risulta essere un benefico bagno nelle dinamiche politiche più attuali e non soltanto, come prometterebbe il tema del libro, una occasione di dettagliata indagine storiografica su fatti del passato. Gastaldi infatti nel volume in questione intende ricostruire l’influenza e le dirette conseguenze del maccartismo sulla cinematografia americana. Ecco perché, a nostro avviso, la parte più importante di questo saggio è costituita dal capitolo finale in cui, a circa sessanta anni dalla conclusione del maccartismo e delle sue inquisizioni e censure, in chiave soprattutto anticomunista, ci si interroga di quanto questa fase storica non sia stata invece un sintomo di una volontà politica più ampia e per questo ripetibile allorquando se ne senta il bisogno

Certamente Gastaldi, correttamente, individua ad esempio questa forma di recrudescenza “neo-maccartista” durante la amministrazione Bush, in particolare a seguito dei fatti dell’11 Settembre, ma è altrettanto vero che mostrare in momenti storici così diversi una simile volontà di manipolazione, falsificazione e censura dovrebbe mettere in allarme quantomeno coloro che si beano delle meraviglie della “più grande democrazia del mondo”.

Dissidenti ci sono stati e ci sono tuttora: dobbiamo ringraziarli per il loro coraggio artistico e civile (all’epoca la sceneggiatura dello “Spartacus” di Kubrik fu un magnifico esempio di dissidenza), ma certo viene quasi da sorridere a pensare che nel terzo millennio, in un paese che ha la fama di essere piuttosto all’avanguardia in ambito di libertà individuali, qualcuno, come è successo ad esempio alla attrice Renèe Zellweger, possa esser messo su una lista nera per aver letteralmente affermato “Perché entriamo in guerra? Sono confusa”

“Fuori i rossi da Hollywood!”, attraverso una meticolosa analisi e narrazione degli avvenimenti che segnarono la cinematografia americana tra il 1938 e il 1954, una storia fatta di processi politici senza difesa, incarceramenti preventivi, fughe obbligate, dunque ci mette a conoscenza anche e soprattutto di una mentalità che qualunque sincero democratico dovrebbe avversare con forza e convinzione. Ricordiamocelo magari tutte le volte che andiamo ad assistere ad un nuovo “capolavoro” made in U.S.A!

ARTICOLO CORRELATO:

Pino Cabras:  Iran e Hollywoodismo: un progetto per cambiare la fabbrica dei sogni, 14 febbraio 2013.

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