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Questi giorni prima di #ReferendumGrecia. Diario da Atene

Le tante voci di cittadini greci in attesa della prova democratica più importante in Europa; un dialogo fitto fra speranza, paura e dignità. [Rita Cannas]

Questi giorni prima di #ReferendumGrecia. Diario da Atene
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5 Luglio 2015 - 17.00


ATF

di
Rita Cannas
.

ATENE
– Questo è un diario di storie, non un’analisi politica. Succede
ad Atene, nei giorni che precedono il referendum popolare del 5
luglio 2015, mentre i greci sono col fiato sospeso per la loro sorte
e l’aria umana, a partire da quella che respiro davanti alla
biglietteria della metro, è ferma. Oggi è mercoledì 1 luglio e
sono appena arrivata ad Atene per partecipare a un convegno
scientifico internazionale. Gli organizzatori avevano avvisato per
email che i mezzi pubblici sarebbero stati gratuiti, ma appena
lasciato l’aeroporto vado d’istinto verso lo sportello della
metro per fare il biglietto. La signora, barricata dietro all’avviso
“Closed”, ha comunque la gentilezza di rispondere alla mia
richiesta d’informazioni sulla direzione da imboccare per la
fermata Evangelismos. La metro è già sul binario, mezzo piena di
passeggeri stranamente in silenzio. Conto 14 fermate prima di
scendere. Un viaggio in sé. Si riempie progressivamente, sino a
quasi scoppiare, ma nessuna voce si solleva per manifestare disagio.
Leggo preoccupazione nelle persone, ma resto colpita dalla loro
compostezza.

All’uscita
mi guardo intorno: fermate d’autobus affollate, poche voci per
strada, tanto rumore di traffico, bus, ambulanze e taxi degli anni
Novanta, signori con i cani a passeggio, studenti, venditore di
ciambelle salate nel parco Rizari, pioppi neri e tanto verde. In
albergo, la solita spina del computer che va su tre buchi, mentre in
Grecia si usano le prese del tipo tedesco, mi costringe alla ricerca
di prolunghe e incastri creativi. E’ da lì che è incomincia la
mia personale indagine sugli animi dei greci che incontro, e che
cerco, per conoscere i loro punti di vista e le loro speranze
sull’imminente referendum popolare.

Il
signore di una certa età che ha il negozio di fronte all’hotel
Ilisia Best Western mi racconta di averne viste tante. E’ da 50
anni che ha la sua bottega di generi alimentari con angolo
caffetteria per pensionati fumatori, rimasta ferma ad almeno i nostri
trent’anni prima. E’ molto cortese e si prodiga per trovare una
soluzione al mio problema, ma alle mie domande sulla situazione
politica risponde vago. Mi appare incerto sul voto, dice “ho
paura”.

Il
tassista dal colletto della polo sollevato che giovedì mattina mi
porta all’American college, sostiene che nessuno in Grecia voglia
la dracma, perché è associata alla svalutazione e all’incertezza,
ma nemmeno piegarsi al diktat dei governi europei. Lazarus, che ha 26
anni e un taxi nuovo, mi parla più a lungo delle sue impressioni. E’
un referendum che divide a metà i greci. Lui non ha dubbi, voterà
per il no, ma teme che il risultato possa essere influenzato dalla
campagna mediatica a favore del sì. Dice che in Grecia nemmeno il
primo ministro Tsipras può agire sui media, nonostante il suo ruolo,
perché questi hanno i loro finanziatori esterni, molto forti,
schierati per affossare proprio Tsipras.

Il
tassista di sabato mattina, Kim, conferma questo tratto e dice che
“nei dibattiti televisivi, su dieci schierati per il sì, ce n’è
uno per il no”. Questa è la proporzione, a suo dire, e sono giorni
nei quali i greci sono molto attenti ai telegiornali e ai dibattiti
radiofonici e televisivi. Kim è entusiasta del fatto che il popolo
greco sia chiamato a decidere: “i governi di prima non hanno mai
fatto questo, hanno deciso sopra le nostre teste”. E aggiunge
“questo non è un referendum per dire sì o no all’Europa, noi in
Europa ci vogliamo stare, ma non a queste condizioni e non
necessariamente con la moneta euro”. A suo parere, il lavoro
mediatico portato avanti dai mezzi di comunicazione greci è a
complemento dell’azione della diplomazia europea che vorrebbe
tenere sotto scacco la Grecia di Tsipras per evitare il rinforzo
delle sinistre in paesi come l’Italia. Il referendum è conseguente
al lavoro dei governi europei ai fianchi di Tsipras, che è l’unico
governo greco che non si è piegato alle richieste di BCE e FMI:
“Tsipras è incontrollabile, è fuori dalle loro logiche, è per
questo motivo che vogliono buttarlo giù”. Mi ha fatto l’esempio
di un rappresentante polacco (di cui non ricordo il nome) che sino a
una settimana fa aveva chiuso le porte a qualsiasi negoziato, è
invece ricomparso in TV dicendo che si può aprire una trattativa, ma
non con Tsipras. Questi messaggi sono a effetto, arrivano dritti alla
pancia bypassando la testa. Gli chiedo quale sia la sua percezione
sul possibile risultato: “due metà contrapposte, ma il problema
sarà per Tsipras perché per vincere avrà bisogno di un voto netto,
come 60 e 40%”. Da stasera Kim andrà nel suo paese per votare e
chiamare a raccolta i suoi conoscenti.

