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La conoscenza delle relazioni

'Estratto dell''introduzione di Stefania Consigliere al saggio di Paolo Bartolini: La vocazione terapeutica della filosofia. Cura del senso e critica radicale (Mimesis 2016, € 10).'

La conoscenza delle relazioni
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22 Novembre 2016 - 14.28


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di Stefania Consigliere Proponiamo ai nostri lettori un estratto dell’introduzione che Stefania Consigliere, filosofa e ricercatrice in antropologia presso l’Università di Genova, ha scritto per il libro in uscita del nostro amico e collaboratore Paolo Bartolini: “La vocazione terapeutica della filosofia. Cura del senso e critica radicale” (2016, € 10). Il [b][url”volume”]http://www.unilibro.it/libro/bartolini-paolo/la-vocazione-terapeutica-della-filosofia/9788857536385[/url][/b], edito da Mimesis, sarà disponibile dal 24 novembre. Ringraziamo la Casa Editrice per averci permesso di riprendere queste pagine.

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In un saggio recente Miguel Benasayag lamenta la perdita pressoché totale, nel tardo-capitalismo che abitiamo, del “sentimento tragico”:

Il tragico riguarda l’esistenza di legami che collegano l’individuo al suo ambiente naturale, alla sua famiglia, alla sua cultura e, soprattutto, riguarda la capacità individuale di essere mosso da eventi non necessariamente vicini, una continuità senza contiguità [1].

È un uso strano del vocabolo, ma efficace: il tragico è il senso di connessione ad altri e ad altro, l’insieme degli attaccamenti che ci tengono nel mondo in modo sensato e che, secondo de Martino, fondano la nostra presenza [2]. Sono questi legami a imprimere un senso unico ed esemplare a ciascuna esistenza: che si tratti di umani o di non umani, di idee o di luoghi, di miti o di pratiche, di modi della conoscenza o di tecniche di cura, nella nostra relazione al mondo ne va di noi ed è proprio questo insieme di connessioni a legarci a un destino, inteso «non come fatalità, ma come un insieme di tropismi, di affinità elettive e ben localizzate che configurano l’“essere al mondo” di una persona» [3]. Niente a che fare con la figura dell’eroe guerriero, il solitario che supera ogni difficoltà fino a portare al trionfo, e a imporre, un qualche ideale di potenza – mitologema reazionario del quale non sentiremo la mancanza. Sentimento tragico e destino altro non sono se non l’insieme di ciò che, connettendoci al mondo, fa di noi dei soggetti individuati, “fatti proprio così”. Ne sprigiona una moltitudine irriducibile di traiettorie soggettive, modi di essere che comportano conseguenze.

È significativo, allora, che nella contemporanea “clinica del malessere” s’incontrino continuamente situazioni di sofferenza acuta che non derivano più dal corpo a corpo con gli attaccamenti e col destino che essi configurano, quanto semmai dall’indigenza e dall’ignoranza delle relazioni [4]. La monadizzazione dei soggetti, a cui l’intera modernità tende fin dai suoi esordi, è giunta negli ultimi decenni a un livello assai avanzato di perfezionamento: l’introiettamento della norma (neo)liberista della lotta di tutti contro tutti per la massimizzazione dell’utile individuale non è mai stato tanto profondo e pervasivo [5]. E tuttavia, il suo trionfo è accompagnato da un tale livello di sofferenza da rendere ormai ridicolo ogni riferimento alle magnifiche sorti, e progressive.

C’è dunque un nesso fra il malessere individuale, per come si manifesta negli studi di psicologi e analisti, e il sostanziale fallimento dell’ideale di progresso della modernità.

[…]

Senza entrare in questioni di eziologia (c’è tutta una linea di pensiero critico che, da Marx all’antropologia, legge l’economia capitalista come una forma particolare di magia nera) [6], è fin troppo vero che la patologia collettiva di cui soffriamo è connessa a una capacità davvero straordinaria di amnesia, rimozione e ignoranza selettiva. L’escissione permanente della storia ci fa vivere il presente come una sequenza di traumatismi sempre nuovi, privi di cause e pertanto incomprensibili.

Quanta della nostra ricchezza materiale e della scontatezza del nostro vivere dipendono dalla rapina, dall’omicidio, dallo sterminio?

[…]

Il circuito del plusvalore ci fa assimilare la merce dopo averne scotomizzato la storia. A inizio Ottocento Edmund Kean raccomandava agli attori di attenersi a differenti regimi dietetici a seconda del personaggio da rappresentare: carne di montone per impersonare un innamorato, di bue per un assassino, di maiale per un tiranno. È possibile, come qualcuno ha sostenuto, che gli ormoni dei polli di allevamento stiano facendo di noi degli umani da gabbia. Ma è certo che qualcosa – l’aura della merce? la distrazione? il bisogno compulsivo di sovra-stimolazione? – fa di noi delle macchine da rimozione, incapaci di soffermarci sul nostro quotidiano quel tanto che basta per percepirne le fitte relazioni col “resto del mondo” e la violenza di cui sono cariche.