Il
portiere dell’albergo non auspica il ritorno della dracma, teme per
la svalutazione della sua liquidazione, che potrà riscuotere per
metà, ma se ci fosse un deprezzamento della moneta, parte dei suoi
guadagni andrebbe perduta e lui deve pensare ai suoi due bambini.
Voterà per il no, perché sostiene Tsipras e crede che solo questo
governo possa evitare la distruzione della Grecia, ma teme che il
risultato sia a favore del sì.

Kim
afferma che se il risultato dipendesse dal livello di benessere dei
votanti, i privilegiati per il “sì” e i pensionati, i giovani, i
disoccupati, e gli occupati non privilegiati per il “no”, il
referendum dovrebbe chiudersi con una netta vittoria del no, ma sa
bene anche lui che le paure corrono più veloci dei ragionamenti.
Sino alla chiusura della campagna referendaria, sono state usate
tutte le sottigliezze mediatiche, ma sono emerse anche le voci della
piazza.

Venerdì
pomeriggio del 3 luglio sono in piazza Syntagma per seguire la
manifestazione del “no” con Anna, una collega del convegno. Vivo
l’attesa del comizio, il fremito della piazza, l’infittirsi di
persone, la variazione delle luci e dei colori mentre arriva la sera.
Mi sento entusiasta ed emozionata, come se in questa piazza ci sia un
pezzo di storia più grande, non solo dei greci, ma di tutti noi che
aspiriamo alla centralità della democrazia, quella delle scelte
fatte per la vita di tante persone e non per gli interessi di pochi.
Appena uscite dalla metro, intervistiamo Maria che fa volantinaggio.
Non ha l’aria di volerci convincere, parla con dolcezza e ci
conquista. Per lei il no significa togliere dalla fame il popolo,
frenare l’emigrazione, non smettere di sperare.

“Se
il no è sul 45% si può trattare con l’Europa, ma Tsipras non ci
può stare al governo” ci dice un sostenitore del no che ha
studiato architettura in Italia. Alla domanda se i media hanno preso
parte diretta alle ragioni del sì, risponde “hai presente
armageddon? Ecco, sono stati così!” La piazza si riempie con
fiumane di persone che convergono sulla parte superiore, dove è
stato montato il palco.

La
festa inizia con la scansione ripetuta del no, “oxi-oxi-oxi!” e
coi discorsi di saluto e di incitamento portati da rappresentanti
politici di altre forze. Ci sono tedeschi, portoghesi, irlandesi e
gli spagnoli di Podemos. Cantano dal vivo tanti artisti greci, dai
Clash locali ai canti pasionari, accompagnati in coro dalla gente. E’
una manifestazione politica che mi richiama alla mente altri tempi
perduti, quelli nei quali anche noi in Italia avevamo la sinistra,
con le persone che manifestavano, cantavano, si appassionavano e
speravano davvero di cambiare in meglio la società per tutti, e non
per singoli e soliti gruppi. Per inciso, non mi si dica che in Italia
esistono formazioni di sinistra, a parte il riempirsene la bocca,
perché altrimenti sarebbero state su questo palco, come Podemos, a
mettere la loro faccia e a sostenere il governo di sinistra greco, in
questo momento storico cruciale.

Quando
dall’alto-parlante parte “Bella ciao” avvampo di gioia e non
sento più il mal di schiena per le ore in piedi, e nemmeno il fumo
dei miei vicini, il calore da stufa pellet dell’Ulisse che mi sta
davanti, e il peso della borsa del convegno che ho a tracolla mentre
stendo le braccia in alto per fotografare. Anna ed io veniamo
“adottate” dalle persone che abbiamo intorno; con gentilezza e
pazienza ci traducono in inglese alcuni brani dei discorsi dei
relatori, o dei canti popolari. Ci fanno sentire parte di quello che
siamo, un corpo unico. Ridiamo, applaudiamo, commentiamo, speriamo,
scandiamo “oxi-oxi-oxi” con loro, in un crescendo di emozioni che
non so come siano contenute in una piazza davvero piccola a confronto
delle migliaia di persone presenti. Non c’è spazio per passare,
per respirare, senza sentire il calore umano intorno, come in un
corpo a corpo di civiltà. Non una mano fuori posto, né scene di
panico, o provocazioni. Anna ed io ci fidiamo e ci lasciamo
trasportare dalla corrente, sino alla fine. E’ un crescendo sino
all’arrivo di Alexis Tsipras che infiamma la folla e si alzano
ovunque cori spontanei “oxi-oxi-oxi” e tanti applausi. Non
abbiamo più bisogno di traduzioni, da democrazia in poi
comprendiamo, è la nostra stessa lingua.

Terminato
il discorso di Tsipras la folla si muove lenta, e tante correnti di
persone che vanno in direzioni diverse spezzano la compattezza della
piazza, pur restando un corpo unico, allungato, in movimento.

Anna
ed io ci salutiamo dai bordi della piazza, cariche del dono ricevuto.

Vado
via sotto un pianto a dirotto di gioia, troppo grande e potente per
trovare riparo.

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