[…]

Chi è connesso al mondo ed è mosso da quel che vi accade non agisce sulla base della risibile favoletta filosofica secondo cui per natura l’individuo perseguirebbe l’incremento del proprio utile, ma si trova spesso nella situazione spinoziana – altissima e propriamente tragica – in cui libertà e necessità coincidono. Ancora una volta, possiamo dire addio agli eroi più-che-umani: questa condizione va declinata in termini radicalmente quotidiani. I pericoli che inevitabilmente si presentano nello sviluppo di un destino sono quelli legati all’accesso all’età adulta, alla vicinanza con la malattia e la morte, al tradimento, all’incontro col limite, all’eros, alla relazione con le generazioni più giovani e con quelle più vecchie, al potere, alla violenza, alla lotta politica, alla scelta. È nel mero farsi di una vita, di una vita qualsiasi, che s’incontrano teste di Medusa e gorghi abissali, dèi travestiti da tori e aperture estatiche. Ed è la qualità delle relazioni – agli altri, agli oggetti, a sé, ai viventi, al cosmo – a dare la misura di ciò che è, o non è, desiderabile; e nient’altro.

Questa riflessione sugli attaccamenti non è un correttivo che si possa aggiungere alla ricetta per la fabbricazione del soggetto occidentale contemporaneo, niente che sia pensato per perfezionarlo nella sua forma o per ovviare a un qualche difetto: pensare gli umani (e, più in generale, gli enti che popolano il mondo) come intrinsecamente relazionali significa cambiare da capo a fondo l’antropologia, l’ontologia, l’etica e l’epistemologia che soggiacciono alla nostra visione del mondo. Non a caso, fra coloro che in questi anni stanno esplorando questi temi la questione politica si pone con prepotenza, e con particolare urgenza proprio negli ambienti della cura [7].

Null’altro da aggiungere, in margine a un libro che fa risuonare questi temi in modo chiaro e forte. Solo un ultimo commento: Paolo Bartolini ha un grande talento nel connettere e comporre fra loro temi, concetti e discorsi che provengono da autori e discipline anche lontani fra di loro. È una vera e propria arte della relazione quella di chi, nello sviluppare il proprio tragitto teorico, riesce a tenere insieme le voci di altri, articolandole lungo un percorso inedito e sorprendente. Tanto inedito e sorprendente quanto quello di ciascun umano quando “diviene ciò che è” nella connessione con altro e altri: magia della polifonia – e grande stima per chi, di questi tempi, è capace di azzardarla.

Note

[1] M. Benasayag, Clinique du mal-être. La “psy” face aux nouvelles souffrances psychiques, La Découverte, Paris, 2015, p. 25, traduzione mia.

[2] E. de Martino, La fine del mondo. Contributo all’analisi delle apocalissi culturali, Einaudi, Torino, 1977.

[3] Benasayag, Clinique du mal-être…, op. cit., p. 34.

[4] Recalcati l’ha chiamata “clinica del vuoto” e ha proposto, come contromisura alle sofferenze post-moderne, il ritorno al “pieno” della freudiana “clinica del desiderio”, la restaurazione dell’inconscio così come lo abbiamo storicamente conosciuto nell’epoca classica della psicoanalisi. È una proposta che ha il merito di nominare a chiare lettere un problema, ma che lascerà perplessi tutti coloro che non nutrono particolari nostalgie per un passato che un’intera generazione – quella della rivolta libertaria – ha già decretato insopportabile. Vedi M. Recalcati, L’uomo senza inconscio. Figure della nuova clinica psicoanalitica, Raffaello Cortina, Milano, 2010.

[5] P. Dardot & C. Laval, La nouvelle raison du monde. Essai sur la société néolibérale, La Découverte, Paris, 2009.

[6] Ad es., L. Parinetto, Streghe e potere. Il capitale e la persecuzione del diverso, Rusconi, Milano, 1998; P. Pignarre e I. Stengers I., La sorcellerie capitaliste. Pratiques de désenvoûtement, La Découverte, Paris, 2005.

[7] Vedi ad es. E. Viveiros de Castro (2003), E, in S. Consigliere (a cura di), Mondi Multipli. I. Oltre la Grande partizione, Kaiak, Napoli, 2013, pp. 183-203; P. Coppo, Le ragioni del dolore. Etnopsichiatria della depressione, Bollati Boringhieri, Torino, 2005; F. Sironi, Psychopathologie des violences collectives, Odile Jacob, Paris, 2007.

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